2024-10-18
Su green pass e vaccini anti Covid le toghe emettono verdetti bipolari
Un giudice di pace di Bolzano ha annullato la multa a un ambulante trovato al mercato senza la certificazione. Ma intanto un Tribunale del lavoro ha respinto il ricorso di un centralinista sospeso perché privo di terza dose.Su green pass e obbligo vaccinale dopo parecchi mesi continuano ad essere emesse sentenze discordanti e incomprensibili, a conferma che in molti tribunali ancora non si ragiona secondo giustizia. Dal Veneto, per fortuna, arriva una decisione che smonta un altro pezzo della narrazione pandemica fatta di decreti legge improvvisati. L’avvocato Elisabetta Bastianon, giudice di pace a Bassano del Grappa, ha annullato la multa di 600 euro che era stata data a un ambulante il 10 febbraio del 2022 perché si trovava al mercato settimanale senza green pass. Il giudice ha ricordato che in base al decreto legge del 2021 doveva essere punito chi ometteva il controllo del certificato verde di un suo dipendente, ma che nessuna sanzione era prevista per il datore di lavoro senza green pass. Il commerciante di abbigliamento venne multato in quanto «in spregio alle misure dettate dalla normativa vigente per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid -19, svolgeva attività lavorativa in ambito aperto al pubblico sprovvisto della prescritta certificazione verde». Non si trovava in un luogo chiuso, era un piccolo imprenditore titolare di una licenza di vendita, non era tenuto ad avere il lasciapassare. Eppure gli agenti non vollero sentire ragioni, dichiararono che l’ambulante non aveva rispettato diverse disposizioni contenute nell’articolo 9- septies dell’aprile 2021, quindi «l’accesso di lavoratori ai luoghi di lavoro […] in violazione degli obblighi di cui ai commi 1 e 2 è punito con la sanzione», che da un minimo di 600 euro poteva arrivare a 1.500 euro. Lo «graziarono», inserendo nel verbale la somma più bassa, ma il commerciante ha fatto valere le sue ragioni, opponendosi anche all’ingiunzione di pagamento emessa dalla Prefettura di Vicenza. La giudice gli ha dato ragione: «Non vi è alcuna norma che sanzioni il datore di lavoro per il mancato possesso del green pass». Quanti soprusi di quel periodo restano invece impuniti? Troppi. E indigna leggere le motivazioni con le quali Francesco Perrone del Tribunale del lavoro di Padova ha rigettato l’istanza di un centralinista della Asl che si era rifiutato di fare la terza dose dopo i malori avuti a seguito delle prime due dosi ed era stato sospeso, malgrado i vent’anni di dipendenza dall’azienda. Chiedeva che gli fossero corrisposti stipendi, oneri previdenziali e assistenziali non versati nei mesi in cui era stato privato del lavoro, ma il giudice gli ha dato torto. Il poveretto ha subito anche la condanna alle spese, più di 8.000 euro. Il dottor Perrone ha difeso strenuamente le decisioni della Corte costituzionale, che giustificò l’operato del legislatore del 2021 in quanto l’obbligo aveva come finalità la prevenzione dell’infezione. «In quel momento storico» era possibile ritenere che fosse «non sproporzionato e non irragionevole», dichiarò la Consulta, ignorando la questione dell’efficacia del vaccino e senza accertare la conformità della legge con la Costituzione. Il risultato è che la Corte ha respinto tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate sul tema dell’obbligo vaccinale anti Covid -19.Il giudice del Lavoro di Padova, nella sua sentenza critica i colleghi «che hanno deciso di discostarsi dal decisum costituzionale», nel sottolineare che i vaccini anti Covid non prevengono i contagi. Ribadisce che «i vaccini in commercio sono tutti regolarmente approvati da Aifa», ed è inaccettabile «ogni ipotetica pretesa di rivalutazione tecnica circa l’idoneità di tali presidi tecnici a prevenire l’infezione dal Covid». E che le affermazioni della Consulta sui dati scientifici che attestano l’efficacia del vaccino devono essere «intese alla stregua di obiter dicta […] senza che però esse assumano in sé rilevanza decisiva», per rendere maggiormente comprensibili le sue decisioni. «A noi operatori del diritto risulta ancor più avvilente constatare che le battaglie legali vengono vanificate con un pedissequo rimando da parte dei giudici alle sentenze del 30 novembre 2022 della Corte costituzionale, che hanno rinnegato decenni di propria precedente giurisprudenza in materia», commenta l’avvocato Pierfrancesco Zen che ha difeso le istanze del centralinista sospeso. Aggiunge: «Ci sono magistrati che combattono la realtà trincerandosi dietro a norme anacronistiche e, alla prova dei fatti, sbagliate. Con qualche rara eccezione, i giudici del lavoro, forse per timore di aprire un vaso di Pandora sotto il profilo risarcitorio e del danno, non solo della mancata retribuzione e contribuzione, continuano a ignorare la realtà dei fatti e i princìpi posti proprio a tutela del lavoro, che con il loro operato dovrebbero garantire».Ancora non si conosce la decisione presa dalla Consulta il 15 ottobre, in merito al dubbio di legittimità sollevato dal Tar del Lazio sull’obbligo vaccinale che viola il rispetto della persona umana e per «la mancata previsione di un assegno alimentare», che va contro al «principio di eguaglianza e di ragionevolezza». Il Tribunale amministrativo, dichiarando «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale», aveva sospeso il giudizio nei confronti del ricorrente, assistente capo coordinatore della polizia penitenziaria, privato del lavoro e della retribuzione in quanto «non assume farmaci perché nell’assumerli ha come conseguenze effetti indesiderati ed anche gravi». Quindi nemmeno si era vaccinato contro il Covid. La Consulta ha aspettato due anni per esaminare il «dubbio», invece di inserirlo nelle altre questioni di legittimità sollevate. Respingerà pure questo?
Rocca Salimbeni, sede del Monte dei Paschi di Siena (Ansa)
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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