2023-10-02
A pulizia etnica fatta, ecco Chiesa e Onu
Papa Francesco durante l'Angelus (Ansa)
Il Pontefice prega per la minoranza armena e le Nazioni Unite inviano gli ispettori in Nagorno-Karabakh. Piccolo dettaglio: intanto sono dovute fuggire 100.000 anime.Eccoli che arrivano, a disastro avvenuto. I mezzi bianchi delle Nazioni Unite sono entrati nel Nagorno Karabakh, la striscia di terra formalmente ricompresa nel territorio dell’Azerbaigian che la popolazione di etnia armena chiama Artsakh. Qualche anno fa Karekin II, Catholicos della Chiesa apostolica armena, la definì con l’emozione che essa merita: «La sacra culla della nostra terra natia, la ricchezza del nostro popolo cristiano con la sua storia e i suoi monumenti sacri». È in quel lembo di mondo antico, decorato di monasteri silenziosi, che è giunta la missione Onu, annunciata nei giorni scorsi dal portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric, e confermata dal ministro degli Esteri azero Jeyhun Bayramov. Ieri, dopo l’Angelus, anche papa Francesco ha fatto riferimento a quanto sta accadendo in Artsakh. «Seguo in questi giorni la drammatica situazione degli sfollati del Nagorno-Karabakh», ha detto il pontefice. «Rinnovo il mio appello al dialogo tra l’Azerbaigian e l’Armenia, auspicando che i colloqui tra le parti, con il sostegno della comunità internazionale, favoriscano un accordo duraturo che ponga fine alla crisi umanitaria. Assicuro la mia preghiera per le vittime dell’esplosione di un deposito di carburante avvenuta nei pressi della città di Stepanakert». Ora, non v’è dubbio che l’intervento Onu e le parole di Francesco siano importanti per il popolo cristiano che soffre da tempo immemore e che sta sopportando in queste ore l’ennesima prova. Ma la sensazione è che questi appelli siano piuttosto lamenti funebri. Il fatto è che la Repubblica dell’Artsakh, autoproclamatasi indipendente nel 1992 e da allora pacifico avamposto armeno in terra azera, in pochi giorni è stata semplicemente annientata. Il presidente, Samvel Sahramanyan, ha annunciato pochi giorni fa di aver firmato un decreto che sancisce ufficialmente la dissoluzione dello stato autonomo a partire dal primo gennaio del 2024, dunque la fine dell’Artsakh è già scritta nei documenti ufficiali. Nel frattempo, circa 100.000 persone sono passate dal Nagorno Karabakh all’Armenia. Sono profughi in fuga dal genocidio, dalla guerra e dalle persecuzioni. Se contiamo che l’intera popolazione dell’Artsakh era composta da circa 120-140.000 persone, capite bene che quello staterello nei fatti non esiste più. Ne verranno sciolte le istituzioni, ne è stata deportata la quasi totalità della popolazione. Ecco come si uccide una nazione: se non è pulizia etnica questa, che cosa lo è?Certo, nelle ultime settimane sono stati scritti numerosi articoli e realizzati molti servizi televisivi. Adesso arrivano le Nazioni Unite (che però, come l’Ue, non hanno mai riconosciuto l’Artsakh), e ci sono perfino le parole del Papa. Tutto bellissimo e commovente. Ma intanto gli azeri sono entrati armi in pugno nella Terra di Dio e l’hanno svuotata. L’Occidente cristiano non ha versato nemmeno una lacrima, nonostante gli appelli di pochi religiosi e le grida di aiuto che per nove mesi sono giunte dal Nagorno, dopo che gli azeri hanno sbarrato la via di ingresso per rifornimenti e aiuti, lasciando la popolazione armena alla fame. L’Ue non ha emesso un fiato. Gli Usa custodi della libertà guardano soltanto a nord. Gli altri Stati si barcamenano fra complicità e imbarazzato silenzio. L’Azerbaigian, nelle ultime ore, si è permesso di minacciare addirittura un nuovo intervento armato, usando di nuovo come scusa fantomatiche operazioni anti terrorismo. Oh sì, benvenute le preghiere e benvenuto il monitoraggio umanitario. Tuttavia il vento spazza una terra desolata, e le lacrime armene cadono su una terra che loro non possono più chiamare casa.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)