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2021-08-19
Un morto, due stupri, droga e alcol. Ma il maxi raduno illegale continua
Al terreno occupato, 35 ettari coltivati a grano a un tiro di schioppo dal lago di Mezzano, nella dispersa campagna di Valentano, paesello medievale con scarse 3.000 anime, si accede da tre diverse direttrici: Viterbo, Grosseto e Siena. Da lì, tra il 13 e il 14 agosto, sono passati indisturbati tir carichi di casse audio per migliaia di watt, carovane di furgoni e di automobili partite da tutta l'Europa. E, così, quel lembo di terra arsa e impolverata della Tuscia si è trasformata nello Space Travel, uno dei più grandi rave party della storia d'Italia. Ma anche in uno dei peggiori pasticci della storia dell'ordine e della sicurezza pubblica del Paese. Un ragazzo, Gianluca Santiago, morto per una overdose e finito in un lago, probabilmente una seconda vittima, colpita da arresto cardiaco, la cui notizia non viene confermata da alcuna fonte ufficiale ma che è finita sui siti di tutti i quotidiani online, due stupri denunciati in ospedale, cinque giovani ricoverati in coma etilico, uno dei quali positivo al Covid. E perfino il parto di una bambina, con la mamma che al nono mese di gravidanza non si è fatta scrupoli pur di raggiungere il rave. Questo è ciò che è accaduto finora nel non luogo scelto per l'assembramento di tekno non stop alimentato da giornate alcoliche, farmaci e droga sintetica. Ma a far tremare le istituzioni, che hanno convocato il Comitato della sicurezza al Viminale, è quello che potrebbe ancora accadere fino al 23. Perché, se da una parte è vero che degli stimati 10.000 partecipanti una buona fetta è ripartita dopo aver azzerato le proprie scorte di denaro, di alimentari e di droga (nei giorni successivi la quota sarebbe scesa tra le 6.000 e le 8.000 presenze), sembra che ci siano diversi autobus in arrivo. Quando sui gruppi social frequentati dai raver si è diffusa la notizia che per Prefettura e Questura la situazione era diventata ingestibile, per sfidare lo Stato sono partiti i rinforzi.
Il sottosegretario all'Interno Nicola Molteni ha fatto sapere che «sono stati evitati ulteriori ingressi e sono state identificate persone e veicoli che hanno illegalmente occupato l'area protetta».
La Procura di Viterbo ha aperto un'inchiesta con l'ipotesi di «morte in conseguenza di altro delitto», ovvero la cessione di droga. Ma gli investigatori, nella loro ricostruzione, sono partiti da chi potrebbe aver segnalato quel posto semi sconosciuto.
L'amara scoperta l'ha fatta il proprietario di una buona parte di quei terreni occupati, Piero Camilli, 71 anni, imprenditore, sindaco di Grotte di Castro ed ex patron del Grosseto calcio. Quando è arrivato nella sua villetta in campagna, accompagnato dalla colonna sonora tekno, ha visto centinaia di camper. E quando si è affacciato nel luogo dal quale proveniva quel rumore martellante e inarrestabile non riusciva a credere ai suoi occhi. Erano state allestite un'area gastronomica, una per la musica e una per gli stupefacenti, con tanto di cartello con l'indicazione «fumo». Su una tanica per l'acqua è addirittura indicato dove trovare la «pasticca arancione Tiger/Kenzo Alprazolan (Xanax)». Il commento del sindaco è amaro: «Le forze dell'ordine sono inermi. Ecco come siamo finiti in Italia, non siamo più padroni a casa nostra». E anche se i nuclei della celere hanno cinturato l'area, i raver si sentono intoccabili e non mollano. Il questore di Viterbo, Giancarlo Sant'Elia, napoletano, proveniente da un'esperienza in Vaticano come organizzatore della sicurezza per il Santo Padre, ha dichiarato la resa: «Lo sgombero è impossibile. Ci sono migliaia di partecipanti sparpagliati». Il prefetto Giovanni Bruno martedì aveva dato un ultimatum: «La festa deve finire domani». Parole al vento.
