2021-02-23
Il ministro della Famiglia riprova a sdoganare l’utero in affitto
In un'intervista alla «Stampa» sui fondi del Family Act, l'esponente renziana strizza l'occhio al mondo arcobaleno. Dichiarazioni studiate a tavolino che legittimano la maternità surrogata.Sarà che mastica l'argomento e che ministro della Famiglia già lo era, pure nel governo Conte, ma certo non si può dire che Elena Bonetti abbia perso tempo nel rimettersi al lavoro e nel tornare a rilasciare dichiarazioni come minimo spiazzanti. Lo prova quanto affermato dall'esponente d'Italia Viva nell'intervista rilasciata domenica alla Stampa, con una netta apertura alle famiglie arcobaleno.Il ministro Bonetti, parlando del Family Act, ha infatti precisato che esso si «rivolge alle nuove generazioni e riconosce tutti i bambini come valore, al di là del contesto familiare». «Questa visione», ha precisato, «è già stata votata per la parte dell'assegno da tutto l'arco parlamentare ed è partendo da questa unità che dobbiamo continuare a lavorare». Ora, che tutti i bambini abbiano «valore» e meritino tutele piene ed adeguate nessuno lo discute, ci mancherebbe. Viene però da chiedersi se fosse opportuno quell'inciso - «al di là del contesto familiare» - che tutti, a partire dalla stessa Stampa, hanno letto come un passo in avanti verso l'equiparazione tra la famiglia, così come riconosciuta dalla Costituzione, e le unioni omosessuali. Tante, in effetti, sono le perplessità che le parole della Bonetti sollevano; anzitutto sul piano economico. Se il Family Act - che è una legge delega che prevede una riforma degli strumenti a sostegno delle famiglie riordinando i sussidi attuali, che confluiranno tutti nell'assegno universale - diventa gay friendly, significa infatti che aumenta il numero dei beneficiari. E quindi, quale che ne siano le dimensioni, la coperta sarà per tutti più corta.Non solo. È noto che, se da un lato le famiglie arcobaleno sono statisticamente marginali, dall'altro esse sono facoltose. Lo si sa da anni. Per dire, un'indagine pubblicata ancora nel 2007 sul Journal of Economic Perspectives metteva infatti in luce come, negli Usa, se il reddito familiare medio ammontava a 73.230 dollari, nelle coppie lesbiche esso già lievitava a 73.760 per sfondare poi il tetto dei 90.000 nelle coppie gay: il 23% in più, mica bruscolini. Quindi perché tirarle in ballo, queste unioni, a proposito del Family Act? Mistero.Senza poi trascurare il fatto, che giustamente i pro family hanno colto al volo, che le famiglie arcobaleno che secondo il ministro dovrebbero rientrare tra le destinatarie dei nuovi sussidi non solo difficilmente ne avranno bisogno ma sono tali, quasi sempre, in seguito alla pratica dell'utero in affitto. Che, si dà il caso, in Italia sia tutt'ora reato. Ha quindi ragione Toni Brandi, presidente di Pro Vita e Famiglia onlus, quando, commentando le parole della Bonetti, evidenzia che «sull'assegno attribuito anche ai bambini che abbiano il padre o la madre impegnati in una relazione gay, il problema non è a valle ma a monte. Va ostacolato l'utero in affitto, è questo il primo diritto che spetta ai nascituri». Già. Il punto è che, nella misura in cui si coglie il pretesto del Family Act per sdoganare le famiglie arcobaleno, non solo non si contrasta la pratica dell'utero in affitto, ma si concorre indirettamente con il legittimarla. Strano che alla Bonetti, la quale tra l'altro è pure di estrazione cattolica, il passaggio sia sfuggito. Eppure il nodo è tutto lì: più, in nome dell'inclusione, si strizza l'occhio all'agenda Lgbt, più la maternità surrogata emerge come un tema da disciplinare anche se, come dicevamo, regolamentato lo è già, con tanto di «reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro» per chi solo la pubblicizza. L'articolo 12 della legge 40 del 2004, forse poco conosciuto, è chiarissimo.Non resta quindi che augurarsi, anche se le premesse non sono delle più felici, che il ministro della Famiglia eviti nuove uscite concentrandosi, già che c'è, sui problemi veri di questo Paese, denatalità galoppante in primis. Altro tema su cui, se è ancora consentito precisarlo, le «nuove famiglie» possono ben poco mentre invece quella vintage resta, dati alla mano, la migliore risorsa.