2022-04-11
Il miracolo delle uova di Pasqua
Fanno bene allo spirito perché accompagnano la rinascita della natura e festeggiano la Risurrezione di Gesù, ma anche al fisico. Il cacao è un antidepressivo, aiuta il cuore e in una dieta dimagrante scioglie pure i grassi.La battuta definitiva sull’uovo di Pasqua è in un meme che circola in questo periodo sui social network, ritrae una tavoletta di cioccolato e recita: «L’uovo di Pasqua del terrapiattista». Comicità a parte, l’uovo di Pasqua, prima un vero uovo, oggi un uovo di cioccolato con dono all’interno, è un’istituzione del cibo festivo italiano, non meno di colomba e panettone. Festivo e, non da oggi ma ancora oggi, cristiano. Intendiamoci, la potente simbologia dell’uovo come contenitore di vita non nasce con la cristianità. L’uovo, simbolo cosmogonico nell’India, Africa, America ed Europa antiche indagato anche da Mircea Eliade, diventò poi rappresentante della rinascita della natura in primavera. Con questo significato si donavano le uova di gallina a fine inverno già in epoca pre cristiana. Poi, la cristianità adattò la simbologia a significare anche la rinascita, o meglio la Resurrezione, di Gesù. In Mesopotania i primi cristiani, scrive Wilson D. Wallis in Culture and progress, coloravano con erbe le uova di rosso in ricordo del sangue versato da Gesù sulla croce. Ancora nel Medioevo, per la festa della Resurrezione ossia la Pasqua si donavano uova di gallina, magari decorate, che con il tempo, gli influssi culturali che vedremo, il consumismo, la civiltà dell’abbondanza, la rivisitazione di usanze e ricette e la laicizzazione di festività in precedenza religiose o la semplice evoluzione di tradizioni storiche sono diventate di cioccolato. E quello che, accanto ai cristiani che festeggiano la Resurrezione, altri celebrano oggi non è la rinascita di Gesù, ma solo quella primaverile: l’uovo non rappresenta la perpetuazione divina della vita di Gesù ma il guscio di un regalo. Oltre che la lavagna ideale per la brandizzazione. Brandizzazione che avviene a due livelli. Il primo trasforma l’uovo di Pasqua in uovo di Pasqua di, per esempio, Ernst Knam. Che il sommo pasticcere tedesco-milanese firmi il suo uovo è comprensibile ed è bello scoprire, ogni anno, la sua nuova collezione pasquale. Collezione pasquale? Sì, anche chef e pasticceri ideano e propongono novità in virtù delle stagioni e di vari altri appuntamenti, non solo gli stilisti. Il secondo livello è quello della brandizzazione da parte di outsider del food professionale, fenomeno di sfruttamento commerciale di un nome famoso per altri motivi. C’è poi l’uovo fatto d’altro, come l’uovo di Pasqua che in realtà è un caciocavallo pieno e con una soppressata del Vallo di Diana all’interno, nascosta nel cacio come facevano gli emigranti meridionali del Novecento per portare gli insaccati all’estero. Si chiama Uovo di Cacio Emigrante e lo fa il Caseificio S. Antonio di Sala Consilina. C’è anche il Cacio Uovo Di Santo, un caciocavallo a forma di uovo di Pasqua e come tale incartato ideato nel 2012 dal caseificio Di Santo di Cesa. Elaborare una materia atipica, alimentare o meno che sia, cioè non usare uova vere e nemmeno uova di cioccolato può sembrare un’idea tutta odierna, ma in realtà già nel Medioevo (oltre a decorare con fiori e foglie uova vere) i nobili si scambiavano uova artificiali rivestite di platino, oro e argento. Usanza magnificata dall’orafo Peter Carl Fabergé che nel 1885 fu incaricato dallo zar Alessandro III di Russia di creare per la Pasqua un uovo gioiello per la zarina Maria Fëdorovna. Egli ideò un uovo di platino smaltato di bianco contenente un tuorlo d’oro che a sua volta conteneva due regali, una piccola corona imperiale con rubino a forma d’uovo e una gallinella d’oro. L’uovo di Fabergé divenne leggendario, da allora ne sono state creati tanti altri, tutti meravigliosi, e sulla scia di questa leggendarietà si è diffusa - gli influssi culturali di cui sopra - la tradizione del dono all’interno dell’uovo di cioccolato. L’impatto sul pesoforma dell’uovo di Pasqua di cioccolato non è eccessivo, poiché lo mangiamo solo a Pasqua. Inoltre, lo spessore del cioccolato modellato a uovo è circa 1/4 di quello di una tavoletta. Un uovo può pesare tra i 150 e i 300 g e le sue calorie dipendono dal cioccolato col quale è fatto. Cioccolato extrafondente, fondente, al latte, bianco: sono questi i gusti classici (anche se si sta diffondendo la moda di rivestire l’interno o l’esterno del cioccolato di semi oleosi o frutta secca).È importante non esagerare e mangiarne un tocchetto, da 20 a 40 g, dose ideale di cioccolato in generale. Un tocchetto di cioccolato è il classico quadrato in cui sono divise le tavolette. Il cioccolato fondente, con percentuale di cacao tra 43 e 69%, ha 546 cal ogni 100 g. Il cioccolato extrafondente, cacao dal 70%, ha 550 calorie, il cioccolato al latte 535 e il cioccolato bianco 539. Consumare 42 grammi di cioccolato con 81% di cacao cioè extra fondente al giorno, abbinati ad una buona dieta dimagrante, fa perdere il 10% in più di peso rispetto alla diminuzione ponderale legata soltanto ad un regime ipocalorico. Ciò dipende da un antiossidante che brucia i grassi e migliora la massa muscolare, cioè il flavonolo epicatechina. L’esercizio aerobico aumenta il numero di mitocondri nelle cellule dei muscoli e l’epicatechina del cacao fa la stessa cosa. L’ideale, comunque, resta coniugare il consumo di (poco) cioccolato a una dieta a basso impatto calorico e/o l’esercizio sportivo. Se aggiungiamo cioccolato, magari in grandi quantità, a una dieta che ci fa ingrassare, ovviamente non potremo perdere peso… Però, nei giorni di Pasqua, che nella specificità cristiana sanciscono anche la fine della Quaresima, non è il caso di stare a pesare l’alimentazione con la bilancia. Il cioccolato, sempre un po’, fa bene anche per altri motivi: ha effetto antidepressivo, perché aumenta la produzione di endorfine e serotonina, ha effetto antietà perché i suoi flavonoidi e antiossidanti migliorano la compattezza della pelle, contrastano i radicali liberi e l’invecchiamento cellulare, fa bene al cuore. Insomma, buona Pasqua e… Buon uovo di Pasqua!
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
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