2021-03-23
Morra, sceneggiata con la scorta per i vaccini
Il presidente della commissione Antimafia, espulso dal M5s, irrompe alla Asl di Cosenza. Il responsabile: «Urlava perché i parenti non erano stati immunizzati e ci ha fatti identificare». La replica: «Fare ispezioni è mia prerogativa». Da Lega a Fdi: «Si dimetta».La grande commedia all'italiana ha un nuovo, indiscusso, protagonista. Dopo il marchese del Grillo e l'onorevole Trombetta, è modestamente arrivato il turno del senatore Nicola Morra. Espulso dai 5 Sstelle dopo il voto contrario a Draghi, ma ancora presidente della commissione parlamentare Antimafia. Volto stropicciato, voce roca, capello brizzolato: perfetto per un ruolo di protagonista nel fortunato filone «lei non sa chi sono io». Morra è il talento che, negli anni al potere, s'è sempre distinto. Ma stavolta s'è superato. Con incolpevole scorta a seguito, ha fatto irruzione nell'Asl di Cosenza al grido di «siete degli incapaci!». Per poi sbraitare un'oretta filata contro le inefficienze nelle vaccinazioni. Il più colpito dalla sua ira funesta è Mario Marino, direttore del dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria: «Urlava perché i suoi parenti non erano stati chiamati. Dunque, per un fatto suo personale». Morra avrebbe telefonato per giorni al numero sbagliato, tentando invano di prenotare l'inoculazione per due ultraottuagenari. Il senatore, giura il dirigente, ha poi chiesto agli agenti al suo seguito di identificare i presenti. Infine, avrebbe chiamato nientemeno che Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Salute, per lamentarsi di quelle persone non all'altezza. Mica come lui, gigante della legalità. «I grillini dovevano affossare il sistema» lamenta Marino. «Non ho però mai visto uno della prima Repubblica venire da noi comportandosi in quella maniera». Talmente «rabbiosa» da aver lasciato steso sul divano il direttore. Dolori al petto. Così forti da richiedere l'intervento del cardiologo: «Alla fine ho avuto un malore» spiega. «Lo querelerò per abuso di potere e forse anche interruzione di pubblico servizio». Nel frattempo, il blitz diventa caso politico. «Morra si dimetta, da tutto. Solidarietà ai medici colpiti» dice il capo della Lega, Matteo Salvini. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, annuncia: «Andremo fino in fondo. Se corrispondesse al vero, Morra farebbe bene a lasciare immediatamente: un comportamento del genere è inaccettabile e indegno per qualsiasi rappresentante delle Istituzioni, figuriamoci per il presidente dell'Antimafia». E perfino il capogruppo del Pd nella commissione, Franco Mirabelli, assalta: «Usare il proprio ruolo, e addirittura la scorta, per sollecitare interventi che nulla hanno a che fare con il mandato è un abuso inaccettabile, specie per chi dovrebbe fare della correttezza e del rispetto delle regole una bussola». Ma il copione della grande commedia all'italiana prevede anche gli equivoci. A smentire tutto arriva l'implacabile Morra in persona. «Vicenda inverosimile e dunque grottesca. Tutto questo mi fa sorridere perché mio suocero non c'è più dal 6 giugno 2020 e mia suocera si è vaccinata già un paio di settimane fa». Altro che favori ai parenti. La sua è stata solo un'ispezione, come nelle prerogative di un parlamentare, «a seguito di segnalazioni di cittadini che mi chiedevano d'intervenire vista la scarsità di vaccini». Vero, ammette il senatore, una lunga chiacchierata con Marino c'è stata, ma senza scontri. «Ci siamo anche salutati cordialmente sulla porta del reparto» sostiene Morra. E la formale identificazione del dirigente sanitario da parte dei due uomini di scorta che seguono il parlamentare? «Lui e un altro medico non avevano la mascherina» sostiene il presidente della commissione antimafia «era atto dovuto». Insomma: ha cercato solo di far «rispettare il diritto alla salute» dei calabresi. Certo, non risulta che un eletto possa trasformarsi in un vendicatore mascherato. Perfetto interprete della celebre massima di Leoluca Orlando: «Il sospetto è l'anticamera della verità». Ed è proprio quell'aria sensazionale e integerrima che vale a Morra la nomina a presidente della commissione Antimafia, a dispetto di un'approssimativa conoscenza della materia. Già nel 2013, prima di venir chiamato per il gravoso compito, l'ex professore di storia dimostra di aver bisogno di qualche ripetizione. In occasione della commemorazione della strage di via D'Amelio, si domanda dove sia finita l'agenda rossa di Salvatore Borsellino. Che però di Paolo, il magistrato ucciso da Cosa nostra, è il fratello. Nulla però in confronto a quanto arriva a proferire nella primavera del 2015, commentando l'ipotesi di una candidatura di Sergio Mattarella al Quirinale: «Proviene simbolicamente da una tradizione che, in relazione alla mafia, ha tanto da chiarire e farsi perdonare». Ignorando che il fratello del futuro presidente della Repubblica, Piersanti Mattarella, è stato ucciso su ordine di Totò Riina. Fino ad accusare i calabresi di aver eletto Jole Santelli, scomparsa lo scorso ottobre: nonostante fosse noto a tutti, è la sciacallesca teoria, che «era una grave malata oncologica». Una sparata dopo l'altra. A ruota libera. E se la teoria difetta, la pratica sovrabbonda. Due anni fa il senatore si presenta in caserma con un'intercettazione ambientale realizzata nel suo soggiorno: l'allora agente pentastellato aveva registrato di nascosto il suo colloquio con un indagato, Giuseppe Cirò, ex capo segreteria del sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto. Lo attaccano per i toni giustizialisti e i modi sbirreschi. Lui, dall'alto dell'immeritato scranno, gongola. Senza macchia e senza paura, continua a imperversare. Fino all'incursione di sabato scorso: «Lei non sa chi sono io...». E nessuno che, come Totò con l'onorevole Trombetta, gli abbia risposto: «Ma mi faccia il piacere!».