Ma l'idea di una resa dello Stato viene respinta. Il portavoce dell'Associazione nazionale funzionari di polizia, Girolamo Lacquaniti, sostiene che «non sembra coerente con quella che è una scelta, secondo noi correttissima, di evitare scenari di straordinario rischio». Un intervento prevederebbe un uso della forza che dovrebbe tenere conto dei rischi connessi al movimento di mezzi pesanti tra la folla. E allora le forze dell'ordine se ne stanno lì a guardare, mentre si consuma quella che per i raver è una umiliazione delle istituzioni. «È una situazione gravissima», denuncia il sindaco di Valentano Stefano Bigiotti, che chiede «l'intervento diretto del ministro dell'Interno». Ma Luciana Lamorgese per tutta la giornata di ieri è rimasta in silenzio, mandando avanti con le agenzie di stampa «fonti del Viminale», che fanno sapere che le forze di polizia «stanno lavorando con grande senso di responsabilità per ripristinare la legalità nel più breve tempo possibile». Dalla Questura di Viterbo dicono che con gli organizzatori, dei ragazzi francesi, è stata avviata una trattativa. Ma gli uomini della fiera dell'illegalità hanno risposto che non andranno via prima di aver coperto completamente i costi. Alle loro spalle lasceranno un morto, forse due e tonnellate di rifiuti che il piccolo Comune dovrà capire come smaltire. Con buona pace delle istituzioni.
Sicilia in allarme per casi e ricoveri però sbarcano altri 166 clandestini
Continuano senza sosta gli arrivi sulle coste italiane legati al fenomeno dell'accoglienza. Sono stati infatti sbarcati ieri nel porto di Augusta i 166 passeggeri recuperati in mare in quattro diverse operazioni dalla nave Resq people, l'imbarcazione di 39 metri varata dalla quasi omonima ong Resq-People Saving People, di cui è presidente onorario l'ex pm del pool Mani pulite Gherardo Colombo. A bordo della nave anche 12 bambini, scesi a terra ieri sulle banchine del porto della cittadina in provincia di Siracusa assegnata come porto sicuro (richiesto domenica dall'organizzazione non governativa) all'imbarcazione anche a seguito di numerosi appelli pubblici di personalità di sinistra, tra cui l'ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, affiancati da un campagna su Twitter che in alcuni casi arrivava perfino a mettere la confronto l'esigenza del porto sicuro per l'imbarcazione dell'Ong italiana con la nascente crisi umanitaria in Afghanistan. A ieri gli sbarchi censiti nel nostro Paese erano 34.868, 413 in più di quelli al 16 agosto, dati che portano il totale provvisorio del 2021 a superare quello definitivo dello scorso anno di arrivi del 2020, quando il dato, comunque impressionante, si era fermato a 34.154. Ma se il trend dovesse rimanere quello degli ultimi giorni, il dato del 2021 potrebbe sfiorare il raddoppio, con in prima linea la Sicilia e le altre isole come Pantelleria e Lampedusa (dove ieri sono comunque arrivati altre 34 persone) il cui hotspot, ad esempio è di fatto al collasso. La struttura infatti ha una capienza massima di 250 ospiti, ma quest'anno non si è mai scesi al di sotto delle 300 persone presenti, con punte di oltre mille stipate in una struttura sottodimensionata. Una situazione che sta mettendo sotto pressione il personale sanitario, che anche nelle isole minori fa parte delle Asl siciliane già provate dai numeri della pandemia.
Al momento sulle condizioni di salute dei passeggeri sbarcati esiste solo una generica dichiarazione di Colombo, secondo il quale «al momento non ci sono problemi dal punto di vista sanitario». Nulla si sa quindi riguardo a possibili casi di positivi al Covid-19, che andrebbero a impattare sulla situazione della Sicilia, già a rischio di zona gialla. La regione insulare infatti è prima in Italia sia per incidenza di posti letto occupati che per numero di degenti, saliti ieri a quota 701 (17 in più in un giorno) in area medica e a 80 (tre in più) nelle terapie intensive. In totale ieri in Sicilia anche ieri si sono registrati 997 nuovi casi di Covid su 15.038 tamponi processati, che non comprendono però i 144 adulti a bordo della Resq people, alla sua prima operazione in mare con il nuovo nome e la nuova organizzazione, ma i n realtà una vecchia conoscenza delle cronache sull'accoglienza. Quando navigava nel Mediterraneo per l'ong tedesca Sea Eye con il nome Alan Kurdi divenne infatti famosa per la prima inchiesta che colpì l'allora ministro dell'Interno del governo Conte I, Matteo Salvini. Il 3 aprile del 2019 la nave fece salire a bordo al largo della Libia, 64 persone accorse su un gommone. Il Viminale si oppose allo sbarco in Italia, l'imbarcazione restò 10 giorni al largo per poi fare rotta verso Malta e infine ridistribuire i 64 a bordo in altri paesi europei. Una scelta che costò al leader della Lega e al suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi, un'indagine per abuso d'ufficio e rifiuto di atti d'ufficio. Posizione poi archiviata dal Tribunale dei ministri.
