2020-04-16
Mister Vodafone pensa da ministro. Ma prima vuole strappare l’immunità
Vittorio Colao (Pier Marco Tacca/Getty Images)
Pronti, via. Nella discussione del suo pool ha tenuto banco un solo argomento: ottenere uno scudo penale (Matteo Salvini a processo fa paura). Il nodo «geografico» del manager: se ritorna da Londra va in quarantena?E se Vittorio Colao avesse già finito i giga? È la battuta paradossale che circola da ieri, anche fra i suoi estimatori: e sarebbe il colmo, visti i dieci anni trascorsi dal manager bresciano al vertice di un gigante internazionale della telefonia come l'inglese Vodafone. La sensazione è infatti che la neonata task force per la ripresa sia bloccata in partenza, proprio come un cellulare senza credito, senza linea e senza campo (mentre la Lombardia ieri ha annunciato un piano di riaperture dal 4 maggio). Rimettiamo i tasselli in ordine. Primo: la nomina di Colao è stata fortemente voluta da Sergio Mattarella, e non da Giuseppe Conte, che invece l'ha subita. Secondo: la reazione di Conte è stata quella di annacquare e allargare la task force, portandola da 5 a 17 membri, e riempiendola di professori e conferenzieri, proprio per depotenziarla e degradarla a centro studi. Terzo: si è notata subito, alle prime riunioni, la presenza dei rappresentanti dei ministeri, una vera e propria marcatura a uomo per tutelare le proprie aree di influenza. Quarto: lo status giuridico di questo comitato è del tutto ambiguo e ibrido. Se decidesse qualcosa, si tratterebbe infatti di un anomalo (e costituzionalmente discutibile) scavalcamento di governo e Parlamento, un autentico commissariamento; se invece si limitasse a proporre, correrebbe il rischio di essere il solito carrozzone pleonastico all'italiana. L'impressione è che questo limbo durerà. Qualcuno (Conte) ha interesse a mettere sabbia negli ingranaggi di Colao; qualcun altro a tenerlo «in riserva» con il retropensiero di sostituire Conte se si presenterà l'occasione propizia. E lui, l'interessato, che fa, insieme agli altri nominati? Da 36 ore alcuni retroscena - non smentiti -hanno svelato un particolare clamoroso: ci sarebbe stata un'accesa discussione tra i membri della task force sul tema della manleva legale, insomma di una sorta di immunità che i componenti del comitato richiederebbero, nel timore di divenire oggetto di imputazione di eventuali responsabilità penali e patrimoniali. Ipotesi che per un organo consultivo non dovrebbe porsi, ma non si sa mai. E però la vicenda surreale di un ministero dell'Interno, Matteo Salvini, mandato a processo per atti e decisioni prese nell'esercizio delle sue funzioni legittime ha scatenato il panico: se accusano un ministro, figurarsi cosa possono fare a un semplice comitato.La questione è stata sollevata in Aula da Claudio Borghi (Lega), presidente della Commissione Bilancio della Camera, nel corso della seduta sul decreto Olimpiadi. Usando argomenti che - in altri tempi - sarebbero stati cari alla sinistra e a tutti i democratici, Borghi ha ricordato alcune essenziali regole istituzionali: «C'è una task force organizzata non si sa bene su quali basi…», ha esordito il leghista, che poi ha aggiunto ironicamente: «Ho riletto tutta la Costituzione, e di task force non ne ho viste». E ancora: «Apprendo da concordanti notizie di stampa che la prima discussione si è arenata sul punto dell'immunità di tali membri… Qui c'è un Parlamento che, fino a prova contraria, è il luogo dove le decisioni dovrebbero essere discusse e poi prese». «Ma», ha aggiunto il leghista, «noi qui stiamo parlando delle Olimpiadi, e invece per le decisioni importanti c'è una task force nominata non si sa con quale legittimità, che cerca immunità. Se mettiamo questo assieme al fatto che il governo sta discutendo in Europa di cose importantissime senza passare dall'Aula come invece la legge 234 del 2012 imporrebbe, e che andiamo avanti con Dpcm che non passano né qui né al Quirinale, devo pensare che quest'Aula stia per essere esautorata. Dovrebbe esserci una specie di sollevazione qui…». Chissà se Conte o altri si degneranno di dare qualche spiegazione convincente al riguardo. A proposito della posizione di Colao, ci sono altri due aspetti per lo meno curiosi. Il primo: a quanto pare il manager è fisicamente a Londra, dove vive. Ma se per caso, per qualunque ragione, volesse raggiungere l'Italia, che succederebbe? Dovrebbe finire in quarantena? Qualcuno ha esaminato anche questo aspetto pratico e logistico?E ancora. È iniziato sottotraccia un dibattito su un eventuale coinvolgimento nel governo del manager, in una posizione da sottosegretario o da ministro. In modo solo apparentemente garbato, ma in realtà assestandogli un colpo politicamente pesante, Nicola Zingaretti ha per il momento stoppato l'operazione, evocando la terzietà che la task force dovrebbe mantenere. Sarà. Ma se qualcuno cambiasse idea, ci sarebbe anche un problemino formale. A partire dalla finanziaria del 2008, si è stabilito che non ci sia un tetto al numero specifico dei sottosegretari, ma - questo sì - un limite numerico complessivo per i membri del governo. In altre parole, premier, ministri, ministri senza portafoglio, viceministri e sottosegretari non devono superare quota 65. Ma 65 è esattamente il numero dei membri dell'attuale governo Conte. Morale: se qualcuno volesse far giurare Colao, occorrerebbe prima trovare qualcun altro da sacrificare. Esercizio sempre difficile e dagli esiti incertissimi, per una lunga tradizione che non è stata affatto modificata dall'arrivo delle truppe grilline. Tutti pronti a sedersi su poltrone e strapuntini: un po' meno, ad alzarsi e tornare a casa.