
Il nuovo Carroccio varato sotto gli occhi di Umberto Bossi. Roberto Calderoli: «Non possiamo più considerare solo il Nord». Il vecchio movimento resta in piedi: dovrà regolare le pendenze con lo Stato per la vicenda dei 49 milioni. Due anni fa quando Matteo Salvini parlò per la prima volta in consiglio federale della Lega Salvini Premier, il nuovo soggetto politico nazionale, lo storico leader Umberto Bossi lo attaccò, dandogli del «fascista nazionalista». Era il 27 ottobre del 2017, sembra passata vita. Ieri al congresso leghista il Senatùr non ha risparmiato qualche critica a Salvini («Non può imporci un cazzo») e lo ha anche stuzzicato su alcune questioni burocratiche elettorali («Se vuole il simbolo deve raccogliere le firme»), ma ha anche detto che Matteo «è uno di quelli che ha ancora voglia di combattere», riconoscendo l'onore delle armi al nuovo leader. Del resto in quel 2017 più che mai complesso per il Carroccio, con la Procura di Genova alla ricerca dei 49 milioni di euro della vecchia Lega Nord, il segretario leghista aveva dato il via, insieme con Giancarlo Giorgetti e Roberto Calderoli, alla lunga traversata nel deserto per trasformare il movimento padano in un partito nazionale. Ieri all'Hotel Da Vinci di Milano, un anonimo albergo quattro stelle non molto lontano da via Bellerio, si è compiuto il passaggio di consegne finale. «Oggi è l'inizio di un bellissimo percorso, è il battesimo di un movimento che ha l'ambizione di rilanciare l'Italia nel mondo», ha spiegato proprio Salvini dal palco. La Lega Nord non va in soffitta. Diventa di fatto una costola della nuova realtà nazionale. Resta, con un segretario in carica 5 anni e non più 3 e con l'obiettivo sempre dell'indipendenza della Padania. Ma la vecchia Lega Nord fondata da Bossi nel 1984 rimane soprattutto per gli accordi con la Procura genovese sulla restituzione dei rimborsi elettorali al Fondo unico per la giustizia. Gli iscritti avranno la doppia tessera dei due partiti, come spiegato da Calderoli all'apertura del congresso. L'ex ministro per le Riforme, uno dei cinque che ha firmato lo statuto di Lega Salvini Premier alla fine del 2017 (con lui anche lo stesso Salvini, Giorgetti, Lorenzo Fontana e Giulio Centemero), ha voluto ringraziare il «Capitano» per lo sforzo di questi mesi. «Credo che tutto questo richieda uno sforzo fisico incredibile e mette a rischio anche la propria fedina penale. Ormai Matteo ha più processi di Totò Riina». Il ragionamento di Calderoli non è dissimile da quello che lo stesso Salvini fece due anni fa al consiglio federale. E che proprio il segretario ha ribadito ieri. «Serve un movimento snello, al passo con i tempi. Abbiamo il 30% dei voti, non possiamo ragionare come se avessimo ancora il 3%. Bisogna aprire con intelligenza». Il mondo è cambiato. La Lega è diventata nazionale. Dice Calderoli: «Lo dico rispetto a chi ha nostalgia della Lega Nord, che in Italia due terzi dell'elettorato è al Centro e al Sud. Quindi se vogliamo cambiare le cose dobbiamo prendere i voti anche di quella parte del Paese», ricorda il vecchio colonnello leghista che poi evoca i sequestri e le sentenze degli ultimi anni: «Con la Margherita le cose andarono diversamente, il nostro partito è stato danneggiato ma in questo caso siamo noi che dobbiamo restituire i soldi». Giorgetti segue a ruota: «Con le regole che abbiamo scritto 40 anni fa, non si può fare politica oggi. Il 2020 sarà un anno cruciale, si dovranno decidere le regole di funzionamento della democrazia del nostro Paese, prima tra tutte le legge elettorale». All'Hotel Da Vinci manca Roberto Maroni, una vita nella Lega, già segretario della transizione da Bossi a Salvini. Le parole concesse in un'intervista alla Stampa dall'ex ministro dell'Interno del primo governo Berlusconi non sono piaciute a nessuno. «Se Matteo non ascolterà più il Nord, potrebbe nascere qualcosa di diverso», ha detto Bobo. Ma, come dice Bossi, «ci sono discussioni, ma le discussioni sono normali in un partito». Tutto scorre veloce. I delegati alzano le mani all'unanimità. I nuovi esponenti della Lega Nazionale non possono entrare nel settore principale dove ci sono i delegati. Hanno uno spazio «ospiti». C'è anche Mario Borghezio che ricorda i primi congressi con Bossi («Parlavamo a pranzo per ore e poi lui si ricordava tutto sopra il palco») e invita Salvini a impegnarsi per diventare leader mondiali. «Matteo si deve rendere conto che il ruolo che sta assumendo deve consolidare i suoi fondamentali e metapolitici, visto che in questa prospettiva può presto avere un ruolo storico». Il Capitano, come lo chiamano i suoi, ha ricordato i punti fermi della nuova Lega: «Lo scontro è fra la libertà e la dittatura. Siamo un baluardo di libertà e non bisogna avere paura. Noi siamo l'ultima speranza per il cambiamento. Siamo ultima ancora di salvezza per il popolo cristiano occidentale che conta su di noi». Poi rispetto alle inchieste che lo accerchiano in questi giorni, tra cui quella sulla nave Gregoretti, Salvini ribadisce di non pensare che «questi giudici attacchino me, attaccano un popolo. Non c'è in ballo la libertà personale di Salvini: è un attacco alla sovranità nazionale, al diritto alla sicurezza e alla difesa dei confini».
