2018-08-12
Il promesso taglio delle tasse sul lavoro e i nuovi centri per l'impiego possono rilanciare le assunzioni. Ora va modificata l'indennità di disoccupazione, oggi concessa pure a chi viene licenziato perché ruba.Lo speciale contiene quattro articoli. Problemi occupazionali, ammortizzatori sociali, ricollocazione. Tutti termini che, appena letti, evocano alla mente degli italiani uno dei peggiori spettri in assoluto: la perdita del lavoro. Una prospettiva che però porrebbe presto cambiare, non appena si faranno sentire gli effetti del decreto Dignità convertito in legge martedì 7 agosto. Riferendosi agli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato, il ministro del lavoro Luigi Di Maio ha promesso un taglio derivato del 10% del costo del lavoro (si presume quindi si riferisca direttamente al cuneo fiscale). Se dunque il mercato del lavoro cambierà volto, sarà necessario mettere mano anche agli ammortizzatori sociali. Ad esempio a oggi per chi perde involontariamente il lavoro esiste la Naspi, una indennità mensile istituita dal decreto legislativo 22/2015. Il provvedimento, che porta la firma di Matteo Renzi, Giuliano Poletti, Pier Carlo Padoan e Marianna Madia, allora rispettivamente presidente del Consiglio, ministro del Lavoro, ministro dell'Economia e ministro della Pa, ha sostituito le precedenti prestazioni di disoccupazione, Aspi e Miniaspi, con questa nuova assicurazione sociale. Si tratta di una prestazione «a domanda» per gli eventi che si sono verificati da maggio 2015. Il trattamento, che per 24 mesi ha un costo medio complessivo per la collettività di circa 20.000 euro ad avente diritto, dalla sua entrata in vigore è stato erogato più di 4,5 milioni di volte, 2017 compreso (approfondimenti sul nostro sito, social.laverita.info/naspi). Il calcolo è presto fatto. Ma è una misura utile a un rapido reinserimento nel mondo del lavoro? Secondo il diciassettesimo rapporto annuale dell'Inps, in generale: «I sussidi sembrano rallentare la ricerca e il conseguimento di un nuovo lavoro per una parte dei disoccupati, ma permettono alla loro totalità di non ridurre drasticamente redditi e consumi in seguito alla perdita del posto di lavoro». La Napsi, nonostante la sua innegabile valenza sociale, porge il fianco ad alcuni paradossi, con riferimento, in particolare, allo «stato di disoccupazione involontario». Essa, dopo la risposta del ministero del lavoro alla Cisl (con l'interpello numero 13 del 24 aprile 2015), di prassi viene concessa anche in caso di licenziamento per giusta causa, licenziamento, questo, di tipo disciplinare per condotte del dipendente talmente gravi da non consentire la prosecuzione del rapporto e che legittima il datore al licenziamento in tronco e senza preavviso. Si differenzia dal licenziamento per giustificato motivo soggettivo che avviene quando il lavoratore ha comportamenti scorretti ma non così gravi da comportare il licenziamento per giusta causa. A tal proposito lascia perplessi che comportamenti del lavoratore a danno dell'azienda gli consentano di accedere a trattamenti a carico della collettività e persino alla maturazione di contributi per la pensione. Come può ritenersi il dipendente licenziato perché, ad esempio, ha rubato, in «stato di disoccupazione involontaria»? Come può essere uguale a chi ha perso il lavoro per una crisi aziendale? A tal proposito vogliamo rivolgerci al legislatore: perché riconoscere il trattamento in automatico e non all'esito di un giudizio che accerti l'illegittimità del licenziamento? Perché non limitare la Naspi alla luce dell'eventuale risarcimento liquidato al lavoratore dal tribunale competente cui si è rivolto? Perché non obbligare i tribunali a trasmettere all'Inps le sentenze che hanno confermato la legittimità del licenziamento e recuperare quindi gli importi già, purtroppo, erogati? Facciamo un altro esempio: sono un lavoratore che non ho più voglia di lavorare per una certa azienda, ma non ho ancora trovato un'alternativa. Dovrei dimettermi, ma in tal caso non avrei copertura economica, allora decido di essere insubordinato, di non presentarmi al lavoro, di appropriarmi di beni aziendali, per obbligare il datore, che non ha alternative legali, ad aprire una procedura disciplinare e quindi a licenziarmi per giusta causa, così a quel punto percepirò la Naspi. Ma non solo. Il datore, a seguito del mio comportamento, sarà gravato dal pagamento del cosiddetto «ticket licenziamento», contributo a carico delle aziende introdotto dalla riforma Fornero. Il paradosso nel paradosso è che esso è stato introdotto con un duplice obiettivo: finanziare la Naspi e scoraggiare i licenziamenti. La Naspi, inoltre, spetta anche nell'ipotesi di licenziamento (o dimissioni) per mancata accettazione del trasferimento