2022-02-03
Mentre l’inflazione si mangia i salari Orlando ricatta le ditte in stile Urss
L’80% dei nuovi occupati è precario e gli stipendi crescono dello 0,6% contro il 4,8% dei prezzi. Il ministro invece di riformare il mondo del lavoro vuole imporre assunzioni per quote in cambio dei soldi del Pnrr.I salari crescono dello 0,6% contro il 4,8% dell’inflazione. E l’80% dei nuovi occupati è precario. Ma, invece di rifondare il mercato del lavoro, Andrea Orlando vuole imporre - in stile Soviet - alle aziende di assumere almeno il 30% di donne e giovani per poter lavorare con i fondi del Pnrr. Annunciata da tempo, ecco arrivare la prima onda dell’inflazione. Ieri l’Istat ha diffuso i dati di gennaio. Una crescita del 4,8% rispetto a gennaio del 2021 e dell’1,6% rispetto a dicembre scorso. Durante l’anno appena trascorso la media dell’inflazione si è attestata appena sotto alla soglia di indirizzo della Bce, il 2%, ma la vera impennata si è registrata soltanto a partire da ottobre. Nello stesso periodo i salari italiani sono saliti soltanto dello 0,6%. Ben al di sotto della svalutazione del potere d’acquisto. Per quest’anno la stima di rialzo dei salari dovrebbe attestarsi intorno al misero mezzo punto, mentre la media dell’inflazione sul 2022 viaggerà più vicino al 6 che al 5%. La differenza tra i due valori rende bene l’idea. Fa capire quanto il trend si mangerà i salari fissi. E, purtroppo, questi ultimi sono l’unica speranza per creare una barriera all’inflazione. Perché non salgono le buste paga? Innanzitutto perché le regole del mondo del lavoro non sono state riscritte. I contratti iper regolati hanno costi troppo alti, mentre quelli flessibili garantiscono paghe da fame. Così a ogni cambio di assunzione si ingrossa la fetta dei precari (l’80% dei nuovi assunti nel 2021) che sono senza tutele e senza paracadute finanziario. È colpa dei sindacati e dei vari governi che vedono in questo schema la rispettiva sopravvivenza. I sindacati mirano solo ad accompagnare il lavoratore alla pensione e i governi a spremere il lavoro con il cuneo fiscale. La pandemia ha permesso che tutti i problemi strutturali potessero venire infilati nel frigorifero. Da marzo le regole anti licenziamento salteranno e i nodi verranno al pettine. Proprio perché ricette riformiste sono state uccise in culla. Consentiteci un esempio. Il tentativo di Assodelivery e Ugl di creare un contratto di lavoro nuovo per i rider, flessibile e con maggiore retribuzione, è stato soffocato sul nascere dal ministero del Lavoro e dalla Cgil. Era perfetto? Assolutamente no. Ma era una ottima sperimentazione a cui tutte le altre parti in causa si sarebbero dovute aggiungere per apportare migliorie. Invece nulla. Siamo al punto di partenza. E tutta questa estrema burocrazia ha consentito al nostro Paese di aver un ministro comunista e sovietico come Andrea Orlando. Il quale ha finalmente la possibilità di uscire allo scoperto e lanciare i suoi personali piani quinquennali. In una intervista rilasciata ieri a La Repubblica ha spiegato che sarebbe il caso di riservare una quota di assunzioni (30% dei posti) a giovani e donne in tutte le aziende che opereranno nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Lo schema nella testa di Orlando è molto semplice. Dal momento che i fondi del Pnrr sono pubblici, le aziende che riceveranno l’incarico di portare avanti i cantieri potranno essere obbligate a rispettare vincoli di assunzione. Per Orlando questi sono soldi pubblici e lo Stato decide chi deve essere assunto. D’altronde è successo anche con il Covid. Chi è senza super green pass non può lavorare e un datore di lavoro non può aggirare il vincolo e concedere al dipendente no vax di lavorare da casa, garantendosi produttività e magari riconoscenza. Per due anni le imprese non hanno potuto licenziare perché lo Stato ha deciso che era meglio la cassaintegrazione. Non solo, il reddito di cittadinanza è stato rinnovato all’infinito con un costo di 11 miliardi all’anno, ma non si trovano i fondi per tagliare l’Irpef. Un Paese di cittadini sussidiati e di aziende pagate dallo Stato non sarà mai più libero di fare impresa. Negli ultimi mesi abbiamo perso oltre 300.000 partite Iva, il simbolo tricolore della lotta al comunismo, allo statalismo e al collettivismo. Vessate dal fisco da decenni non sono riuscite a sopravvivere al lockdown e al green pass. Purtroppo molte saranno costrette ad accettare il latte della mammella pubblica. A questo punto bisognerebbe ricordare a Orlando che i soldi pubblici non sono soldi dello Stato ma dei contribuenti. E che le condizioni che vuole imporre a quel che resta del mercato saranno l’ulteriore elemento che metterà a repentaglio il Pnrr. Trasformando i prestiti in debito. Per giunta senza aver realizzato le infrastrutture. Ciò che però va salvaguardato è la libertà d’impresa degli italiani. Respingiamo queste idee. Respingiamo il modello di società che guida Orlando&C. Niente tasse senza rappresentanza. Ma questa revisione va fatta al più presto. Prima che l’estensione del green pass, l’applicazione massiva dell’intelligenza artificiale e l’introduzione dell’euro digitale rendano impossibile ogni protesta.