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2022-04-02
Mentre il negoziato va a passo lento la Russia consolida l’asse con l’India
Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan (Ansa)
Guerra e negoziati. Ieri si è svolta una lunga telefonata tra il presidente russo, Vladimir Putin, e quello turco, Recep Tayyp Erdogan, che prima del colloquio ha dichiarato: «Ho parlato con Zelensky e oggi alle 16 parlerò con Putin. È tempo che i due leader si parlino per compiere dei passi per risolvere l’impasse legata allo status di Donbass e Crimea. Con i colloqui di oggi si definirà una data per l’incontro. Zelensky ha un approccio positivo, come anche Putin in passato. Oggi ci parlerò», ha aggiunto Erdogan, «e definiremo la data».
In realtà, la data non è stata fissata: al termine della telefonata, Erdogan ha fatto sapere di aver proposto a Putin di incontrare Zelensky in Turchia. «Il presidente russo, Putin», ha riferito da parte sua il Cremlino, «ha parlato al telefono con il capo di Stato turco, Erdogan, a cui ha dato la sua valutazione sul processo di negoziati in corso e che ha ringraziato per aver organizzato il round di colloqui a Istanbul». Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha ribadito che «l’Ucraina è pronta per un potenziale incontro tra il presidente Volodymyr Zelensky e l’omologo russo, Vladimir Putin, in Turchia» e ha ringraziato Erdogan per i suoi sforzi. In merito all’attacco a Belgorod, però, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha fatto sapere che quanto accaduto non crea «condizioni favorevoli» ai negoziati. Anche se in serata Kiev ha precisato: «Non siamo stati noi».
Intanto, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha affermato che «l’Ucraina sta dimostrando di aver compreso la realtà su Crimea e Donbass nel corso dei negoziati con la Russia. Ci sono progressi nei colloqui tra Mosca e Kiev», ha aggiunto il diplomatico, «anche sulla questione dello status di neutralità dell’Ucraina, nonché sul non ingresso nella Nato e sul mancato sviluppo di programmi nucleari militari da parte di Kiev. La parte ucraina ha messo su carta la sua visione degli accordi da raggiungere, questi accordi devono essere prima formalizzati», ha sottolineato Lavrov, «stiamo preparando una risposta».
Lavrov, a quanto riportano i media locali, ha aperto all’ipotesi di una mediazione dell’India nel conflitto in Ucraina, incontrando il suo omologo indiano, Subrahmanyam Jaishankar. «L’India è un Paese importante», ha detto Lavrov, «e può sostenere» il processo di mediazione tra Mosca e Kiev.
A proposito di India: il ministro degli Esteri di Nuova Delhi, Subrahmanyam Jaishankar, ha sostanzialmente confermato e giustificato la decisione di comprare petrolio a prezzi scontati dalla Russia, colpita dalle sanzioni dei Paesi occidentali, come riferito dal quotidiano Hindustan Times. «Quando i prezzi salgono», ha detto Jaishankar, «penso che sia naturale che i Paesi cerchino di fare dei buoni affari per i loro popoli». La Russia, riporta l’agenzia Nova, sta offrendo all’India 15 milioni di barili di petrolio al prezzo di 35 dollari al barile, che potrebbero essere pagati con transazioni rupie-rubli. Lavrov ha incontrato anche il primo ministro indiano, Narendra Modi, il quale, ha ribadito l’appello per una rapida cessazione della violenza, offrendo la disponibilità di Nuova Delhi a «contribuire in ogni modo agli sforzi per la pace».
Il presidente americano, Joe Biden, ha detto ieri che altri 30 Paesi, dopo gli Stati Uniti, sbloccheranno le loro riserve di petrolio per far fronte alle difficoltà create dalla guerra in Ucraina. Biden non ha detto di quali Paesi si tratta. Secondo fonti Usa, sarebbero i membri dell’Agenzia internazionale dell’energia, che ieri si sono riuniti in un vertice straordinario, e della quale non fanno parte Cina e India.
Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che ieri ha sentito al telefono Emmanuel Macron, ha detto in un video che «le forze russe si stanno raggruppando e si preparano a sferrare possenti attacchi» contro il Donbass e il Sud dell’Ucraina, a cominciare da Mariupol. Secondo Zelensky, il ridispiegamento da Kiev e dal Nord, «fa parte della loro tattica. Sappiamo», ha sottolineato il leader di Kiev, «che si allontanano dalle zone dove li stiamo battendo per concentrarsi su altre molto importanti dove per noi può essere più difficile». La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ieri a Kiev ha incontrato il presidente del Parlamento ucraino, Ruslan Stefanchuk: «La resistenza e il coraggio degli ucraini», ha detto la Metsola, «hanno ispirato il mondo. Siamo con voi».
Intanto, a quanto riferisce l’Adnkronos, che cita fonti diplomatiche di Helsinki, l’ingresso della Finlandia nella Nato, è una ipotesi alla quale si sta lavorando. Il segretario generale per gli Affari esteri, Matti Anttonen, ieri ha incontrato la stampa all’ambasciata finlandese a Roma. Una visita già pianificata, ha precisato Anttonen, ben prima della guerra. Si è parlato del possibile ingresso nella Nato, per il quale sarebbe al vaglio una proposta che dovrebbe essere presentata in Parlamento tra tre settimane, e che potrebbe presto interessare anche la Svezia. Il responsabile dei servizi umanitari dell’Onu, Martin Griffiths, volerà a Mosca domenica e poi andrà a Kiev, per cercare di ottenere una tregua.
Gli affari di Biden junior e della signora Clinton inguaiano la Casa Bianca
Non è un buon periodo per il Partito democratico americano. Si sta innanzitutto complicando la situazione per il figlio di Joe Biden, Hunter. Alcuni deputati repubblicani hanno inviato una lettera alla Casa Bianca, chiedendo le registrazioni delle comunicazioni avvenute tra lo stesso Hunter e l’amministrazione Obama (in cui Joe Biden era vicepresidente).
«I legami di Hunter Biden in tutta la sfera di influenza russa sono ora diventati particolarmente rilevanti nella guerra russa in rapido sviluppo in Ucraina», si legge nella missiva. «Se il governo russo sta tentando di influenzare la politica americana in Ucraina sfruttando il legame di Hunter Biden con suo padre, il presidente degli Usa, il popolo americano merita di saperlo», prosegue la lettera. In particolare, i repubblicani si chiedono per quale ragione Hunter (che non ricopre incarichi pubblici) sia stato sanzionato di recente da Mosca. «Il fatto che il governo russo abbia comminato sanzioni a Hunter Biden e, in particolare, a nessuno degli altri figli di Biden, suscita degli interrogativi sui suoi legami con la Russia», si legge ancora. La lettera cita quindi il rapporto che i senatori repubblicani pubblicarono nel settembre 2020, in cui si sosteneva che, nel 2014, Hunter avrebbe ricevuto 3,5 milioni di dollari dalla moglie dell’ex sindaco di Mosca, Elena Baturina.
Tra l’altro, il Washington Post ha messo in luce che Hunter ha ricevuto quasi 5 milioni di dollari dal colosso cinese Cfec che, sempre secondo i repubblicani, aveva connessioni con le alte sfere del Cremlino. Ma c’è un ulteriore elemento da sottolineare. Mosca ha messo di recente sanzioni su Hunter e lo sta accusando di aver raccolto finanziamenti per Metabiota: la società americana che, secondo il governo russo, avrebbe contribuito a realizzare armi biologiche in Ucraina (accusa, quest’ultima, respinta da Washington). Tuttavia, quando a ottobre 2020 Donald Trump rinfacciò pubblicamente a Biden i controversi affari del figlio in Ucraina e in Russia, Vladimir Putin si affrettò a dire di non essere a conoscenza di attività illecite da parte di Hunter. Hanno torto i repubblicani? Oppure Putin ha coperto i Biden (magari nell’affare Baturina) ai tempi dell’ultima campagna elettorale per le presidenziali americane? Se così fosse, la vulgata del Trump «putiniano» andrebbe significativamente rivista.