della sede di lavoro che sia più distante di 50 chilometri o che necessiti di più di 80 minuti per essere raggiunta con i mezzi pubblici. Inspiegabile la motivazione sottesa visto che il posto di lavoro esiste, ma non è «comodo» per il lavoratore. In un contesto sociale dove si lamenta la carenza di lavoro, si legittima dunque che un lavoratore rinunci al suo posto e sia a carico della collettività fino al momento in cui non reperirà un'altra occupazione «sotto casa». Ma c'è di più. Tale ipotesi è spesso oggetto di comportamenti fraudolenti, di un vero e proprio accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore, laddove la Naspi diventa il corrispettivo aggiuntivo «accordato» tra le parti. In sostanza, un datore di lavoro che voglia allontanare un lavoratore o un lavoratore che voglia lasciare un'azienda, potrebbero mettersi d'accordo costruendo un finto trasferimento in cambio del quale il lavoratore rassegna finte «dimissioni per giusta causa». Altro grande classico è che il datore di lavoro riconosca al lavoratore un importo transattivo per chiudere il rapporto pregresso, e la Naspi a quel punto diviene l'ulteriore importo che si aggiunge alla «buonuscita». Fatta la legge, trovato l'inganno, ma speriamo che, alla luce delle novità del decreto Dignità riguardanti il rafforzamento dei centri d'impiego (riforma che dovrebbe costare 2 miliardi), volute fortemente dalla Lega, di ammortizzatori sociali per la disoccupazione così gravosi per la collettività non ce ne sia più bisogno e che possa avvenire un vero e proprio cambio di mentalità. Le fila, tuttavia, le potremo tirare solo quando il ministro Luigi Di Maio, come previsto dallo stesso decreto, presenterà alle Camere la relazione annuale sugli effetti occupazionali e finanziari derivanti dall'applicazione delle nuove disposizioni. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/naspi-2594813329.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="tutti-i-requisiti-per-la-naspi" data-post-id="2594813329" data-published-at="1763765848" data-use-pagination="False"> Tutti i requisiti per la Naspi La Naspi spetta in presenza dei seguenti requisiti:stato di disoccupazione involontario, cioè la perdita del lavoro per cause non determinate dalla volontà del lavoratore con le seguenti eccezionilicenziamento per giusta causarisoluzione consensuale, formalizzata nell'ambito della procedura conciliativa all'Ispettorato territoriale del lavorolicenziamento seguito dall'accettazione dell'offerta conciliativa proposta dal datore di lavoro entro il termine di impugnazione stragiudiziale di 60 giornilicenziamento per mancata accettazione del trasferimento della sede di lavoro che sia più distante di 50 km e/o che necessiti di più di 80 minuti per raggiungerla con i mezzi pubblicidimissioni durante il periodo tutelato della maternità;dimissioni per giusta causa, cioè quando si sia verificata una causa che non consente la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro, tra cui, a titolo esemplificativo, il non pagamento delle retribuzioni da parte del datore di lavorodimissioni per giusta causa per mancata accettazione del trasferimento della sede di lavoro che sia più distante di 50 km e/o che necessiti di più di 80 minuti per raggiungerla con i mezzi pubblici requisito contributivo, che deve essere di minimo 13 settimane di contribuzione versata nei quattro anni precedenti la perdita del posto di lavororequisito lavorativo, che deve pari ad al almeno 30 giorni di effettivo lavoro nei 12 mesi antecedente la disoccupazioneUlteriore requisito è che il lavoratore formalizzi la cosiddetta Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (DID) ed il successivo «Patto di Servizio» per partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro per la ricollocazione.Tuttavia, la prassi implica che spesso la Naspi venga concessa anche in caso di licenziamento per giusta causa e in altri casi. Difatti, la Direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del lavoro con l'interpello n. 13 del 24 aprile 2015 in merito al licenziamento disciplinare e il diritto alla Naspi, ha fornito la risposta ad un quesito della organizzazione sindacale CISL, in merito alla corretta interpretazione dell'art. 3, D.Lgs. n. 22/2015 concernente il diritto alla Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l'Impiego (NASpI) osservando:«Occorre rilevare che, a differenza della disciplina normativa sull'ASpI, in virtù della quale il Legislatore aveva tassativamente indicato le fattispecie per cui non fosse possibile fruire del trattamento indennitario, con il dettato di cui all'art. 3, D.Lgs. n. 22/2015, è stato specificato l'ambito di applicazione "in positivo" per il riconoscimento della nuova prestazione di assicurazione sociale, senza indicare