2022-11-08
Migranti, ricatto all’Italia
Le Ong sfidano il ministero dell’Interno tra gli applausi dei mass media. Una questione che si aggiunge a quelle già aperte con l’Unione europea. Con il forte rischio che possa diventare merce di scambio o arma di pressione. Nordio: «Lo Stato di primo accesso è dove è registrata la nave che soccorre».La trappola è pronta e si chiama tavolo unico negoziale. L’Ue vuole spossare, con una trattativa infinita, il governo Meloni e costringerlo a scendere a compromessi sui migranti barattando concessioni su patto di stabilità, ambiente, economia ed energia. Un accerchiamento che indebolirebbe l’esecutivo esponendolo ai ricatti dell’Ue. Intanto, sul fronte siciliano le Ong continuano il braccio di ferro con Roma tra gli applausi dei media, delle sinistre e dei grillini. Arriva invece l’affondo del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che specifica che «lo Stato di primo accesso è quello di bandiera della nave che soccorre». E poi una stoccata ai buonisti: «I migranti poveri? Ma se pagano oro per il viaggio...». No, non c’è davvero bisogno di ricorrere a conspiracy theories, a ipotesi complottistiche, a evocazioni di misteriose e occulte «regie»: è sufficiente guardare la realtà, esaminare la «scena» (senza «retroscena»), considerare i fatti nudi e crudi, per capire che l’Italia e il neonato governo di Giorgia Meloni avrebbero ben volentieri fatto a mano della crisi delle navi Ong.Ricapitoliamo. C’è una nuova maggioranza che esce da una vittoria elettorale squillante, che ha il vento nelle vele anche nei sondaggi post-elettorali, ma che – non dimentichiamolo – è sottoposta a un accerchiamento mediatico pressoché totale, in Italia e soprattutto all’estero. Una sinistra (politica e mediatica) sicura perdente ha avvelenato i pozzi già durante la campagna elettorale, ha giocato la carta del fascismo, ha presentato la Meloni in una luce fortemente negativa. E non a caso, il giorno dopo il voto, i giornali di mezzo mondo non parlavano della vittoria di un partito di right-wing, ma di un partito di far-right. Occhio, non è una sottigliezza lessicale, roba per traduttori, ma è una questione sostanziale: col primo termine si indicano partiti rispettabili di tradizione conservatrice e repubblicana, con il secondo si bollano formazioni estreme.Specie sullo scenario internazionale, dunque, la Meloni ha subito dovuto giocare in rimonta, e lo ha fatto con efficacia. Lei stessa, con sincerità, ha ammesso che i primi incontri a Bruxelles le sono serviti a smontare la narrazione che qualcuno le aveva cucito addosso, a far vedere che «non siamo marziani».Di più. Il timing dell’insediamento del governo coincide pari pari con la presentazione della legge di bilancio e il relativo negoziato in Ue. Non c’è bisogno di ricordare cosa accadde al governo gialloverde nel 2018, quando un esecutivo politicamente «sgradito» fu bombardato ogni giorno dalla coppia Moscovici-Dombrovskis, e fu infine crocifisso per uno 0,36% di deficit, con l’imposizione di riscrivere la manovra portando il deficit dal 2,4 al 2,04%. Stavolta, la prudenza con cui l’esecutivo di Roma si è mosso sembra precludere agguati di questo tipo: il Financial Times ha prefigurato un semaforo verde, ammettendo che il deficit previsto dal nostro governo è solo slightly higher, «leggermente più elevato». Ma in questi casi non si sa mai come possa finire la partita.Non solo. Se la vicenda delle navi Ong crea una frizione diretta con la Germania (oltre che indiretta con Bruxelles, con la Francia e con quanti amano in questi casi farci sermoni), tutto ciò non può non avere conseguenze su una sorta di unico tavolo negoziale, su cui convergerà praticamente tutto: questioni economiche immediate, riforma del patto di stabilità, crisi migratoria, futuro dell’Unione. È fatale che, se metti sulle spalle del soggetto che già deve accreditarsi pure il fardello di una vertenza in più, di un altro fronte aperto, ciò produrrà attriti negoziali, tentazioni di do ut des da parte di Bruxelles e Berlino (ok a una tua richiesta se tu però in cambio eccetera eccetera…), e soprattutto – scenario da incubo – una sorta di spossante e continua trattativa, nave per nave, caso per caso, migrante per migrante.Un’ipotesi del genere è estenuante dal punto di vista diplomatico, rischiosa dal punto di vista mediatico, costosa dal punto di vista reputazionale. E una leader che vola nei sondaggi e non ha bisogno di scorciatoie si ritrova costantemente esposta a una tensione di cui avrebbe fatto a meno, a maggior ragione in un momento in cui avrebbe bisogno di lavorare serena e di costruire una sua «forza tranquilla».Giova peraltro ricordare un paio di elementi fattuali. Malta a parte, i Paesi più esposti alle questioni migratorie sono governati da partiti e coalizioni diversissime: in Grecia c’è un governo di centrodestra, in Spagna uno di sinistra-sinistra, in Francia uno tecnoprogressista. Ma tutti e tre, ciascuno a proprio modo, adottano una linea dura e dissuasiva. Perché mai solo l’Italia non dovrebbe poter fare una scelta dello stesso tipo? E perché mai si deve credere alla balla per cui – in tutto il Mediterraneo – gli unici «porti sicuri» sarebbero quelli italiani?Tra l’altro, sono i numeri a tagliare la testa al toro. In Italia, solo nell’ultimo trimestre (da agosto a ottobre) sono arrivati oltre 44.000 migranti. Sapete quanti di questi sono stati ricollocati su base volontaria nei principali paesi Ue? Sembra uno scherzo: 38 in Francia e 74 in Germania. Totale: 112 su oltre 44.000.È questo stato di cose che non può essere ulteriormente tollerato. Da Parigi, da Bruxelles, da Berlino ci giungono a scadenze regolari pacche sulle spalle e prediche umanitarie, a cui però fa riscontro un sostanziale disimpegno. Il gioco – adesso – è fin troppo chiaro: protrarre questo stato di cose a noi sfavorevole, e tenere il nuovo governo sotto ricatto oggettivo, sempre sotto esame, inchiodato al tavolo negoziale, e con l’immagine da «cattivi» della situazione. Schema logoro e sceneggiatura scontata: ma il pericolo non può essere sottovalutato.