Ci sono poi cattive notizie anche per Hillary Clinton. La Federal election commission ha infatti multato l’ex first lady e il Comitato nazionale del Partito democratico rispettivamente per 8.000 e 105.000 dollari. La ragione? Riguarda il famigerato dossier di Steele: documento zeppo di informazioni infondate che - finanziato dal comitato di Hillary nel 2016 - serviva a imbastire la vulgata del Trump colluso con i russi. In particolare, il comitato dell’ex first lady ha riportato il finanziamento di quel documento nelle rendicontazioni come «servizi legali», anziché come «oppo research» (cioè la pratica volta a ricercare informazioni compromettenti su un avversario politico): questo ha fatto scattare la multa della Federal election commission. Ricordiamo che i dem avevano versato circa 1 milione di dollari allo studio legale Perkins Coie, il quale si rivolse alla società Fusion Gps, per ottenere il dossier redatto dall’ex spia britannica Christopher Steele.
Per Perkins Coie lavorava all’epoca Michael Sussmann, l’avvocato finito al centro dell’inchiesta del procuratore speciale, John Durham. In particolare, Durham ha accusato Sussmann di aver nascosto all’Fbi di lavorare per la Clinton quando, a settembre 2016, fornì informazioni al Bureau su un presunto collegamento tra la Trump organization e la russa Alfa bank: informazioni che si rivelarono infondate, ma che furono cavalcate dal comitato di Hillary (soprattutto da Jake Sullivan) nelle settimane precedenti alle presidenziali del 2016.
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Nonostante l’annuncio turco di un incontro Putin-Zelensky, l’attacco a Belgorod allontana Mosca e Kiev. Sul greggio però il Cremlino trova l’appoggio di Nuova Delhi. Intanto la Finlandia si avvicina alla Nato.I repubblicani puntano i fari sulle sanzioni russe al figlio del presidente. Hillary multata per il dossier anti Trump.Lo speciale contiene due articoliGuerra e negoziati. Ieri si è svolta una lunga telefonata tra il presidente russo, Vladimir Putin, e quello turco, Recep Tayyp Erdogan, che prima del colloquio ha dichiarato: «Ho parlato con Zelensky e oggi alle 16 parlerò con Putin. È tempo che i due leader si parlino per compiere dei passi per risolvere l’impasse legata allo status di Donbass e Crimea. Con i colloqui di oggi si definirà una data per l’incontro. Zelensky ha un approccio positivo, come anche Putin in passato. Oggi ci parlerò», ha aggiunto Erdogan, «e definiremo la data». In realtà, la data non è stata fissata: al termine della telefonata, Erdogan ha fatto sapere di aver proposto a Putin di incontrare Zelensky in Turchia. «Il presidente russo, Putin», ha riferito da parte sua il Cremlino, «ha parlato al telefono con il capo di Stato turco, Erdogan, a cui ha dato la sua valutazione sul processo di negoziati in corso e che ha ringraziato per aver organizzato il round di colloqui a Istanbul». Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha ribadito che «l’Ucraina è pronta per un potenziale incontro tra il presidente Volodymyr Zelensky e l’omologo russo, Vladimir Putin, in Turchia» e ha ringraziato Erdogan per i suoi sforzi. In merito all’attacco a Belgorod, però, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha fatto sapere che quanto accaduto non crea «condizioni favorevoli» ai negoziati. Anche se in serata Kiev ha precisato: «Non siamo stati noi». Intanto, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha affermato che «l’Ucraina sta dimostrando di aver compreso la realtà su Crimea e Donbass nel corso dei negoziati con la Russia. Ci sono progressi nei colloqui tra Mosca e Kiev», ha aggiunto il diplomatico, «anche sulla questione dello status di neutralità dell’Ucraina, nonché sul non ingresso nella Nato e sul mancato sviluppo di programmi nucleari militari da parte di Kiev. La parte ucraina ha messo su carta la sua visione degli accordi da raggiungere, questi accordi devono essere prima formalizzati», ha sottolineato Lavrov, «stiamo preparando una risposta». Lavrov, a quanto riportano i media locali, ha aperto all’ipotesi di una mediazione dell’India nel conflitto in Ucraina, incontrando il suo omologo