Toni duri dal cda di Piazzetta Cuccia sull’Ops di Siena: «Ostile e contraria ai nostri interessi». Dubbi sul risanamento del Monte. Ma l’ad Nagel ha le mani legate per la passivity rule e può solo difendersi. Titoli giù. Segno che per adesso il mercato sta a guardare.
Toni duri dal cda di Piazzetta Cuccia sull’Ops di Siena: «Ostile e contraria ai nostri interessi». Dubbi sul risanamento del Monte. Ma l’ad Nagel ha le mani legate per la passivity rule e può solo difendersi. Titoli giù. Segno che per adesso il mercato sta a guardare.I vertici di Mediobanca perdono l’aplomb da salotto buono milanese e nel comunicato diffuso dopo il cda rigettano l’offerta lanciata dal Monte dei Paschi definendola «non concordata, ostile, priva di razionale industriale e finanziario, fortemente distruttiva di valore e contraria agli interessi» della banca. Per la cosiddetta passivity rule, però, il vertice dell’istituto di Piazzetta Cuccia ha le mani legate (non potranno nemmeno essere affittate azioni in vista delle prossime assemblee). E per il momento può solo scendere in trincea preparandosi a una guerra di resistenza che si giocherà su due campi di battaglia, quello bancario ma anche quello assicurativo sulle Generali. La bocciatura era prevista. Ma nella nota di ieri, approvata da tutti i consiglieri tranne i due espressione di Delfin (la holding della famiglia Del Vecchio che possiede poco meno del 20%), vengono usati toni durissimi, già dalla premessa: «Fermo restando che Mediobanca si esprimerà sull’offerta con le tempistiche, gli strumenti e secondo le modalità previste dalla legge, sulla base dell’analisi del comunicato il consiglio di amministrazione di Mediobanca ritiene l’offerta priva di razionale industriale e finanziario, e dunque distruttiva di valore per Mediobanca». Resta da capire se per tutti gli azionisti - a parte chiaramente Francesco Gaetano Caltagirone (al 7,7%) e Delfin (al 19,8%) che hanno mosso l’Ops del Monte di cui sono entrambi soci (rispettivamente con il 5,02 e il 9,7%) – c’è creazione o distruzione di valore in questa operazione. Ma torniamo al comunicato di Mediobanca che prosegue ricordando il percorso industriale in corso, la strategia prevista dal piano industriale al 2026, i risultati ottenuti nelle singole attività del gruppo e i dividendi distribuiti ai soci. Poi arriva il giudizio sull’offerta pubblica di scambio del Monte dei Paschi. E i motivi per cui viene rigettata: il cda della banca guidata da Alberto Nagel ritiene che l’Ops non abbia «valenza industriale», pregiudichi «l’identità e il profilo di business del gruppo Mediobanca focalizzato su segmenti di attività a elevato valore aggiunto e con evidenti traiettorie di crescita, distrugga valore per gli azionisti di Mediobanca e di Mps essendo facile prevedere una copiosa perdita di clienti in quelle attività (quali il wealth management e l’investment banking) che presuppongono l’indipendenza, la reputazione e la professionalità dei professionisti». Il board ritiene anche che l’offerta «sia negativamente caratterizzata dalla difficoltà a determinare il valore intrinseco dell’azione di Mps che presenta un patrimonio netto che fronteggia rilevanti attività fiscali, attività deteriorate e rischi di contenzioso legale (3,3 miliardi), indicatori di rischio peggiori rispetto alle altre banche italiane, rilevanti perdite pregresse, una marcata concentrazione geografica (70% filiali al centro-sud Italia) e di clientela (piccole media impresa), mancanza di fabbriche prodotto». Insomma, Nagel mette nel mirino anche il risanamento di Siena che evidentemente non considera concluso.Non solo. Secondo il cda di Piazzetta Cuccia l’operazione manca di razionale industriale perché comporta «un forte indebolimento del modello di business di Mediobanca focalizzato sui segmenti di attività specializzate e redditizie quali il wealth management e l’investment banking», anzi ci sarebbe «un loro cospicuo deterioramento perché l’attività di investment banking a favore delle grandi e medie aziende richiede indipendenza di giudizio e assenza di conflitti di interesse che non si conciliano con una matrice di banca commerciale». E ancora: «L’operazione comporterebbe un’immediata perdita della clientela bancaria e finanziaria e di parte di quella large corporate che migrerebbe verso boutique specializzate o banche estere; analogamente, perdite di ricavi e clienti interesserebbero il wealth management e l’investment banking». Con il risultato, sempre secondo la maggioranza del cda di Mediobanca, che «è facile prevedere una migrazione verso banche estere, intermediari non bancari o le due maggiori banche italiane; la perdita di clientela sarà ragionevolmente accompagnata dalla perdita delle migliori risorse umane del gruppo; assenza di apprezzabili sinergie di costo non avendo i due gruppi sovrapposizioni di reti distributive». Ma non finisce qui. Si precisa anche che «l’operazione manca di un razionale finanziario in quanto comporta per le ragioni sopra esposte: un forte pregiudizio al profilo reddituale di Mediobanca e una diluizione dei multipli valutativi». Nella nota si cita «il calo del titolo Mps dopo l’annuncio che ne testimonia la fragilità del corso di Borsa, che rende improbabile il buon esito dell’operazione». Ieri in Piazza Affari le azioni del Monte hanno ceduto un altro 2,45% a 6,2 euro, giù anche Generali (-0,96% a 29,9 euro) e Mediobanca (-4,36% a 15,7 euro), segno che il mercato sta a guardare. Nelle argomentazioni a difesa della bocciatura il cda punta, infine, l’indice su Caltagirone e Delfin. Ovvero sui «rilevanti intrecci azionari dei due soci che sono presenti in Mediobanca, dove Delfin detiene il 20% e Caltagirone il 7%, in Mps, dove Delfin è il primo azionista privato con il 10%, mentre Caltagirone detiene il 5% (oltre a detenere il 5% di Anima che a sua volta possiede il 4% di Mps), in Generali, dove Delfin detiene il 10% e Caltagirone il 7%». Secondo Piazzetta Cuccia, «la presenza degli stessi azionisti in Mps, Mediobanca e Generali nell’ambito di un’offerta esclusivamente in azioni, configura una potenziale disomogeneità negli interessi rispetto al resto della compagine azionaria».
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