2024-12-15
«Una falange a difesa dell’Occidente». Milei conquista la platea meloniana
Folla in visibilio per il leader argentino. «Serve un internazionalismo della destra contro il virus woke». E a «Quarta Repubblica» dichiara: «Le tasse sono un furto. L’aborto? Come se vi gettassi da un aereo».Al penultimo giorno di Atreju, festa annuale di Fratelli d’Italia, è arrivato il più atteso ospite internazionale, il presidente dell’Argentina Javier Milei (l’anno scorso era stato Elon Musk). Fresco di cittadinanza italiana, ricevuta grazie a un procedimento lampo avviato dal governo, l’argentino di origini calabresi è intervenuto verso le 19, al termine di una giornata che ha visto un parterre molto prestigioso, tra cui il capo del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, una lunga schiera di ministri e il primo ministro del Libano, Najib Mikati.Durante la sua permanenza in Italia, prima di arrivare ad Atreju, il presidente argentino ha rilasciato un’intervista a Nicola Porro, visibile in versione integrale domani sera, su rete 4, a Quarta Repubblica. «Mi pare che l’aborto sia un assassinio aggravato dal rapporto (fra la madre e il figlio, ndr)», ha spiegato al giornalista. «Gliela dico in questi termini. Le piacerebbe conoscere Buenos Aires? Quando torno, la invito sul mio aereo. Che cosa succede mentre noi parliamo sul mio aereo? Io cambio idea e non voglio più che lei venga sul mio aereo. L’aereo è mio e di conseguenza io apro il portellone e le dico: “Si butti di sotto”. Come lo chiama tutto ciò? È un assassinio». E c’è chi vi ha visto un riferimento ai voli della morte, pratica terribile usata ai tempi della Guerra sporca in Argentina. Sulle tasse, esse per Milei «sono un furto, si pagano con la pistola puntata alla testa».«Come noi, Milei sa che il lavoro è l’unico antidoto vero per la povertà», ha affermato al microfono il presidente Giorgia Meloni nell’annunciare il suo ospite d’onore. Parlando dei legami di sangue tra italiani e argentini, il presidente argentino ha esordito alla kermesse dicendo di sentirsi «in famiglia». Poi ha parlato delle sue ricette, «né politicamente corrette né altrettanto professionali» (ma che «almeno funzionano»), sintetizzate in un decalogo chiaro e conciso.Primo, «è meglio dire una scomoda verità che una comoda bugia». Secondo, «non ci interessa l’opinione dei politici su quasi tutte le questioni», visto che, in Argentina, «la politica tradizionale ha portato solo rovina e ha stabilito un modello in cui i politici, i loro amici e i loro clienti vincono a spese del resto degli argentini». Terzo, «non bisogna mai negoziare le proprie idee per ottenere un voto. Negare le proprie convinzioni per ottenere voti vi lascerà senza convinzioni e senza voti». Questi i principi non negoziabili del suo esecutivo: «Il libero mercato produce prosperità per tutti», «il governo deve essere limitato», «gli argentini sanno meglio di un burocrate come produrre, chi assumere e con chi commerciare». «In breve, difendiamo la vita, la libertà e la proprietà privata». Quarto, «a differenza dell’economia, la politica è un gioco a somma zero. Gli spazi di potere che non occupiamo sono occupati dalla sinistra». «La battaglia culturale», prosegue con toni quasi gramsciani, «è regolata dalle regole universali e senza tempo della politica, alle quali si sono ben adattati». Da cui segue il quinto punto: «L’unico modo per combattere il male organizzato è con il bene organizzato». Milei rimprovera i liberali «caduti nella trappola di non organizzarsi»: «Dobbiamo essere come una falange di opliti o una legione romana», afferma, «che prevale sempre su eserciti più grandi, proprio perché nessuno rompe la formazione». Sesto, «quando l’avversario è forte, l’unico modo per sconfiggerlo è con una forza maggiore. La sinistra è il culto del potere per amore del potere, preferirebbe regnare all’inferno piuttosto che servire in paradiso e, se devono trasformare il paradiso in inferno per rimanere al potere, lo faranno». Qui, il presidente argentino - nel settimo punto - invita le destre a giocare d’attacco, a non farsi dettare la linea dall’avversario, a non vivere sulla difensiva. Ottavo, «combattere la battaglia culturale dal potere non è solo consigliabile, è un obbligo». Non basta avere una buona idea, bisogna saperla anche comunicare: «La sinistra è la prova che le idee più terribili possono avere successo culturale se ben commercializzate». Nono punto, «l’unico modo per combattere il socialismo è da destra». Il centro «in superficie è moderato, ma sotto la superficie è sempre funzionale al socialismo».Decimo, «ultimo e più importante di tutti, stiamo difendendo una causa giusta e nobile, molto più grande di ognuno di noi», per cui bisogna «essere pronti a dare la vita». E cioè la causa dell’Occidente, «un filo che attraversa i millenni»: «la causa dei filosofi ateniesi, la causa che voi romani avete consolidato nel primo impero multicontinentale, la causa che ha attraversato l’oceano e colonizzato l’America, la causa che ci ha reso cittadini e ci ha liberato dal giogo della tirannia, la causa che ha scoperto il metodo scientifico e che con il capitalismo della libera impresa ha tolto dalla miseria miliardi di esseri umani». La posta in gioco è alta, «non c’è spazio per ambizioni personali». «Poi arriva l’inaspettata menzione di «Lenin, che pur essendo di sinistra diceva cose interessanti e bisogna ascoltarle», secondo cui «senza teoria rivoluzionaria non può esserci un movimento rivoluzionario».E infine, la stoccata alla «malattia dell’anima del woke», che «sta incontrando sempre più resistenza da parte di una società che è alla ricerca […] di leader che aprano la strada». «Dobbiamo assumerci la responsabilità di questa realtà ed essere all’altezza del momento storico, e il modo più efficace è quello di stare insieme, stabilendo canali di cooperazione in tutto il mondo».
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
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