2019-06-25
Nascondino tra Lega e M5s sui miliardi necessari a flat tax e salario minimo
Il viceministro Massimo Garavaglia: «Non svelo le coperture, Di Maio le ruba». La replica: «Spero che non costino nulla agli italiani». Giancarlo Giorgetti spegne la polemica sui minibot.Giornata di microtensioni nella maggioranza quella di ieri: acqua appena increspata e nessuna onda anomala, a onor del vero. Materie del contendere: il salario minimo e le coperture in vista della manovra. Mentre, nonostante gli sforzi di alcuni cronisti, appare già abbastanza ridimensionata la querelle sui minibot, più caso mediatico (alimentato artificialmente) che vero caso politico tra Giancarlo Giorgetti e Claudio Borghi. Quanto al salario minimo, Luigi Di Maio è il primo a sapere (era una delle ammissioni del suo fuori onda dello scorso fine settimana) che si tratta di una proposta minoritaria: piace al M5s, e quasi a nessun altro. È sospetta - va detto - la ritrosia di sinistra e sindacati, i primi con la coda di paglia per non aver fatto granché per i salari nella loro lunga stagione di governo, i secondi aggrappati al feticcio della contrattazione collettiva. Ma per tutti gli altri - dentro e fuori i confini della politica - le obiezioni sono motivate: le imprese temono il mix tra salario minimo e un costo del lavoro già altissimo, mentre la Lega, che ha già sopportato per amor di coalizione il reddito di cittadinanza, sembra comprensibilmente preoccupata per il nervosismo del mondo produttivo. E a queste inquietudini ha ieri dato voce il viceministro dell'Economia Massimo Garavaglia, parlando a Radio Capital: «L'unica cosa che non si può fare in questo momento è aumentare i costi alle aziende». Ma c'è anche un'altra parte delle dichiarazioni di Garavaglia che ha suscitato attenzione (a onor del vero, il viceministro aveva anticipato molti temi, intervistato qualche giorno fa proprio dalla Verità): interpellato sulle coperture per la flat tax, Garavaglia ha risposto sorridendo: «Non le dico, altrimenti Di Maio me le ruba...». E, proseguendo nel gioco di specchi, e sempre rivolgendosi a Di Maio, Garavaglia ha aggiunto: «Ci dia quelle del salario minimo». Inevitabile la replica di Di Maio da Taranto, da dove il vicepremier ha curiosamente iniziato a parlare in terza persona: «Non è il caso di giocare a nascondino con 15 miliardi per fare la flat tax, non devono dirlo a Di Maio ma a tutti gli italiani». E ancora: «Spero che siano 15 miliardi freschi, di risorse che non tolgono nulla agli italiani. Non vorrei che per fare la flat tax si volesse togliere qualcosa agli italiani. Sono sicuro che non sia così, ma è meglio dirlo. Si può fare una manovra anche in deficit se ci creano posti di lavoro, e, se si abbassa il cuneo fiscale, aumenteremmo i posti di lavoro». Controreplica di Garavaglia: «Non ci interessa fare polemiche. Noi abbiamo tutto chiaro. Vediamo anche le altre carte. Abbiamo diversi modelli che stiamo affinando per poi scegliere insieme a Salvini e agli altri amici il modello migliore. A valle di quello ci sono costi, coperture e quant'altro». In realtà - lo ribadiamo ancora - è sufficiente leggere l'intervista di Garavaglia al nostro giornale per capirne di più: l'obiettivo è una flat al 15% sui redditi da 15 a 55.000 euro (che, sommata all'altra flat sempre al 15% su partite Iva e pmi, che dal prossimo anno si estenderà fino ai 100.000 euro, coprirebbe ben tre contribuenti su quattro). Per le coperture, è immaginabile un mix tra un po' di deficit, un lavoro sulle tax expenditures, e un nuovo computo contabile degli 80 euro renziani, che non saranno più conteggiati come aumento di spesa ma come taglio di tasse. Su un altro piano, Di Maio ha evocato (ma senza esagerare, senza calcare la mano) la presunta polemica interna alla Lega sui minibot: «Sono rimasto colpito dal fatto che la Lega abbia cambiato posizione sui minibot: io non sono affezionato ai minibot, ma è necessario che lo Stato paghi i crediti delle imprese: che si chiamino minibot o in altro modo, l'importante è che si paghino». Quanto alla querelle Giorgetti-Borghi, la giornata di ieri ha fortemente ridimensionato la questione, forse pompata - e perfino «dopata» - da qualche testata. È il sospetto, tutt'altro che infondato, avanzato direttamente da Claudio Borghi su Twitter, che ha ironizzato sul tipo di domanda posta il giorno prima a Giorgetti: «Cosa ne pensa dell'idea di stampare minibot per evitare la procedura di infrazione?». È evidente che chiunque, a un quesito posto in questi termini, avrebbe risposto in modo liquidatorio. È pur vero però che sono in diversi ad accreditare un tentativo di Giorgetti di riposizionarsi rispetto ad alcuni temi.In ogni caso, ieri, Giorgetti ha insistito sul terreno delle battute per sdrammatizzare, a margine della presentazione della candidatura di Milano-Cortina ai Giochi invernali 2026: «Ho consigliato a Borghi di puntare i minibot sulla vittoria della Svezia». Battute e doping mediatico a parte, restano comunque tre punti fermi, nettamente a favore di Borghi. Il primo è che i minibot sono e restano nel programma della Lega e nel contratto di governo con M5s. Il secondo è che proprio Giorgetti, quando un paio di settimane fa partì l'attacco scomposto contro i minibot, difese con forza lo strumento. E il terzo è il silenzio (assenso) di Salvini: «La posizione della Lega è nel contratto».