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Fino a 10.000 persone alla festa nel Viterbese iniziata sei giorni fa. La Procura indaga sul decesso del giovane trovato nel lago. E il caos prosegue: un'altra vittima da confermare, intossicazioni, violenze e perfino un parto.La Resq people di Gherardo Colombo ha attraccato ad Augusta. A Lampedusa 34 nuovi ingressi.Lo speciale contiene due articoli.Al terreno occupato, 35 ettari coltivati a grano a un tiro di schioppo dal lago di Mezzano, nella dispersa campagna di Valentano, paesello medievale con scarse 3.000 anime, si accede da tre diverse direttrici: Viterbo, Grosseto e Siena. Da lì, tra il 13 e il 14 agosto, sono passati indisturbati tir carichi di casse audio per migliaia di watt, carovane di furgoni e di automobili partite da tutta l'Europa. E, così, quel lembo di terra arsa e impolverata della Tuscia si è trasformata nello Space Travel, uno dei più grandi rave party della storia d'Italia. Ma anche in uno dei peggiori pasticci della storia dell'ordine e della sicurezza pubblica del Paese. Un ragazzo, Gianluca Santiago, morto per una overdose e finito in un lago, probabilmente una seconda vittima, colpita da arresto cardiaco, la cui notizia non viene confermata da alcuna fonte ufficiale ma che è finita sui siti di tutti i quotidiani online, due stupri denunciati in ospedale, cinque giovani ricoverati in coma etilico, uno dei quali positivo al Covid. E perfino il parto di una bambina, con la mamma che al nono mese di gravidanza non si è fatta scrupoli pur di raggiungere il rave. Questo è ciò che è accaduto finora nel non luogo scelto per l'assembramento di tekno non stop alimentato da giornate alcoliche, farmaci e droga sintetica. Ma a far tremare le istituzioni, che hanno convocato il Comitato della sicurezza al Viminale, è quello che potrebbe ancora accadere fino al 23. Perché, se da una parte è vero che degli stimati 10.000 partecipanti una buona fetta è ripartita dopo aver azzerato le proprie scorte di denaro, di alimentari e di droga (nei giorni successivi la quota sarebbe scesa tra le 6.000 e le 8.000 presenze), sembra che ci siano diversi autobus in arrivo. Quando sui gruppi social frequentati dai raver si è diffusa la notizia che per Prefettura e Questura la situazione era diventata ingestibile, per sfidare lo Stato sono partiti i rinforzi. Il sottosegretario all'Interno Nicola Molteni ha fatto sapere che «sono stati evitati ulteriori ingressi e sono state identificate persone e veicoli che hanno illegalmente occupato l'area protetta». La Procura di Viterbo ha aperto un'inchiesta con l'ipotesi di «morte in conseguenza di altro delitto», ovvero la cessione di droga. Ma gli investigatori, nella loro ricostruzione, sono partiti da chi potrebbe aver segnalato quel posto semi sconosciuto. L'amara scoperta l'ha fatta il proprietario di una buona parte di quei terreni occupati, Piero Camilli, 71 anni, imprenditore, sindaco di Grotte di Castro ed ex patron del Grosseto calcio. Quando è arrivato nella sua villetta in campagna, accompagnato dalla colonna sonora tekno, ha visto centinaia di camper. E quando si è affacciato nel luogo dal quale proveniva quel rumore martellante e inarrestabile non riusciva a credere ai suoi occhi. Erano state allestite un'area gastronomica, una per la musica e una per gli stupefacenti, con tanto di cartello con l'indicazione «fumo». Su una tanica per l'acqua è addirittura indicato dove trovare la «pasticca arancione Tiger/Kenzo Alprazolan (Xanax)». Il commento del sindaco è amaro: «Le forze dell'ordine sono inermi. Ecco come siamo finiti in Italia, non siamo più padroni a casa nostra». E anche se i nuclei della celere hanno cinturato l'area, i raver si sentono intoccabili e non mollano. Il questore di Viterbo, Giancarlo Sant'Elia, napoletano, proveniente da un'esperienza in Vaticano come organizzatore della sicurezza per il Santo Padre, ha dichiarato la resa: «Lo sgombero è impossibile. Ci sono migliaia di partecipanti sparpagliati». Il prefetto Giovanni Bruno martedì aveva dato un ultimatum: «La festa deve finire domani». Parole al vento.Ma l'idea di una resa dello Stato viene respinta. Il portavoce dell'Associazione nazionale funzionari di polizia, Girolamo Lacquaniti, sostiene che «non sembra coerente con quella che è una scelta, secondo