indiano, Subrahmanyam Jaishankar. «L’India è un Paese importante», ha detto Lavrov, «e può sostenere» il processo di mediazione tra Mosca e Kiev. A proposito di India: il ministro degli Esteri di Nuova Delhi, Subrahmanyam Jaishankar, ha sostanzialmente confermato e giustificato la decisione di comprare petrolio a prezzi scontati dalla Russia, colpita dalle sanzioni dei Paesi occidentali, come riferito dal quotidiano Hindustan Times. «Quando i prezzi salgono», ha detto Jaishankar, «penso che sia naturale che i Paesi cerchino di fare dei buoni affari per i loro popoli». La Russia, riporta l’agenzia Nova, sta offrendo all’India 15 milioni di barili di petrolio al prezzo di 35 dollari al barile, che potrebbero essere pagati con transazioni rupie-rubli. Lavrov ha incontrato anche il primo ministro indiano, Narendra Modi, il quale, ha ribadito l’appello per una rapida cessazione della violenza, offrendo la disponibilità di Nuova Delhi a «contribuire in ogni modo agli sforzi per la pace». Il presidente americano, Joe Biden, ha detto ieri che altri 30 Paesi, dopo gli Stati Uniti, sbloccheranno le loro riserve di petrolio per far fronte alle difficoltà create dalla guerra in Ucraina. Biden non ha detto di quali Paesi si tratta. Secondo fonti Usa, sarebbero i membri dell’Agenzia internazionale dell’energia, che ieri si sono riuniti in un vertice straordinario, e della quale non fanno parte Cina e India. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che ieri ha sentito al telefono Emmanuel Macron, ha detto in un video che «le forze russe si stanno raggruppando e si preparano a sferrare possenti attacchi» contro il Donbass e il Sud dell’Ucraina, a cominciare da Mariupol. Secondo Zelensky, il ridispiegamento da Kiev e dal Nord, «fa parte della loro tattica. Sappiamo», ha sottolineato il leader di Kiev, «che si allontanano dalle zone dove li stiamo battendo per concentrarsi su altre molto importanti dove per noi può essere più difficile». La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ieri a Kiev ha incontrato il presidente del Parlamento ucraino, Ruslan Stefanchuk: «La resistenza e il coraggio degli ucraini», ha detto la Metsola, «hanno ispirato il mondo. Siamo con voi». Intanto, a quanto riferisce l’Adnkronos, che cita fonti diplomatiche di Helsinki, l’ingresso della Finlandia nella Nato, è una ipotesi alla quale si sta lavorando. Il segretario generale per gli Affari esteri, Matti Anttonen, ieri ha incontrato la stampa all’ambasciata finlandese a Roma. Una visita già pianificata, ha precisato Anttonen, ben prima della guerra. Si è parlato del possibile ingresso nella Nato, per il quale sarebbe al vaglio una proposta che dovrebbe essere presentata in Parlamento tra tre settimane, e che potrebbe presto interessare anche la Svezia. Il responsabile dei servizi umanitari dell’Onu, Martin Griffiths, volerà a Mosca domenica e poi andrà a Kiev, per cercare di ottenere una tregua. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mentre-il-negoziato-va-a-passo-lento-la-russia-consolida-lasse-con-lindia-2657081148.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-affari-di-biden-junior-e-della-signora-clinton-inguaiano-la-casa-bianca" data-post-id="2657081148" data-published-at="1648857750" data-use-pagination="False"> Gli affari di Biden junior e della signora Clinton inguaiano la Casa Bianca Non è un buon periodo per il Partito democratico americano. Si sta innanzitutto complicando la situazione per il figlio di Joe Biden, Hunter. Alcuni deputati repubblicani hanno inviato una lettera alla Casa Bianca, chiedendo le registrazioni delle comunicazioni avvenute tra lo stesso Hunter e l’amministrazione Obama (in cui Joe Biden era vicepresidente). «I legami di Hunter Biden in tutta la sfera di influenza russa sono ora diventati particolarmente rilevanti nella guerra russa in rapido sviluppo in Ucraina», si legge nella missiva. «Se il governo russo sta tentando di influenzare la politica americana in Ucraina sfruttando il legame di Hunter Biden con suo padre, il presidente degli Usa, il popolo americano merita di saperlo», prosegue la lettera. In particolare, i repubblicani si chiedono per quale