
Recep Tayyip Erdogan: «Inutile l'embargo sulle armi». Vladimir Putin dà l'ok all'intervento armato siriano.Proseguono le operazioni militari di Ankara in territorio siriano. Stando a quanto riportato dall'agenzia di stampa Anadolu, le milizie filoturche avrebbero conquistato ieri la cittadina di Suluk, considerata una postazione strategica a circa dieci chilometri dal confine. A capitolare davanti all'avanzata turca sarebbe poi stata anche la città di Tel Abyad. Le milizie curde, dall'altra parte, avrebbero sferrato una potente controffensiva nell'area di Ras Al Ayn, riprendendo il controllo di alcuni villaggi. Tutto questo, mentre l'invasione turca ha costretto 130.000 persone a fuggire dalle proprie abitazioni. «Potrebbero esserci fino a 400.000 sfollati all'interno della Siria e attraverso le aree colpite», ha non a caso affermato Jens Laerke, portavoce dell'ufficio Onu per il coordinamento umanitario. Intanto, con il beneplacito dei russi, il leader siriano, Bashar Al Assad, ha siglato un'intesa con i curdi per respingere l'attacco turco e le sue truppe si sono messe in marcia verso il Nord Est del Paese. Il numero delle vittime aumenta. Secondo quanto riferito dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, nella giornata di ieri, sarebbero almeno 14 i civili rimasti uccisi. Sabato sono stati invece in nove a perdere la vita, tra cui l'attivista Hevrin Khalaf. I raid di Ankara hanno colpito anche un convoglio di giornalisti stranieri. Un reporter curdo è morto.Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, sembra comunque intenzionato a tirar dritto. «Hanno minacciato di imporci sanzioni economiche e l'embargo sulla vendita di armi. Ma quelli che pensano di poter fermare la Turchia con queste minacce si sbagliano di grosso», ha tuonato. Il riferimento è al fatto che Germania, Francia e Olanda abbiano bloccato la fornitura di materiale militare ad Ankara: una linea fatta propria pure dal nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ha affermato: «Lunedì al consiglio Ue dei ministri degli Esteri, come governo, chiederemo che l'Ue blocchi la vendita di armi alla Turchia». Angela Merkel invece ha chiamato direttamente il Sultano, chiedendogli di fermare l'offensiva.Anche per venire incontro alle richieste di ampi settori del Congresso e nonostante qualche titubanza del Dipartimento del Tesoro americano, la Casa Bianca parrebbe intenzionata ad adottare la via della ritorsione economica. Secondo quanto da lui dichiarato ieri su Twitter, Donald Trump starebbe considerando «potenti sanzioni contro la Turchia». Allo stesso tempo, il presidente americano ha tuttavia rivendicato la propria scelta di disimpegno militare, ribadendo la volontà di non rimanere invischiato in un ulteriore conflitto mediorientale. Insomma, pur escludendo la soluzione militare, Washington sembra intenzionata a rispolverare l'arma delle sanzioni, per impedire che Erdogan possa passare la misura. Non si tratterebbe di una strategia nuova per Trump. Era l'estate del 2018 quando, per ritorsione alla detenzione di un cittadino americano in Turchia, la Casa Bianca impose una serie di pesantissime sanzioni su Ankara, spingendola sull'orlo del baratro economico. Quell'approccio si rivelò vincente, perché mise a nudo tutte le debolezze strutturali dell'economia turca, costringendo il Sultano ad ammorbidirsi. Per tale ragione, è molto probabile che Erdogan tema oggi una reazione di questo tipo da parte degli americani, laddove le minacce europee non sembrano turbarlo.È difficile infatti pensare di colpire efficacemente la Turchia con un embargo militare: soprattutto negli ultimi anni, Erdogan si è avvicinato fortemente alla Russia e proprio a Mosca il Sultano potrebbe rivolgersi per rifornirsi di materiale bellico. Nonostante Vladimir Putin abbia recentemente pronunciato parole dure contro Ankara, per il momento il Cremlino è disposto ad assecondare Erdogan per almeno tre ragioni: spingere i curdi sotto l'egida di Bashar Al Assad, mettere le mani sulla regione di Idlib e salvaguardare la convergenza geopolitica con la Turchia in chiave anti Nato. Forse, per danneggiare realmente Ankara, Bruxelles dovrebbe interrompere gli ingenti quantitativi di danaro pagati al Sultano per bloccare i flussi migratori. Ma questo esigerebbe un radicale cambio di passo sulla politica migratoria da parte dell'Ue. Un cambio di passo che Germania e Francia non sembrano intenzionate a intraprendere, con il risultato di lasciare costantemente Bruxelles alla mercé dei ricatti turchi. Del resto, è sempre per il timore che il Sultano possa «aprire i cancelli» e riversare sull'Europa occidentale qualche milione di profughi siriani, che l'Europa ha paura di adottare, come gli Usa, la strategia delle sanzioni.
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