noi correttissima, di evitare scenari di straordinario rischio». Un intervento prevederebbe un uso della forza che dovrebbe tenere conto dei rischi connessi al movimento di mezzi pesanti tra la folla. E allora le forze dell'ordine se ne stanno lì a guardare, mentre si consuma quella che per i raver è una umiliazione delle istituzioni. «È una situazione gravissima», denuncia il sindaco di Valentano Stefano Bigiotti, che chiede «l'intervento diretto del ministro dell'Interno». Ma Luciana Lamorgese per tutta la giornata di ieri è rimasta in silenzio, mandando avanti con le agenzie di stampa «fonti del Viminale», che fanno sapere che le forze di polizia «stanno lavorando con grande senso di responsabilità per ripristinare la legalità nel più breve tempo possibile». Dalla Questura di Viterbo dicono che con gli organizzatori, dei ragazzi francesi, è stata avviata una trattativa. Ma gli uomini della fiera dell'illegalità hanno risposto che non andranno via prima di aver coperto completamente i costi. Alle loro spalle lasceranno un morto, forse due e tonnellate di rifiuti che il piccolo Comune dovrà capire come smaltire. 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A bordo della nave anche 12 bambini, scesi a terra ieri sulle banchine del porto della cittadina in provincia di Siracusa assegnata come porto sicuro (richiesto domenica dall'organizzazione non governativa) all'imbarcazione anche a seguito di numerosi appelli pubblici di personalità di sinistra, tra cui l'ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, affiancati da un campagna su Twitter che in alcuni casi arrivava perfino a mettere la confronto l'esigenza del porto sicuro per l'imbarcazione dell'Ong italiana con la nascente crisi umanitaria in Afghanistan. A ieri gli sbarchi censiti nel nostro Paese erano 34.868, 413 in più di quelli al 16 agosto, dati che portano il totale provvisorio del 2021 a superare quello definitivo dello scorso anno di arrivi del 2020, quando il dato, comunque impressionante, si era fermato a 34.154. Ma se il trend dovesse rimanere quello degli ultimi giorni, il dato del 2021 potrebbe sfiorare il raddoppio, con in prima linea la Sicilia e le altre isole come Pantelleria e Lampedusa (dove ieri sono comunque arrivati altre 34 persone) il cui hotspot, ad esempio è di fatto al collasso. La struttura infatti ha una capienza massima di 250 ospiti, ma quest'anno non si è mai scesi al di sotto delle 300 persone presenti, con punte di oltre mille stipate in una struttura sottodimensionata. Una situazione che sta mettendo sotto pressione il personale sanitario, che anche nelle isole minori fa parte delle Asl siciliane già provate dai numeri della pandemia. Al momento sulle condizioni di salute dei passeggeri sbarcati esiste solo una generica dichiarazione di Colombo, secondo il quale «al momento non ci sono problemi dal punto di vista sanitario». Nulla si sa quindi riguardo a possibili casi di positivi al Covid-19, che andrebbero a impattare sulla situazione della Sicilia, già a rischio di zona gialla. La regione insulare infatti è prima in Italia sia per incidenza di posti letto occupati che per numero di degenti, saliti ieri a quota 701 (17 in più in un giorno) in area medica e a 80 (tre in più) nelle terapie intensive. In totale ieri in Sicilia anche ieri si sono registrati 997 nuovi casi di Covid su 15.038 tamponi processati, che non comprendono però i 144 adulti a bordo della Resq people, alla sua prima operazione in mare con il nuovo nome e la nuova organizzazione, ma i n realtà una vecchia conoscenza delle cronache sull'accoglienza. Quando navigava nel Mediterraneo per l'ong tedesca Sea Eye con il nome Alan Kurdi divenne infatti famosa per la prima inchiesta che colpì l'allora ministro dell'Interno del governo Conte I, Matteo Salvini. Il 3 aprile del 2019 la nave fece salire a bordo al largo della Libia, 64 persone accorse su un gommone. Il Viminale si oppose allo sbarco in Italia, l'imbarcazione restò 10 giorni al largo per poi fare rotta verso Malta e infine ridistribuire i 64 a bordo in altri paesi europei. Una scelta che costò al leader della Lega e al suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi, un'indagine per abuso d'ufficio e rifiuto di atti d'ufficio. Posizione poi archiviata dal Tribunale dei ministri.