le ipotesi di esclusione.Tanto premesso, appare conforme al dato normativo, specie in ragione della nuova formulazione, considerare le ipotesi di licenziamento disciplinare quale fattispecie della c.d. "disoccupazione involontaria" con conseguente riconoscimento della Naspi.In proposito, occorre ricordare che questo Ministero ha già avuto modo di chiarire, con interpello n. 29/2013 sulla concessione dell'ASpI, come "non sembra potersi escludere che l'indennità di cui al comma 1 e il contributo di cui al comma 31 dell'art. 2, L. n. 92/2012 siano corrisposti in ipotesi di licenziamento disciplinare, così come del resto ha inteso chiarire l'Istituto previdenziale, il quale è intervenuto con numerose circolari (cfr. INPS circc. n. 140/2012, 142/2012, 44/2013) per disciplinare espressamente le ipotesi di esclusione della corresponsione dell'indennità e del contributo in parola senza trattare l'ipotesi del licenziamento disciplinare".La nota ministeriale sottolinea, altresì, che il licenziamento disciplinare non possa essere inteso tout court quale forma di "disoccupazione volontaria", in ragione del fatto che la misura sanzionatoria adottata mediante il licenziamento non risulta automatica; infatti, "l'adozione del provvedimento disciplinare è sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio del potere discrezionale" (v. Cass. n. 4382/1984) non trascurando, peraltro, l'aspetto dell'impugnabilità del licenziamento stesso che nelle opportune sedi giudiziarie potrebbe essere ritenuto illegittimo». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/naspi-2594813329.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="quando-si-licenzia-per-giusta-causa" data-post-id="2594813329" data-published-at="1763765848" data-use-pagination="False"> Quando si licenzia per giusta causa? Nei licenziamenti per giusta causa rientrano il: il furto l'appropriazione indebita di beni aziendali l'abbandono del posto di lavoro le assenze ingiustificate prolungate; il falso certificato medico; attività in concorrenza con l'azienda dipendente che, in malattia, lavora per un'altra azienda o svolge comunque attività incompatibile con la cura; ripetuta assenza alla visita fiscale; insubordinazione grave; la diffamazione dell'azienda e dei suoi prodotti; il reato commesso nella vita privata che può pregiudicare l'immagine dell'azienda falsificazione del badge o del cartellino presenze e orari; <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/naspi-2594813329.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="come-si-calcola-la-naspi" data-post-id="2594813329" data-published-at="1763765848" data-use-pagination="False"> Come si calcola la Naspi? Per calcolare l'importo dell'indennità Naspi 2018 spettante è necessario munirsi di estratto conto previdenziale (reperibile anche tramite procedura telematica attraverso il sito INPS) e calcolatrice. A questo punto occorre sommare tutte le retribuzioni imponibili ai fini previdenziali, ricevute negli ultimi 4 anni, e dividere il risultato per il numero di settimane di contribuzione, infine il quoziente ottenuto deve essere moltiplicato per il coefficiente 4,33.Se dal risultato di tale calcolo: la retribuzione mensile è pari o inferiore al minimale mensile fissato dall'INPS annualmente di 1.208,15 euro (importo annualmente aggiornato), l'importo della NASPI è pari al 75% della suddetta retribuzione se è oltre a tale soglia, viene aggiunto al 75% un importo pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo. In ogni caso, l'importo massimo dell'indennità non può superare i 1.314,30 euro al mese. L'importo spettante si riduce poi gradualmente a partire dal 91° giorno di fruizione del 3% mensile. Aspetto molto rilevante è che il periodo di disoccupazione indennizzato con la Naspi è coperto da contribuzione figurativa, quindi, mentre per il lavoratore dipendente è il datore di lavoro a versare i contributi previdenziali, per il disoccupato al quale viene riconosciuta la Naspi è l'INPS ad accreditare i contributi. Tuttavia se nel primo caso si parla di contribuzione effettiva, perché versata dal datore di lavoro (o dallo stesso lavoratore se autonomo) e fa riferimento ad un periodo di lavoro effettivo, nel secondo caso l'INPS accredita quelli che si definiscono contributi figurativi. Nel dettaglio sono contributi figurativi quelli riconosciuti al lavoratore - ma senza alcun onere a suo carico - per i periodi durante i quali non ha prestato attività lavorativa ma, ad esempio, ha comunque percepito un'indennità a carico dell'INPS (come per il congedo di maternità o appunto l'indennità di disoccupazione).Per questo motivo la Naspi contribuisce alla maturazione dei requisiti necessari per il pensionamento.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






