2025-05-14
Il nostro Pil non lo «tirano» i migranti. L’accoglienza fa bene solo a Berlino
Uno studio Bce dimostra che da noi il peso degli stranieri nell’economia è inferiore a quello degli italiani. In Germania però avviene il contrario: le politiche per i profughi dell’Ue come sempre convengono ai tedeschi.A volte la verità fa capolino proprio quando meno te l’aspetti. Ti immagini la Banca centrale europea come il tempio algido del politicamente corretto. Fatto solo di tabelle, grafici e burocrati ben pettinati che si inchinano ai dogmi globalisti, e invece... Invece viene pubblicato un blog tecnico, uno di quei post che in genere leggono solo i tecnici, e ti ritrovi l’analisi che non ti aspetti: in Italia, la crescita del Pil e dell’occupazione post Covid non è stata trainata dagli immigrati, ma dai lavoratori italiani.Aspetta, ripetiamolo per chi in questi anni si è nutrito a colazione di editoriali del Guardian, a pranzo di Repubblica e a cena di qualche talk show impegnato: i lavoratori stranieri in Italia non hanno contribuito in modo sostanziale alla ripresa dell’occupazione, né alla crescita della produzione.Lo dice la Bce e non un blog sovranista. E con quel tono da «non volevamo dirlo, ma i dati sono dati», Per anni ci siamo sentiti ripetere che senza immigrati l’Italia sarebbe crollata. Che facevano i lavori che noi non vogliamo fare e che pagavano le nostre pensioni, che erano il motore del futuro.Dalla tabella pubblicata dalla Bce scopriamo che in Italia, a differenza della media europea, la vera spinta è arrivata dagli italiani stessi, quelli che – secondo certi commentatori – erano buoni solo per lamentarsi.Il post della Bce è un capolavoro di prudenza per non litigare con i numeri attesi molto diversi. Dice che il tasso di partecipazione dei lavoratori italiani è aumentato dopo la pandemia, che l’accumulo di capitale è rimasto debole, che la produttività è cresciuta a fatica, ma che a tenere in piedi la baracca ci ha pensato il lavoro italiano. Non il rifugiato formato da qualche centro accoglienza, ma proprio lui: l’idraulico di Latina, l’operaia di Prato, il barista di Bari. Secondo lo studio della Bce, che porta le firme di Oscar Arce, Agostino Consolo, Antonio Dias da Silva e Marco Weissler, in tutta l’area euro i lavoratori stranieri rappresentavano solo il 9% della forza lavoro nel 2022, eppure hanno inciso per il 50% sulla crescita complessiva della forza lavoro. Ma attenzione: questa è una media europea, che nasconde differenze enormi.In Germania – dove la popolazione invecchia e la natalità è ai minimi – è evidente che gli immigrati siano serviti a tappare qualche buco. In Spagna, un altro po’. Ma in Italia no: qui, i numeri dicono che, nonostante le difficoltà e la demografia avversa, a far salire il Pil e a far scendere la disoccupazione sono stati i lavoratori italiani. Vogliamo anche dire che forse per capacità di lavoro e produttività siamo migliori degli amici tedeschi? La Bce lo scrive nero su bianco: «Paesi con tassi di partecipazione relativamente più bassi – come l’Italia – hanno visto un aumento della crescita economica sostenuto da tassi di partecipazione più elevati dei cittadini. Qui, i lavoratori stranieri non hanno contribuito in modo sostanziale all'occupazione e quindi alla crescita della produzione». La realtà supera la propaganda.E se qualcuno volesse comunque difendere il «valore economico» dell’immigrazione con l’argomento classico del «pagano le tasse e ci aiutano con la spesa pubblica», allora vale la pena dare uno sguardo a un altra statistica.Secondo le elaborazioni della Fondazione Leone Moressa su dati della Banca d’Italia, nel 2024 sono usciti dal Paese circa 8,3 miliardi in rimesse ufficiali. Ma non è finita qui: aggiungendo anche i flussi «invisibili» (difficili da tracciare ma stimabili) si arriva a una forbice che va dai 9,5 ai 12 miliardi.Soldi guadagnati in Italia, ma spediti altrove: in Bangladesh (1,4 miliardi, il 17% del totale), in Pakistan, in Marocco, e – con sorpresa – anche in Georgia, dove vive appena una manciata di connazionali.In pratica: non solo gli immigrati non sono stati protagonisti della crescita post Covid, ma una fetta significativa del reddito che producono viene trasferita all’estero, sottraendo risorse al circuito economico nazionale. Altro che «arricchiscono l’Italia».Questo non significa – sia chiaro – che gli immigrati non siano utili o che non ci siano settori dove la loro presenza è fondamentale (sanità, assistenza, agricoltura stagionale). Ma una cosa è dire «servono in certi contesti», un’altra è raccontare per anni che senza di loro non ci sarebbe ripresa, non ci sarebbero pensioni, non ci sarebbe futuro.Quel racconto – comodo per chi vive di ideologia – è stato ora smentito dai freddi numeri delle istituzioni economiche. E fa un certo effetto che sia proprio la Bce, l’organo più eurocratico che ci sia, a mettere nero su bianco che in Italia la ripresa l’hanno fatta gli italiani.Il finale racconta una storia nuova. Abbiamo scoperto che a mandare avanti la carretta erano ancora una volta i soliti noti: quegli italiani di cui ci si fida poco e che si critica sempre, ma che quando c’è da lavorare – tra un decreto e un green pass – non si tirano mai indietro.Certo, la realtà è più complicata delle semplificazioni giornalistiche. Ma una cosa è certa: la prossima volta che qualcuno ripeterà che «gli immigrati ci mantengono», potrete rispondere con un sorriso e citare la Bce.Che, ironia della sorte, non voleva nemmeno dirlo troppo forte.