ragione Hunter (che non ricopre incarichi pubblici) sia stato sanzionato di recente da Mosca. «Il fatto che il governo russo abbia comminato sanzioni a Hunter Biden e, in particolare, a nessuno degli altri figli di Biden, suscita degli interrogativi sui suoi legami con la Russia», si legge ancora. La lettera cita quindi il rapporto che i senatori repubblicani pubblicarono nel settembre 2020, in cui si sosteneva che, nel 2014, Hunter avrebbe ricevuto 3,5 milioni di dollari dalla moglie dell’ex sindaco di Mosca, Elena Baturina. Tra l’altro, il Washington Post ha messo in luce che Hunter ha ricevuto quasi 5 milioni di dollari dal colosso cinese Cfec che, sempre secondo i repubblicani, aveva connessioni con le alte sfere del Cremlino. Ma c’è un ulteriore elemento da sottolineare. Mosca ha messo di recente sanzioni su Hunter e lo sta accusando di aver raccolto finanziamenti per Metabiota: la società americana che, secondo il governo russo, avrebbe contribuito a realizzare armi biologiche in Ucraina (accusa, quest’ultima, respinta da Washington). Tuttavia, quando a ottobre 2020 Donald Trump rinfacciò pubblicamente a Biden i controversi affari del figlio in Ucraina e in Russia, Vladimir Putin si affrettò a dire di non essere a conoscenza di attività illecite da parte di Hunter. Hanno torto i repubblicani? Oppure Putin ha coperto i Biden (magari nell’affare Baturina) ai tempi dell’ultima campagna elettorale per le presidenziali americane? Se così fosse, la vulgata del Trump «putiniano» andrebbe significativamente rivista. Ci sono poi cattive notizie anche per Hillary Clinton. La Federal election commission ha infatti multato l’ex first lady e il Comitato nazionale del Partito democratico rispettivamente per 8.000 e 105.000 dollari. La ragione? Riguarda il famigerato dossier di Steele: documento zeppo di informazioni infondate che - finanziato dal comitato di Hillary nel 2016 - serviva a imbastire la vulgata del Trump colluso con i russi. In particolare, il comitato dell’ex first lady ha riportato il finanziamento di quel documento nelle rendicontazioni come «servizi legali», anziché come «oppo research» (cioè la pratica volta a ricercare informazioni compromettenti su un avversario politico): questo ha fatto scattare la multa della Federal election commission. Ricordiamo che i dem avevano versato circa 1 milione di dollari allo studio legale Perkins Coie, il quale si rivolse alla società Fusion Gps, per ottenere il dossier redatto dall’ex spia britannica Christopher Steele. Per Perkins Coie lavorava all’epoca Michael Sussmann, l’avvocato finito al centro dell’inchiesta del procuratore speciale, John Durham. In particolare, Durham ha accusato Sussmann di aver nascosto all’Fbi di lavorare per la Clinton quando, a settembre 2016, fornì informazioni al Bureau su un presunto collegamento tra la Trump organization e la russa Alfa bank: informazioni che si rivelarono infondate, ma che furono cavalcate dal comitato di Hillary (soprattutto da Jake Sullivan) nelle settimane precedenti alle presidenziali del 2016.
La Juventus resta sotto il controllo di Exor. Il gruppo ha chiarito con un comunicato la propria posizione sull’offerta di Tether. «La Juventus è un club storico e di successo, di cui Exor e la famiglia Agnelli sono azionisti stabili e orgogliosi da oltre un secolo», si legge nella nota della holding, che conferma come il consiglio di amministrazione abbia respinto all’unanimità l’offerta per l’acquisizione del club e ribadito il pieno impegno nel sostegno al nuovo corso dirigenziale.
A rafforzare il messaggio, nelle stesse ore, è arrivato anche un intervento diretto di John Elkann, diffuso sui canali ufficiali della Juventus. Un video breve, meno di un minuto, ma importante. Elkann sceglie una veste informale, indossa una felpa con la scritta Juventus e parla di identità e di responsabilità. Traduzione per i tifosi che sognano nuovi padroni o un ritorno di Andrea Agnelli: il mercato è aperto per Gedi, ma non per la Juve. Il video va oltre le parole. Chiarisce ciò che viene smentito e ciò che resta aperto. Elkann chiude alla vendita della Juventus. Ma non chiude alla vendita di giornali e radio.