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E come si può chiamare un tizio che promette «appena posso (violare la legge, ndr) lo rifaccio»?. «Costi quel che costi», disse Luca Casarini, «al vostro ordine continuerò a disobbedire, perché obbedisco ad altro, di fronte al quale le vostre leggi ingiuste e criminali, ciniche e orribili non possono niente». Quelle contestate sono le leggi dello Stato italiano, approvate dal Parlamento italiano, vigilate dalla Corte costituzionale italiana, rispettate dalla maggioranza degli italiani. Ma per Casarini e compagni si possono ignorare. Anzi, si devono violare. E nessuno può permettersi il diritto di critica e di chiamarli pirati. «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno», disse Beppe Caccia, capo missione di Mediterranea, «ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana, alle leggi dell’umanità». Chi si può arrogare il diritto di stabilire che ci si può infischiare di una legge? Ve la immaginate quale sarebbe la reazione di fronte a un tizio che ignora il codice della strada o la normativa fiscale e dice che lui risponde a una legge superiore? E vi ricorda qualche cosa la definizione di «legge criminale»? Negli anni della contestazione lo Stato era criminale, le misure repressive, i divieti autoritari. Come sia finita si sa.
Il soccorso in mare ha un obiettivo politico: è un’azione che mira a «contrastare e a sovvertire il sistema capitalista e patriarcale» come ha spiegato don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea. «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo», ha aggiunto Carola Rackete, la capitana che nella foga di attraccare nonostante le fosse stato negato il diritto allo sbarco andò a sbattere con la sua nave contro una motovedetta della Guardia di finanza. E costoro non si possono definire pirati? Chiamarli tali, perché come diceva il filosofo Giulio Giorello a proposito dei bucanieri, ritengono la loro coscienza «superiore a ogni legge», sarebbe diffamatorio? E quale offesa alla propria reputazione, quale danno, avrebbero patito, di grazia? È evidente che le querele hanno un obiettivo: tappare la bocca a chi esprime un giudizio critico, impedire alla libera stampa di dire quel che pensa e di chiamare le cose con il loro nome.
Da una settimana si discute di giornali comprati e venduti, perché John Elkann ha messo in vendita Repubblica e La Stampa. Ma la minaccia all’articolo 21 della Costituzione non viene da un imprenditore greco o italiano che compra una testata, bensì dal tentativo di imbavagliare chi si oppone, con le inchieste e le notizie, alla strategia dell’immigrazione, arma - come predica don Ferrari - usata per abbattere il sistema capitalistico e patriarcale. Sono certo che di fronte alla sentenza contro Panorama non si leveranno le voci degli indignati speciali. Quelle si alzano solo quando condannano Roberto Saviano a pagare mille euro per aver chiamato bastardi Meloni e Salvini. Visti i risultati, mi conveniva titolare «I nuovi bastardi».
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Giorgia Meloni (Ansa)
La commissione per le libertà civili dell’Eurocamera e i negoziatori del Consiglio hanno concordato informalmente le nuove norme in base alle quali gli Stati membri possono decidere che un Paese extra Ue sia da considerarsi Paese terzo sicuro (Stc) nei confronti di un richiedente asilo che non ne è cittadino. Alla base di tutto c’è stata un’iniziativa del governo di Giorgio Meloni e l’appoggio di Ursula von der Leyen, che aveva capito che bisognava intervenire contro le interpretazioni creative.
La Commissione ha subito emesso una nota di soddisfazione: «Queste nuove norme aiuteranno gli Stati membri ad accelerare il trattamento delle domande di asilo, a ridurre la pressione sui sistemi di asilo e a ridurre gli incentivi alla migrazione illegale verso l’Ue, preservando nel contempo le garanzie giuridiche per i richiedenti e garantendo il rispetto dei diritti fondamentali».
