2022-08-07
Anche i movimenti anti sistema finiscono per farsi contagiare dalla psicosi fascismo
Il leader di Italexit, Gianluigi Paragone (Imagoeconomica)
Alternativa usa come scusa la candidata di Casa Pound e rompe con Gianluigi Paragone. Così dimostra di scimmiottare la sinistra.Sembra che la paranoia sia sempre la stessa, a ogni livello. La posizione delle forze di sinistra è uguale ogni volta: o si fa come decidono loro, oppure scatta l’allarme fascismo. Nei giorni scorsi abbiamo assistito alla triste cagnara montata dal Partito democratico dopo la caduta del governo Draghi. Di fronte al sano e fisiologico moto della democrazia (un esecutivo si sfascia, dunque si torna a votare) immediatamente è iniziato il delirio sulle presunte forze oscure della reazione in agguato. Il centrodestra e Giorgia Meloni sono stati dipinti come pericolosi nostalgici pronti a creare un nuovo e temibile regime. Repubblica per giorni ha insistito a pubblicare articoli terroristici sui presunti legami di Fratelli d’Italia con chissà quali ali estreme della destra più nera. Ebbene, ora assistiamo a una polemica analoga, ugualmente triste, ma utile a smontare un po’ di ipocrisie in varie direzioni. Nei mesi scorsi si è assistito a una notevole mobilitazione per la creazione di una sorta di chimera chiamata «fronte unico del dissenso». Vari movimenti che, delusi dai partiti tradizionali, negli ultimi due anni hanno animato le piazze e hanno creato iniziative importanti contro il green pass e le imposizioni della Cattedrale sanitaria hanno cercato di darsi uno sbocco politico più diretto. In molti hanno auspicato la nascita di un movimento che comprendesse sotto un unico ombrello tutte le realtà, ma come era fin dall’inizio prevedibile, ciò non è avvenuto. E il motivo è molto facile a dirsi: alla fine ha prevalso la politica nel senso deteriore del termine. Tante erano le personalità motivate e oneste, pronte a spendersi per la causa. Ma altrettanti erano i furbetti in cerca di visibilità, ansiosi di capitalizzare l’opposizione di strada. Così, alla fine, solo pochissimi movimenti e partiti strutturati sono usciti integri dal ribollente calderone «dissenziente». Il più visibile di questi è probabilmente Italexit di Gianluigi Paragone, che da subito si è schierato in netta opposizione alle politiche autoritarie messe in atto dai governi Conte e Draghi sul piano sanitario. Come noto, a questo come ad altri movimenti di recente creazione è stato gettato un bel macigno sulle spalle: la raccolta firme necessaria alla presentazione delle liste. Basta studiare anche solo superficialmente la questione per comprendere che si tratta di una misura decisamente antidemocratica. A prescindere da ciò che di essi si pensi, perché questi partiti devono avere vita difficile e non possono almeno provare a giocarsela serenamente in sede elettorale? Mistero (nemmeno troppo buffo). Per aggirare lo scoglio, Italexit ha tentato un appartamento con il movimento Alternativa di Pino Cabras e Francesco Forciniti, arrivati a suo tempo in Parlamento con il Movimento 5 stelle. Sulle prime sembrava che l’unione fosse fatta, ma ecco che, negli ultimi giorni, ha ripreso a manifestarsi l’antica psicosi sinistra. Alternativa non ha trovato un accordo con Italexit sui nomi delle persone da inserire in lista. Chissà, magari pretendeva garanzie o qualche posto più sicuro, fatto sta che ha mollato il colpo e, con stile degno del Pd, ha pensato bene di buttarla sul fascismo. «Nella composizione in dettaglio delle liste presentata da Italexit abbiamo riscontrato la presenza, anche in ruoli di capolista, di candidati organici a formazioni di ispirazione neofascista. Non vogliamo che le liste siano condizionate dal peso ideologico di esponenti del fascismo nostalgico favoriti dal meccanismo delle liste bloccate», dice il comunicato diffuso da Alternativa. Chi sarebbero questi spaventosi nostalgici? Carlotta Chiaraluce, che negli anni passati si è fatta notare per le sue battaglie con Casa Pound. Secondo gli ex 5 stelle, la giovane candidata è inaccettabile in quanto avrebbe «connotazioni personali d’ispirazione fascista militante». A parere di Paragone, il fascismo è un pretesto: «Italexit voleva riunire intorno a un unico progetto le forze che in questi mesi si sono opposte al green pass, al vaccino obbligatorio e alle imposizioni sanitarie dei governi Conte e Draghi, senza discriminarne nessuna», dice il leader del movimento. «Purtroppo, abbiamo dovuto prendere atto che l’unico interesse di Alternativa era di ottenere posizioni in lista e di usare Italexit come un taxi per il Parlamento». È facile che dietro a tutto ci siano ragioni di bottega. Ma al centro resta la questione psicotica. È possibile che ogni volta, e a ogni livello, si finisca a tirare in ballo il fascismo? Persino coloro che vorrebbero «combattere il sistema» si appropriano del più classico degli argomenti mainstream, e usano le stesse tecniche di demonizzazione dell’avversario usate da chi, nei mesi, passati, ha sventolato lo spauracchio no vax prima e putiniano poi. La faccenda ha del grottesco. Per altro, involontariamente, Alternativa crea un esilarante cortocircuito con le uscite di Repubblica. Secondo il giornale progressista, il veicolo dei perfidi fasci sarebbe la Meloni; a parere degli ex 5 stelle i cattivoni stanno invece con Paragone, il quale si pone in netto dissenso anche rispetto a Fdi. Davvero curioso. Alla fine della fiera, il succo è sempre lo stesso. In Italia esiste un retaggio progressista che impedisce qualunque passo avanti. È evidente che le categorie tradizionali, di fronte alle sfide politiche di questi anni, siano esplose. La vera linea di demarcazione, oggi, è fra chi è a favore del sistema dominante e chi lo contesta. In molti, anche a sinistra, lo hanno compreso. Ma troppo spesso l’ottuso pregiudizio rimane. Pure fra chi intende presentarsi quale antagonista duro e puro: per costoro è meglio adeguarsi alle regoline mainstream che portare avanti battaglie insieme con i «temibili destrorsi», per quanto giuste esse siano.La lezione da apprendere è dura ma importante. Il dissenso vero non lo creano gli slogan e le pose, ma la serietà, i contenuti densi e l’apertura mentale. Tutto il resto è pallida caricatura del Pd.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.