La linea, in realtà, era stata tracciata. Già ai primi di novembre, intervenendo al Coni, Elkann aveva dichiarato che la Juve non era in vendita, parlando del club come di un patrimonio identitario prima ancora che industriale. Uno dei nodi resta il prezzo. L’offerta attribuiva alla Juventus una valutazione tra 1,1 e 1,2 miliardi, cifra che Exor giudica distante dal peso economico reale (si mormora che Tether potrebbe raddoppiare l’offerta). Del resto, la Juventus è una società quotata, con una governance strutturata, ricavi di livello europeo e un elemento che in Italia continua a fare la differenza: lo stadio di proprietà. L’Allianz Stadium non è solo un simbolo. Funziona come asset industriale. È costato circa 155 milioni di euro, è entrato in funzione nel 2011 e oggi gli analisti di settore lo valutano tra 300 e 400 milioni, considerando struttura, diritti e capacità di generare ricavi. L’impianto produce flussi stabili, consente pianificazione e riduce l’esposizione ai risultati sportivi di breve periodo.
I numeri di bilancio completano il quadro. Nei cicli più recenti la Juventus ha generato ricavi operativi tra 400 e 450 milioni di euro, collocandosi tra i principali club europei per fatturato, come indicano i report Deloitte football money league. Prima della pandemia, i ricavi da stadio oscillavano tra 60 e 70 milioni di euro a stagione, ai vertici della Serie A. Su queste basi, applicando multipli utilizzati per club con brand globale e asset infrastrutturali, negli ambienti finanziari la valutazione industriale della Juventus viene collocata tra 1,5 e 2 miliardi di euro, al netto delle variabili sportive.
Il confronto con il mercato rafforza questa lettura. Il Milan è stato ceduto a RedBird per circa 1,2 miliardi di euro, senza stadio di proprietà e con una governance più complessa. Quel prezzo resta un riferimento nel calcio italiano. Se quella è stata la valutazione di un top club privo dell’asset stadio, risulta difficile immaginare che la Juventus possa essere trattata allo stesso livello senza che il socio di controllo giudichi l’operazione penalizzante.
A incidere è anche il profilo dell’offerente. Tether, principale emittente globale di stablecoin, opera in un perimetro regolatorio diverso da quello degli intermediari tradizionali, seguito con attenzione anche da Consob. Dopo l’ultimo aumento di capitale bianconero, Standard & Poor’s ha declassato la capacità di Usdt di mantenere l’ancoraggio al dollaro. Sul piano reputazionale pesa, inoltre, il giudizio dell’Economist (del gruppo Exor), secondo cui la stablecoin è diventata uno strumento utilizzato anche nei circuiti dell’economia sommersa globale, cioè sul mercato nero.
Intorno alla Juventus circolano anche altre ipotesi. Si parla di Leonardo Maria Del Vecchio, erede del fondatore di Luxottica e azionista di EssilorLuxottica attraverso la holding di famiglia Delfin, dopo l’offerta presentata su Gedi, e di un possibile interesse indiretto di capitali mediorientali. Al momento, però, mancano cifre e progetti industriali strutturati. Restano solo indiscrezioni.
Sullo sfondo continua intanto a emergere il nome di Andrea Agnelli. L’ex presidente dei nove scudetti ha concluso la squalifica e raccoglie il consenso di una parte ampia della tifoseria, che lo sogna come possibile punto di ripartenza. L’ipotesi che circola immagina un ritorno sostenuto da imprenditori internazionali, anche mediorientali, in un contesto in cui il fondo saudita Pif, guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman e già proprietario del Newcastle, si è imposto come uno dei principali attori globali del calcio.
Un asse che non si esaurisce sul terreno sportivo. Lo stesso filone saudita riaffiora nel dossier Gedi, ormai entrato nella fase conclusiva. La presenza dell’imprenditore greco Theodore Kyriakou, fondatore del gruppo Antenna, rimanda a un perimetro di relazioni che incrocia capitali internazionali e investimenti promossi dal regno saudita. In questo quadro, Gedi - che comprende Repubblica, Stampa e Radio Deejay - è l’unico asset destinato a cambiare mano, mentre Exor ha tracciato una linea netta: il gruppo editoriale segue una strada propria, la Juventus resta fuori (al momento) da qualsiasi ipotesi di cessione.