Il fronte contrario a una miglior specificazione del concetto di Paese sicuro teme che le nuove regole possano tradursi in una minor tutela dei richiedenti asilo. Ma dall’altro, i contrari non sembrano propensi ad ammettere che i Paesi veramente democratici, almeno secondo i canoni occidentali, sono sempre meno.
A margine del Consiglio europeo, Giorgia Meloni, insieme ai colleghi danese, Mette Frederiksen, e olandese, Dick Schoof, ha ospitato una nuova riunione informale dei 15 Stati membri più interessati al tema delle soluzioni in ambito migratorio.
Insieme a Italia, Danimarca, Paesi Bassi e Commissione europea, hanno preso parte all’incontro i leader di Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Germania, Grecia, Polonia, Repubblica ceca, Lettonia, Malta, Ungheria e Svezia.
In questa sede, come spiega una nota di Palazzo Chigi, il premier italiano ha aggiornato i colleghi sul lavoro in corso «sul tema della capacità delle Convenzioni internazionali di rispondere alle sfide della migrazione irregolare e sulle prossime iniziative previste».
Dopo il risultato dello scorso 10 dicembre, quando 27 Stati membri del Consiglio d’Europa hanno sottoscritto la dichiarazione politica italo-danese, ora il lavoro continua in vista della Ministeriale del Consiglio d’Europa, sotto la presidenza moldava, del prossimo 15 maggio.
I leader hanno anche concordato di lanciare iniziative congiunte anche nei diversi contesti internazionali, a partire dall’Onu, per «promuovere più efficacemente l’approccio europeo ad una gestione ordinata dei flussi migratori».
Per Alessandro Ciriani, eurodeputato di Fdi-Ecr e relatore per il Parlamento europeo del dossier sui Paesi terzi sicuri, «la lista concordata - che comprende, oltre ai Paesi candidati, Egitto, Bangladesh, Tunisia, India, Colombia, Marocco e Kosovo - produrrà effetti immediati sulle pratiche di esame delle domande di protezione internazionale, accelerando le procedure e rafforzando la certezza applicativa». In generale, per Ciriani «è un momento storico: grazie al lavoro del governo italiano, anche in Europa si supera la polarizzazione politica in tema di immigrazione e si sceglie la via del buonsenso».
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Carola Rackete (Getty Images)
Era marzo 2021 e così prometteva di sfidare la magistratura Luca Casarini, fondatore e capomissione di Mediterranea Saving Humans. L’ex disobbediente del Nord-Est dichiarava di voler continuare a non rispettare le regole, l’ha ribadito anche lo scorso ottobre in apertura del processo a Ragusa dove è accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante di averne tratto profitto. «¡Aquí no se rinde nadie! qui non si arrende nessuno», terminò il suo post su Facebook poco prima dell’udienza, citando la frase pronunciata dal comandante rivoluzionario Juan Almeida Bosque durante lo sbarco dei guerriglieri a Cuba. Casarini non riconosce la legge e poco importa se traveste l’inosservanza con scuse umanitarie: la lista dei disobbedienti per torti e offese subìte sarebbe interminabile, mentre in uno Stato di diritto non si fa giustizia a propria misura calpestando l’ordinamento.
Il capomissione della Ong si vanta di essere un trasgressore, solca i mari con «la nave dei centri sociali» agendo senza regole se non le condivide. «Io ho fatto del ragionamento sulla disobbedienza una caratteristica della mia vita [...] Sono i governi che violano continuamente la legge», è una sua precedente affermazione datata marzo 2019 in piena vicenda Mare Jonio, la barca entrata nel porto di Lampedusa malgrado il no del Viminale allora retto da Matteo Salvini.
Non è da meno il capo missione di Mediterranea, Beppe Caccia, che lo scorso agosto ammetteva con orgoglio di avere infranto la legge: «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno. Ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana e alle leggi dell’umanità». No, la Costituzione afferma che la legge è uguale per tutti, senza distinzioni di sorta e che tutti sono tenuti a rispettarla.