Johann Chapoutot (Wikimedia)
Col saggio «Gli irresponsabili», Johann Chapoutot rilegge l’ascesa del nazismo senza gli occhiali dell’ideologia. E mostra tra l’altro come socialdemocratici e comunisti appoggiarono il futuro Führer per mettere in crisi la Repubblica di Weimar.
«Quella di Weimar è una storia così viva che resuscita i morti e continua a porre interrogativi alla Germania e, al di là della Germania, a tutte le democrazie che, di fronte al periodo 1932-1933, a von Papen e Hitler, ma anche a Schleicher, Hindenburg, Hugenberg e Thyssen, si sono trovate a misurare la propria finitudine. Se la Grande Guerra ha insegnato alle civiltà che sono mortali, la fine della Repubblica di Weimar ha dimostrato che la democrazia è caduca».
(Guardia di Finanza)
I finanzieri del Comando Provinciale di Palermo, grazie a una capillare attività investigativa nel settore della lotta alla contraffazione hanno sequestrato oltre 10.000 peluches (di cui 3.000 presso un negozio di giocattoli all’interno di un noto centro commerciale palermitano).
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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Stefano Arcifa
Parla il neopresidente dell’Aero Club d’Italia: «Il nostro Paese primeggia in deltaplano, aeromodellismo, paracadutismo e parapendio. Rivorrei i Giochi della gioventù dell’aria».
Per intervistare Stefano Arcifa, il nuovo presidente dell’Aero Club d’Italia (Aeci), bisogna «intercettarlo» come si fa con un velivolo che passa alto e veloce. Dalla sua ratifica da parte del governo, avvenuta alla fine dell’estate, è sempre in trasferta per restare vicino ai club, enti federati e aggregati, che riuniscono gli italiani che volano per passione.
Arcifa, che cos’è l’Aero Club d’Italia?
«È il più antico ente aeronautico italiano, il riferimento per l’aviazione sportiva e turistica italiana, al nostro interno abbracciamo tutte le anime di chi ha passione per ciò che vola, dall’aeromodellismo al paracadutismo, dagli ultraleggeri al parapendio e al deltaplano. Da noi si insegna l’arte del volo con un’attenzione particolare alla sicurezza e al rispetto delle regole».
Riccardo Molinari (Ansa)
Il capogruppo leghista alla Camera: «Stiamo preparando un pacchetto sicurezza bis: rafforzeremo la legittima difesa ed estenderemo la legge anti sgomberi anche alla seconda casa. I militari nelle strade vanno aumentati».
«Vi racconto le norme in arrivo sul comparto sicurezza, vogliamo la legittima difesa “rinforzata” e nuove regole contro le baby gang. L’esercito nelle strade? I soldati di presidio vanno aumentati, non ridotti. Landini? Non ha più argomenti: ridicolo scioperare sulla manovra».
Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, la Cgil proclama l’ennesimo sciopero generale per il 12 dicembre.
«Non sanno più di cosa parlare. Esaurito il filone di Gaza dopo la firma della tregua, si sono gettati sulla manovra. Ma non ha senso».






