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2022-04-02
Mentre il negoziato va a passo lento la Russia consolida l’asse con l’India
Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan (Ansa)
Guerra e negoziati. Ieri si è svolta una lunga telefonata tra il presidente russo, Vladimir Putin, e quello turco, Recep Tayyp Erdogan, che prima del colloquio ha dichiarato: «Ho parlato con Zelensky e oggi alle 16 parlerò con Putin. È tempo che i due leader si parlino per compiere dei passi per risolvere l’impasse legata allo status di Donbass e Crimea. Con i colloqui di oggi si definirà una data per l’incontro. Zelensky ha un approccio positivo, come anche Putin in passato. Oggi ci parlerò», ha aggiunto Erdogan, «e definiremo la data».
In realtà, la data non è stata fissata: al termine della telefonata, Erdogan ha fatto sapere di aver proposto a Putin di incontrare Zelensky in Turchia. «Il presidente russo, Putin», ha riferito da parte sua il Cremlino, «ha parlato al telefono con il capo di Stato turco, Erdogan, a cui ha dato la sua valutazione sul processo di negoziati in corso e che ha ringraziato per aver organizzato il round di colloqui a Istanbul». Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha ribadito che «l’Ucraina è pronta per un potenziale incontro tra il presidente Volodymyr Zelensky e l’omologo russo, Vladimir Putin, in Turchia» e ha ringraziato Erdogan per i suoi sforzi. In merito all’attacco a Belgorod, però, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha fatto sapere che quanto accaduto non crea «condizioni favorevoli» ai negoziati. Anche se in serata Kiev ha precisato: «Non siamo stati noi».
Intanto, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha affermato che «l’Ucraina sta dimostrando di aver compreso la realtà su Crimea e Donbass nel corso dei negoziati con la Russia. Ci sono progressi nei colloqui tra Mosca e Kiev», ha aggiunto il diplomatico, «anche sulla questione dello status di neutralità dell’Ucraina, nonché sul non ingresso nella Nato e sul mancato sviluppo di programmi nucleari militari da parte di Kiev. La parte ucraina ha messo su carta la sua visione degli accordi da raggiungere, questi accordi devono essere prima formalizzati», ha sottolineato Lavrov, «stiamo preparando una risposta».
Lavrov, a quanto riportano i media locali, ha aperto all’ipotesi di una mediazione dell’India nel conflitto in Ucraina, incontrando il suo omologo indiano, Subrahmanyam Jaishankar. «L’India è un Paese importante», ha detto Lavrov, «e può sostenere» il processo di mediazione tra Mosca e Kiev.
A proposito di India: il ministro degli Esteri di Nuova Delhi, Subrahmanyam Jaishankar, ha sostanzialmente confermato e giustificato la decisione di comprare petrolio a prezzi scontati dalla Russia, colpita dalle sanzioni dei Paesi occidentali, come riferito dal quotidiano Hindustan Times. «Quando i prezzi salgono», ha detto Jaishankar, «penso che sia naturale che i Paesi cerchino di fare dei buoni affari per i loro popoli». La Russia, riporta l’agenzia Nova, sta offrendo all’India 15 milioni di barili di petrolio al prezzo di 35 dollari al barile, che potrebbero essere pagati con transazioni rupie-rubli. Lavrov ha incontrato anche il primo ministro indiano, Narendra Modi, il quale, ha ribadito l’appello per una rapida cessazione della violenza, offrendo la disponibilità di Nuova Delhi a «contribuire in ogni modo agli sforzi per la pace».
Il presidente americano, Joe Biden, ha detto ieri che altri 30 Paesi, dopo gli Stati Uniti, sbloccheranno le loro riserve di petrolio per far fronte alle difficoltà create dalla guerra in Ucraina. Biden non ha detto di quali Paesi si tratta. Secondo fonti Usa, sarebbero i membri dell’Agenzia internazionale dell’energia, che ieri si sono riuniti in un vertice straordinario, e della quale non fanno parte Cina e India.
Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che ieri ha sentito al telefono Emmanuel Macron, ha detto in un video che «le forze russe si stanno raggruppando e si preparano a sferrare possenti attacchi» contro il Donbass e il Sud dell’Ucraina, a cominciare da Mariupol. Secondo Zelensky, il ridispiegamento da Kiev e dal Nord, «fa parte della loro tattica. Sappiamo», ha sottolineato il leader di Kiev, «che si allontanano dalle zone dove li stiamo battendo per concentrarsi su altre molto importanti dove per noi può essere più difficile». La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ieri a Kiev ha incontrato il presidente del Parlamento ucraino, Ruslan Stefanchuk: «La resistenza e il coraggio degli ucraini», ha detto la Metsola, «hanno ispirato il mondo. Siamo con voi».