Eppure Carola Rackete si è vantata più volte di averla calpestata nel nostro Paese. La comandante tedesca della nave Sea Watch 3, che con le sue 650 tonnellate di stazza aveva investito la motovedetta della Guardia di finanza colpevole solo di avere intimato l’alt, nel giugno del 2019 giustificava l’azione. «Non è stato un atto di violenza. Solo di disobbedienza. Ma ho sbagliato la manovra. Per me era vietato obbedire. Mi chiedevano di riportarli in Libia. Ma per la legge sono persone che fuggono da un Paese in guerra, la legge vieta che io le possa riportare là», era la sua strabiliante versione accolta anche dal gip del tribunale di Agrigento che archiviò le accuse di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e disobbedienza a nave da guerra. Salvini protestò: «Quindi, se capisco bene la sentenza, speronare una motovedetta militare italiana con uomini a bordo non è reato. Torniamo ai tempi dei pirati… No comment». Rackete un mese dopo tornava a vantarsi: «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal Decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo. Talvolta servono azioni di disobbedienza civile per affermare diritti umani e portare leggi sbagliate di fronte a un giudice».
In quest’ottica, l’assurdità dei decreti legge emanati durante l’emergenza Covid dovrebbero giustificare gli atti di disobbedienza compiuti, anche con il rifiuto di vaccinarsi che invece è stato perseguito e punito. Spesso il principio di legalità non ha affatto rappresentato la massima garanzia di libertà, anzi ha modificato diritti fondamentali dei cittadini e chi si è ribellato ne ha pagato le conseguenze. Solo le Ong sarebbero libere di infrangere le leggi?
Nel maggio del 2024 associazioni come Baobab experience, Collettivo rotte balcaniche, Linea d’ombra, Kitchen on borders difendevano un network nato «nell’autodenuncia della propria pratica quotidiana di disobbedienza civile, contro le politiche migratorie italiana ed europea, contro i confini interni ed esterni».
E se ci si mette anche la Chiesa, la disobbedienza può appare il nuovo credo a cui dare ascolto. In spregio alle leggi e ai tribunali, stando alle parole di don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea Saving Humans. «La morale per noi invece è che tu devi lottare accanto a chi è oppresso. Tu devi contrastare questo sistema. Tu devi sovvertire questo sistema capitalista e patriarcale. E allora abbiamo introdotto l’espressione disobbedienza morale», spiegava nel luglio del 2023.
Anche Alessandra Sciurba, già presidente di Mediterranea Saving Humans, nel 2020 parlava di «disobbedienza morale e obbedienza civile» che l’aveva animata a soccorrere migranti sulla barca a vela Alex sfidando decreti-legge e imposizioni governative illegittimi. È la stessa Associazione di promozione sociale (Aps) in cui si è trasformata Mediterranea a lamentarsi perché «le Ong sono costrette a spendere una gran quantità di tempo e risorse per contestare la restrittiva legislazione italiana e i fermi amministrativi arbitrariamente imposti». Navigano contro legge.
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David Neres festeggia con Rasmus Hojlund dopo aver segnato il gol dell'1-0 durante la semifinale di Supercoppa italiana tra Napoli e Milan a Riyadh (Ansa)
Nella prima semifinale in Arabia Saudita i campioni d’Italia superano 2-0 i rossoneri con un gol per tempo di Neres e Hojlund. Conte: «Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza». Allegri: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà».
È il Napoli la prima finalista della Supercoppa italiana. All’Alawwal Park di Riyadh, davanti a 24.941 spettatori, i campioni d’Italia superano 2-0 il Milan al termine di una semifinale mai realmente in discussione e torneranno lunedì nello stadio dell’Al Nassr per giocarsi il primo trofeo stagionale contro la vincente di Bologna-Inter, in programma domani sera.
Decidono un gol per tempo di Neres e Hojlund, protagonisti assoluti di una gara che la squadra di Antonio Conte ha interpretato con maggiore lucidità, intensità e qualità rispetto ai rossoneri. Il pubblico saudita, arrivato a scaglioni sugli spalti come da consuetudine locale, si è acceso soprattutto per Luka Modric durante il riscaldamento, più inquadrato sugli smartphone che realmente seguito sul campo, ma alla lunga è stato il Napoli a prendersi scena e risultato. Un successo meritato per i partenopei che rispetto al Milan hanno dimostrato di avere più idee e mezzi per colpire.
