2021-11-05
Il cerchio si stringe attorno ai minori. Sprint per l’iniezione tra i 5 e gli 11 anni
Franco Locatelli e Francesco Figliuolo indicano la via, senza aspettare l'Ema. Israele invece lascia ai genitori la libertà di scelta per i figli.Un istituto di Gorizia ordina, con una circolare, di eseguire i tamponi «solo agli studenti che non hanno avuto il siero». Non rispettando le indicazioni del Garante della privacy.Lo speciale contiene due articoli.Il cerchio si stringe, e sembra sempre più insistente la pressione per la vaccinazione anche dei bambini più piccoli, quelli di età compresa tra 5 e 11 anni. Perfino il solitamente cautissimo generale Francesco Paolo Figliuolo, nella sua circolare dal titolo «Indicazioni sulla prosecuzione della campagna vaccinale», ha testualmente definito «probabile» il «futuro allargamento dell'offerta vaccinale alla platea 5-11 anni». Come se il responsabile della logistica della campagna desse già per scontato un imminente semaforo verde politico sul tema. Ancora più esplicito, parlando a Sky Tg24, è stato il presidente del Consiglio superiore di sanità e coordinatore del Comitato tecnico scientifico, Franco Locatelli: «È assolutamente un vaccino sicuro, non a caso ha ricevuto l'immediata approvazione sia dalla Food and drug administration sia dai Centers for disease control». Quanto alla per ora mancante approvazione dell'Ema, Locatelli ha aggiunto: «Credo che l'Ema possa arrivare a una valutazione e a una approvazione entro fine mese-prima metà di dicembre. A quel punto lì, potremo partire». Ritmi acceleratissimi, come si vede. Locatelli ha poi proseguito così: «In parte i bambini vanno pure protetti dalle, seppur rare, manifestazioni gravi o prolungate di coronavirus, anche per permettere loro di avere tutti gli spazi di socialità che meritano e per contribuire a ridurre la circolazione virale. Credo che ci siano buonissime ragioni per vaccinare i bambini». Nonostante questo pressing martellante, però, restano almeno cinque ragioni per mantenere forti dubbi su questa sospetta fuga in avanti. Primo. È notorio (lo ammette onestamente lo stesso Locatelli) che i casi in cui il Covid ha manifestazioni gravi su ragazzi e bambini sono rarissimi. E allora che senso ha esporre un bimbo all'alea della vaccinazione e ai relativi rischi di effetti collaterali e reazioni avverse? La cosa è a maggior ragione surreale se si considera che tutti ammettono come l'arco di durata temporale della copertura vaccinale sia piuttosto corto (sei mesi, quattro mesi?): se le cose stanno così, siamo certi che il gioco valga la candela? Come mai, in altri contesti, sia i consulenti scientifici del governo sia gli uomini politici amano parlare di «principio di precauzione», mentre qui sembrano adottare una linea molto più spregiudicata e assertiva? Secondo. I dati offerti da Pfizer alla Fda parlano di un'efficacia del vaccino superiore al 90% nel prevenire la malattia. Ma a chi esulta per questi numeri, va contrapposta la saggia e prudente osservazione del direttore di Atlantico, Federico Punzi, che ha fatto osservare che i test hanno riguardato solo 2.268 bimbi, «più o meno il campione di un sondaggio di opinione», ha chiosato Punzi, aggiungendo: «Avete idea delle reazioni avverse non note che si rischiano quando il campione diventa di 100 o 1.000 volte superiore? E su bambini di 5 anni quale sarebbe il rapporto rischi-benefici?». Si tratta di domande che non andrebbero eluse in nome del solito unanimismo emergenziale.Terzo. Perché tanto zelo nella corsa a vaccinare i più piccoli da parte degli stessi che - per mesi - hanno inspiegabilmente fatto muro rispetto all'adozione dei tamponi rapidi nelle scuole, dando via libera solo a una limitatissima e parziale sperimentazione? Se l'obiettivo era quello del monitoraggio costante e di uno screening estesissimo della platea dei più giovani, la strada maestra sarebbe stata proprio quella dell'uso sistematico dei tamponi a risposta immediata, efficaci e non invasivi, oltre che adatti a garantire la continuità dell'attività scolastica. E invece quella porta non è mai stata del tutto aperta: al massimo, la si è lasciata socchiusa. Quarto. E ora che si fa? Inizia il circo del green pass anche per i bimbi? Pure loro saranno sottoposti a questo adempimento per poter entrare a scuola? E l'eventuale bimbo senza green pass sarà privato del diritto a seguire le lezioni? Vogliamo sperare che a nessuno venga in mente un esito del genere. Quinto. C'è chi oppone a tutte queste nostre obiezioni un argomento apparentemente solido: c'è il rischio - dicono - che il bimbo contragga l'iniezione e che poi, anche se la cosa è senza effetti per lui, il ragazzino diventi vettore di contagio in famiglia. Ma questo discorso poteva avere una sua forza un anno fa, quando la campagna non era nemmeno iniziata: oggi, invece, i genitori e i nonni di quel bimbo sono quasi tutti vaccinati. Dunque, che motivo c'è di «schermare» gli adulti esponendo il bimbo a potenziali (sia pure statisticamente rari) effetti collaterali? La sensazione è che per troppi ormai - in ambito scientifico e politico - il vaccino non sia più considerato un mezzo, ma sia divenuto un fine, anzi il fine in sé. Ed è questa inversione di fini e mezzi, questa attitudine autoritaria e paternalistica, a inquietare. Visto che basterebbe imparare la lezione di Israele, Paese in cui «saranno i genitori a scegliere se far vaccinare i propri figli», come ha spiegato la direttrice generale della sanità israeliana, Sharon Alroy Preis. Oltre alla leggerezza con cui da noi si finirà per i bambini come protagonisti di un immenso trial vaccinale. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/minori-iniezione-5-11-anni-2655500959.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="caccia-allalunno-non-immunizzato-nelle-scuole-del-friuli-venezia-giulia" data-post-id="2655500959" data-published-at="1636086443" data-use-pagination="False"> Caccia all’alunno non immunizzato nelle scuole del Friuli Venezia Giulia Tra i pochi elementi emersi in modo chiaro a proposito dei vaccini anti Covid, uno sembra consolidato e riguarda la portata limitata dei loro effetti, con la possibilità che anche chi si è vaccinato possa, per quanto con un rischio più ridotto, essere contagiato e veicolare il virus. Il dato è ormai certo, nessuno più lo mette in discussione. Allo stesso modo, dovrebbe esser noto il divieto di richiedere lo stato vaccinale agli alunni. Entrambi gli aspetti sembrano tuttavia sfuggire alla dirigenza di una scuola del Friuli Venezia Giulia, l'Istituto comprensivo Gorizia 1, dove, nel comunicare - a seguito del caso di un insegnante positivo al Covid - il ritorno delle lezioni in presenza (avvenuto ieri per le classi prime, seconde e terze delle sezioni A, B e C) è stata emanata una nota il cui contenuto appare spiazzante. Sì, perché nella circolare 74/b della dirigente Eleonora Carletti si legge che, con riferimento alla classe prima B, a fare «il tampone» sono stati chiamati «solo gli alunni non vaccinati». Per rendere ancora più esplicito il concetto, nel testo della comunicazione - visibile da chiunque, essendo caricata sul sito Internet della scuola -, le parole «solo» e «non vaccinati» sono state scritte in neretto e, per giunta, pure sottolineate. Una scelta stilistica che, da sola, già indica una sorta di caccia ai «non vaccinati» che lascia senza parole. Questo sia perché, lo si ripete, pure i vaccinati possono contrarre il virus, sia perché non è consentito in alcun modo, in ambito scolastico, individuare quali alunni siano vaccinati e quali no. Ciò nonostante, come i lettori della Verità sapranno, si sono purtroppo già verificati casi di insegnanti che, con un eccesso di zelo, si soni arrogati il diritto di chiedere ai loro allievi se si fossero o meno sottoposti alla vaccinazione. Mai però, s'era vista formalizzata in una circolare, quindi nero su bianco, l'esplicita ricerca dei «non vaccinati», con una decisione che appare grave sotto un profilo morale e giuridico. Fa testo, in proposito, la dura presa di posizione del Garante della privacy che, in una nota del 23 settembre scorso, aveva «scritto al ministero dell'Istruzione affinché sensibilizzi le scuole sui rischi per la privacy derivanti da iniziative finalizzate all'acquisizione di informazioni sullo stato vaccinale degli studenti e dei rispettivi familiari». In quell'intervento, l'Autorità, segnalate le «possibili conseguenze per i minori, anche sul piano educativo, derivanti» da impropri accertamenti sullo stato vaccinale dei bambini a scuola, ricordava altresì che «secondo il quadro normativo vigente agli istituti scolastici» un tale approfondimento «non è consentito». Non solo. Onde evitare equivoci, il Garante stigmatizzava pure quei comportamenti «volti ad acquisire, anche indirettamente, informazioni sull'avvenuta o meno vaccinazione»; il che è precisamente quello che, di fatto, si realizza quando si sottopongono ai tamponi «solo gli alunni non vaccinati». Peraltro, nel caso dell'Istituto comprensivo Gorizia 1, c'è anche un altro aspetto da evidenziare: la prima B di cui sopra è una classe media. Significa che, salvo il caso di allievi ripetenti, è verosimilmente composta da alunni i quali neppure hanno compiuto il dodicesimo anno di età e che, di conseguenza, non sono ancora tenuti a essere vaccinati né in possesso del passaporto sanitario. La citata richiesta, indirizzata «solo» ai «non vaccinati», di farsi avanti per il tampone - quasi fossero i soli a poter essere positivi - appare quindi ancora più lunare. E francamente amareggia che, a pagare le conseguenze di una tale scelta debbano essere proprio quei giovani che, tra didattica a distanza e assenza di socialità, per questa pandemia hanno già pagato un prezzo altissimo.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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