Intanto, a quanto riferisce l’Adnkronos, che cita fonti diplomatiche di Helsinki, l’ingresso della Finlandia nella Nato, è una ipotesi alla quale si sta lavorando. Il segretario generale per gli Affari esteri, Matti Anttonen, ieri ha incontrato la stampa all’ambasciata finlandese a Roma. Una visita già pianificata, ha precisato Anttonen, ben prima della guerra. Si è parlato del possibile ingresso nella Nato, per il quale sarebbe al vaglio una proposta che dovrebbe essere presentata in Parlamento tra tre settimane, e che potrebbe presto interessare anche la Svezia. Il responsabile dei servizi umanitari dell’Onu, Martin Griffiths, volerà a Mosca domenica e poi andrà a Kiev, per cercare di ottenere una tregua.
Gli affari di Biden junior e della signora Clinton inguaiano la Casa Bianca
Non è un buon periodo per il Partito democratico americano. Si sta innanzitutto complicando la situazione per il figlio di Joe Biden, Hunter. Alcuni deputati repubblicani hanno inviato una lettera alla Casa Bianca, chiedendo le registrazioni delle comunicazioni avvenute tra lo stesso Hunter e l’amministrazione Obama (in cui Joe Biden era vicepresidente).
«I legami di Hunter Biden in tutta la sfera di influenza russa sono ora diventati particolarmente rilevanti nella guerra russa in rapido sviluppo in Ucraina», si legge nella missiva. «Se il governo russo sta tentando di influenzare la politica americana in Ucraina sfruttando il legame di Hunter Biden con suo padre, il presidente degli Usa, il popolo americano merita di saperlo», prosegue la lettera. In particolare, i repubblicani si chiedono per quale ragione Hunter (che non ricopre incarichi pubblici) sia stato sanzionato di recente da Mosca. «Il fatto che il governo russo abbia comminato sanzioni a Hunter Biden e, in particolare, a nessuno degli altri figli di Biden, suscita degli interrogativi sui suoi legami con la Russia», si legge ancora. La lettera cita quindi il rapporto che i senatori repubblicani pubblicarono nel settembre 2020, in cui si sosteneva che, nel 2014, Hunter avrebbe ricevuto 3,5 milioni di dollari dalla moglie dell’ex sindaco di Mosca, Elena Baturina.
Tra l’altro, il Washington Post ha messo in luce che Hunter ha ricevuto quasi 5 milioni di dollari dal colosso cinese Cfec che, sempre secondo i repubblicani, aveva connessioni con le alte sfere del Cremlino. Ma c’è un ulteriore elemento da sottolineare. Mosca ha messo di recente sanzioni su Hunter e lo sta accusando di aver raccolto finanziamenti per Metabiota: la società americana che, secondo il governo russo, avrebbe contribuito a realizzare armi biologiche in Ucraina (accusa, quest’ultima, respinta da Washington). Tuttavia, quando a ottobre 2020 Donald Trump rinfacciò pubblicamente a Biden i controversi affari del figlio in Ucraina e in Russia, Vladimir Putin si affrettò a dire di non essere a conoscenza di attività illecite da parte di Hunter. Hanno torto i repubblicani? Oppure Putin ha coperto i Biden (magari nell’affare Baturina) ai tempi dell’ultima campagna elettorale per le presidenziali americane? Se così fosse, la vulgata del Trump «putiniano» andrebbe significativamente rivista.
Ci sono poi cattive notizie anche per Hillary Clinton. La Federal election commission ha infatti multato l’ex first lady e il Comitato nazionale del Partito democratico rispettivamente per 8.000 e 105.000 dollari. La ragione? Riguarda il famigerato dossier di Steele: documento zeppo di informazioni infondate che - finanziato dal comitato di Hillary nel 2016 - serviva a imbastire la vulgata del Trump colluso con i russi. In particolare, il comitato dell’ex first lady ha riportato il finanziamento di quel documento nelle rendicontazioni come «servizi legali», anziché come «oppo research» (cioè la pratica volta a ricercare informazioni compromettenti su un avversario politico): questo ha fatto scattare la multa della Federal election commission. Ricordiamo che i dem avevano versato circa 1 milione di dollari allo studio legale Perkins Coie, il quale si rivolse alla società Fusion Gps, per ottenere il dossier redatto dall’ex spia britannica Christopher Steele.