Conte ha scelto la miglior formazione possibile, confermando il 3-4-2-1 con l’unica eccezione rispetto alle ultime gare di campionato che riguarda il ritorno tra i titolari di Politano al posto di Lang. Davanti la coppia McTominay-Neres ad agire alle spalle di Hojlund. Ed è stato proprio il centravanti danese uno dei protagonisti del match e della vittoria del Napoli, mettendo lo zampino in entrambi i gol e facendo impazzire in marcatura De Winter. L’ex difensore del Genoa è stato scelto da Allegri come perno della difesa a tre per sostituire l'infortunato Gabbia, un’assenza che alla fine dei conti si è rivelata più pesante del previsto. Ma se quella del difensore centrale era praticamente una scelta obbligata, il turnover applicato in mezzo al campo e sulla corsia di destra non ha restituito gli effetti desiderati. Nel solito 3-5-2 hanno trovato spazio dal primo minuto anche Jashari e Loftus-Cheek, titolari al posto di Modric e Fofana, ed Estupinan per far rifiatare Bartesaghi, uno degli uomini più in forma tra i rossoneri.
Il Napoli ha preso infatti fin da subito l’iniziativa, con Elmas al tiro già al 2’ e con Maignan attento a bloccare senza problemi. Il Milan ha poi avuto due ghiotte occasioni: al 5’ sugli sviluppi di una rimessa laterale Pavlovic ha tentato una rovesciata, il pallone è arrivato a Loftus-Cheek che, solo davanti a Milinkovic-Savic, ha mancato incredibilmente l’impatto; al 16' Saelemaekers ha sprecato calciando alto da buona posizione. È l’illusione rossonera, perché da quel momento sono i partenopei a comandare il gioco. Al 32' McTominay ha sfiorato il vantaggio con un destro di prima poco fuori, mentre Nkunku al 37’ ha confermato il suo momento negativo non inquadrando nemmeno la porta a conclusione di un contropiede che poteva cambiare la partita. Partita che è cambiata in maniera decisiva due minuti dopo, al 39’, quando è arrivato il gol che ha sbloccato la semifinale: da un'azione insistita di Elmas sulla sinistra, il pallone è arrivato a Hojlund il cui tiro in diagonale ha messo in difficoltà Maignan. La respinta troppo corta del portiere francese è finita sui piedi di Neres, il più rapido ad avventarsi sul pallone e a depositarlo in rete. Il Napoli è andato vicino al raddoppio già prima dell’intervallo con un altro contropiede orchestrato da Elmas e concluso da Hojlund, su cui Maignan ha dovuto compiere un mezzo miracolo.
Nella ripresa il copione non è cambiato. Rrahmani ha impegnato ancora Maignan da fuori area, poi al 64’ è arrivato il 2-0 che ha chiuso la partita: Spinazzola ha affondato a sinistra e servito Hojlund, veloce e preciso a finalizzare con freddezza, firmando così una prestazione dominante contro un De Winter in grande difficoltà. Allegri ha provato a cambiare volto alla gara passando al 4-1-4-1 con l’ingresso di Fofana e Athekame, ma il Milan non è riuscito di fatto mai a rientrare davvero in partita. Anzi. Al 73' uno scatenato Hojlund ha sfiorato la doppietta personale. Poi, al 75', il Milan ha regalato alla parte di stadio rossonera la gioia più grande di tuta la serata, ovvero l'ingresso in campo di Modric. Il croato è entrato tra gli applausi del pubblico, ma è solo una nota di colore in una serata che resta saldamente nelle mani del Napoli. Nel finale spazio anche a qualche tensione, sia in campo che in panchina. Prima le scintille tra Tomori e McTominay, ammoniti entrambi da Zufferli. Poi, in pieno recupero, un battibecco verbale tra Oriali e Allegri. E mentre scorrevano i sette minuti di recupero concessi dal direttore di gara, accompagnato dal coro dei tifosi sauditi di fede azzurra «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi», è arrivato il verdetto definitivo.
Nel post partita Massimiliano Allegri ha riconosciuto i meriti degli avversari: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà». Sull’eliminazione da Coppa Italia e Supercoppa è stato netto: «Siamo dispiaciuti, ma il nostro obiettivo resta la qualificazione in Champions, che è un salvavita per la società». Di tutt’altro tono Antonio Conte, soddisfatto della risposta della sua squadra: «Battere il Milan fa morale. Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza. Con energia, anche in emergenza, siamo difficili da affrontare». Parole di elogio per Hojlund: «Ha 22 anni, grandi margini di crescita e oggi è stato determinante. Sta capendo sempre di più quello che gli chiedo».
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