Jaki sembra un re Mida al contrario: uccide ciò che tocca ma rimane ricco
Finanziere puro. John Elkann, abilissimo a trasformare stabilimenti e impianti, operai e macchinari, sudore e fatica in figurine panini da comprare e vendere. Ma quando si tratta di gestire aziende «vere», quelle che producono, vincono o informano, la situazione si complica. È un po’ come vedere un mago dei numeri alle prese con un campo di calcio per stabilirne il valore e stabilire il valore dei soldi. Ma la palla… beh, la palla non sempre entra in porta. Peccato. Andrà meglio la prossima volta.
Prendiamo Ferrari. Il Cavallino rampante, che una volta dominava la Formula 1, oggi ha perso la capacità di galoppare. Elkann vende il 4% della società per circa 3 miliardi: applausi dagli azionisti, brindisi familiare, ma la pista? Silenziosa. Il titolo è un lontano ricordo. I tifosi hanno esaurito la pazienza rifugiandosi nell’ironia: «Anche per quest’anno vinceremo il Mondiale l’anno prossimo». E cosi gli azionisti. Da quando Elkann ha collocato quelle azioni il titolo scende e basta. Era diventato il gioiello di Piazza Affari. Dopo il blitz di Elkann per arricchire Exor il lento declino.
E la Juventus? Sotto Andrea Agnelli aveva conquistato nove scudetti di fila, un record che ha fatto parlare tutta Italia. Oggi arranca senza gloria. Racconta Platini di una breve esibizione dell’erede di Agnelli in campo. Pochi minuti e si fa sostituire. Rifiata, chiede di rientrare. Il campione francese lo guarda sorridendo: «John, questo è calcio non è basket». Elkann osserva da lontano, contento dei bilanci Exor e delle partecipazioni finanziarie, mentre tifosi e giornalisti discutono sulle strategie sportive. La gestione lo annoia, ma la rendita finanziaria quella è impeccabile.
Gedi naviga tra conti in rosso e sfide editoriali perdenti. Cairo, dall’altra parte, rilancia il Corriere della Sera con determinazione e nuovi investimenti. Elkann sorride: non è un problema gestire giornali, se sai fare finanza. La lezione è chiara: le aziende si muovono, ma i capitali contano di più.
Stellantis? La storia dell’auto italiana. La storia della dinastia. Ora un condominio con la famiglia Peugeot. Elkann lascia fare, osserva i mercati e, quando serve, vende o alleggerisce le partecipazioni. Anche qui, la gestione operativa non è il punto forte: ciò che conta è il risultato finanziario, non il numero di auto prodotte o le fabbriche gestite.
E gli investimenti? Alcuni brillano, altri richiedono pazienza. Philips è un esempio recente: un investimento ambizioso che riflette la strategia di diversificazione di Exor, con qualche rischio incorporato. Ma se si guarda al quadro generale, Elkann ha accumulato oltre 4 miliardi di liquidità entro metà 2025, grazie a vendite mirate e partnership strategiche. Una cifra sufficiente per pensare a nuove acquisizioni e opportunità, senza perdere il sorriso.
Perché poi quello che conta per John è altro. Il gruppo Exor continua a crescere in valore. Gli azionisti vedono il titolo passare da un minimo storico di 13,44 euro nel 2011 a circa 72 euro oggi, e sorridono. La famiglia Elkann Agnelli si gode i frutti degli investimenti, mentre il mondo osserva: Elkann è il finanziere perfetto, sa fare ciò che conta davvero, cioè far crescere la ricchezza e proteggere gli asset della famiglia.
In fondo, Elkann ci ricorda che la finanza ha il suo fascino anche quando la gestione aziendale è complicata: vendere, comprare, accumulare, investire con giudizio (e un pizzico di fortuna) può essere altrettanto emozionante che vincere scudetti, titoli di Formula 1 o rilanciare giornali. Il sorriso di chi ha azioni Exor vale più di qualsiasi trofeo, e dopotutto, questo è il suo segreto.
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