Per Perkins Coie lavorava all’epoca Michael Sussmann, l’avvocato finito al centro dell’inchiesta del procuratore speciale, John Durham. In particolare, Durham ha accusato Sussmann di aver nascosto all’Fbi di lavorare per la Clinton quando, a settembre 2016, fornì informazioni al Bureau su un presunto collegamento tra la Trump organization e la russa Alfa bank: informazioni che si rivelarono infondate, ma che furono cavalcate dal comitato di Hillary (soprattutto da Jake Sullivan) nelle settimane precedenti alle presidenziali del 2016.
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Nonostante l’annuncio turco di un incontro Putin-Zelensky, l’attacco a Belgorod allontana Mosca e Kiev. Sul greggio però il Cremlino trova l’appoggio di Nuova Delhi. Intanto la Finlandia si avvicina alla Nato.I repubblicani puntano i fari sulle sanzioni russe al figlio del presidente. Hillary multata per il dossier anti Trump.Lo speciale contiene due articoliGuerra e negoziati. Ieri si è svolta una lunga telefonata tra il presidente russo, Vladimir Putin, e quello turco, Recep Tayyp Erdogan, che prima del colloquio ha dichiarato: «Ho parlato con Zelensky e oggi alle 16 parlerò con Putin. È tempo che i due leader si parlino per compiere dei passi per risolvere l’impasse legata allo status di Donbass e Crimea. Con i colloqui di oggi si definirà una data per l’incontro. Zelensky ha un approccio positivo, come anche Putin in passato. Oggi ci parlerò», ha aggiunto Erdogan, «e definiremo la data». In realtà, la data non è stata fissata: al termine della telefonata, Erdogan ha fatto sapere di aver proposto a Putin di incontrare Zelensky in Turchia. «Il presidente russo, Putin», ha riferito da parte sua il Cremlino, «ha parlato al telefono con il capo di Stato turco, Erdogan, a cui ha dato la sua valutazione sul processo di negoziati in corso e che ha ringraziato per aver organizzato il round di colloqui a Istanbul». Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha ribadito che «l’Ucraina è pronta per un potenziale incontro tra il presidente Volodymyr Zelensky e l’omologo russo, Vladimir Putin, in Turchia» e ha ringraziato Erdogan per i suoi sforzi. In merito all’attacco a Belgorod, però, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha fatto sapere che quanto accaduto non crea «condizioni favorevoli» ai negoziati. Anche se in serata Kiev ha precisato: «Non siamo stati noi». Intanto, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha affermato che «l’Ucraina sta dimostrando di aver compreso la realtà su Crimea e Donbass nel corso dei negoziati con la Russia. Ci sono progressi nei colloqui tra Mosca e Kiev», ha aggiunto il diplomatico, «anche sulla questione dello status di neutralità dell’Ucraina, nonché sul non ingresso nella Nato e sul mancato sviluppo di programmi nucleari militari da parte di Kiev. La parte ucraina ha messo su carta la sua visione degli accordi da raggiungere, questi accordi devono essere prima formalizzati», ha sottolineato Lavrov, «stiamo preparando una risposta». Lavrov, a quanto riportano i media locali, ha aperto all’ipotesi di una mediazione dell’India nel conflitto in Ucraina, incontrando il suo omologo indiano, Subrahmanyam Jaishankar. «L’India è un Paese importante», ha detto Lavrov, «e può sostenere» il processo di mediazione tra Mosca e Kiev. A proposito di India: il ministro degli Esteri di Nuova Delhi, Subrahmanyam Jaishankar, ha sostanzialmente confermato e giustificato la decisione di comprare petrolio a prezzi scontati dalla Russia, colpita dalle sanzioni dei Paesi occidentali, come riferito dal quotidiano Hindustan Times. «Quando i prezzi salgono», ha detto Jaishankar, «penso che sia naturale che i Paesi cerchino di fare dei buoni affari per i loro popoli». La Russia, riporta l’agenzia Nova, sta offrendo all’India 15 milioni di barili di petrolio al prezzo di 35 dollari al barile, che potrebbero essere pagati con transazioni rupie-rubli. Lavrov ha incontrato anche il primo ministro indiano, Narendra Modi, il quale, ha ribadito l’appello per una rapida cessazione della violenza, offrendo la disponibilità di Nuova Delhi a «contribuire in ogni modo agli sforzi per la pace». Il presidente americano, Joe Biden, ha detto ieri che altri 30 Paesi, dopo gli Stati Uniti, sbloccheranno le loro riserve di petrolio per far fronte alle difficoltà create dalla guerra in Ucraina. Biden non ha detto di quali Paesi si tratta. Secondo fonti Usa, sarebbero i membri dell’Agenzia internazionale dell’energia, che ieri si sono riuniti in un vertice straordinario, e della quale non fanno parte Cina e India. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che ieri ha sentito al telefono Emmanuel Macron, ha detto in un video che «le forze russe si stanno raggruppando e si preparano a sferrare possenti attacchi» contro il Donbass e il Sud dell’Ucraina, a cominciare da Mariupol. Secondo Zelensky, il ridispiegamento da Kiev e dal Nord, «fa parte della loro tattica. Sappiamo», ha sottolineato il leader di Kiev, «che si allontanano dalle zone dove li stiamo battendo per concentrarsi su altre molto importanti dove per noi può essere più difficile». La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ieri a Kiev ha incontrato il presidente del Parlamento ucraino, Ruslan Stefanchuk: «La resistenza e il coraggio degli ucraini», ha detto la Metsola, «hanno ispirato il mondo. Siamo con voi». Intanto, a quanto riferisce l’Adnkronos, che cita fonti diplomatiche di Helsinki, l’ingresso della Finlandia nella Nato, è una ipotesi alla quale si sta lavorando. Il segretario generale per gli Affari esteri, Matti Anttonen, ieri ha incontrato la stampa all’ambasciata finlandese a Roma. Una visita già pianificata, ha precisato Anttonen, ben prima della guerra. Si è parlato del possibile ingresso nella Nato, per il quale sarebbe al vaglio una proposta che dovrebbe essere presentata in Parlamento tra tre settimane, e che potrebbe presto interessare anche la Svezia. Il responsabile dei servizi umanitari dell’Onu, Martin Griffiths, volerà a Mosca domenica e poi andrà a Kiev, per cercare di ottenere una tregua. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mentre-il-negoziato-va-a-passo-lento-la-russia-consolida-lasse-con-lindia-2657081148.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-affari-di-biden-junior-e-della-signora-clinton-inguaiano-la-casa-bianca" data-post-id="2657081148" data-published-at="1648857750" data-use-pagination="False"> Gli affari di Biden junior e della signora Clinton inguaiano la Casa Bianca Non è un buon periodo per il Partito democratico americano. Si sta innanzitutto complicando la situazione per il figlio di Joe Biden, Hunter. Alcuni deputati repubblicani hanno inviato una lettera alla Casa Bianca, chiedendo le registrazioni delle comunicazioni avvenute tra lo stesso Hunter e l’amministrazione Obama (in cui Joe Biden era vicepresidente). «I legami di Hunter Biden in tutta la sfera di influenza russa sono ora diventati particolarmente rilevanti nella guerra russa in rapido sviluppo in Ucraina», si legge nella missiva. «Se il governo russo sta tentando di influenzare la politica americana in Ucraina sfruttando il legame di Hunter Biden con suo padre, il presidente degli Usa, il popolo americano merita di saperlo», prosegue la lettera. In particolare, i repubblicani si chiedono per quale ragione Hunter (che non ricopre incarichi pubblici) sia stato sanzionato di recente da Mosca. «Il fatto che il governo russo abbia comminato sanzioni a Hunter Biden e, in particolare, a nessuno degli altri figli di Biden, suscita degli interrogativi sui suoi legami con la Russia», si legge ancora. La lettera cita quindi il rapporto che i senatori repubblicani pubblicarono nel settembre 2020, in cui si sosteneva che, nel 2014, Hunter avrebbe ricevuto 3,5 milioni di dollari dalla moglie dell’ex sindaco di Mosca, Elena Baturina. Tra l’altro, il Washington Post ha messo in luce che Hunter ha ricevuto quasi 5 milioni di dollari dal colosso cinese Cfec che, sempre secondo i repubblicani, aveva connessioni con le alte sfere del Cremlino. Ma c’è un ulteriore elemento da sottolineare. Mosca ha messo di recente sanzioni su Hunter e lo sta accusando di aver raccolto finanziamenti per Metabiota: la società americana che, secondo il governo russo, avrebbe contribuito a realizzare armi biologiche in Ucraina (accusa, quest’ultima, respinta da Washington). Tuttavia, quando a ottobre 2020 Donald Trump rinfacciò pubblicamente a Biden i controversi affari del figlio in Ucraina e in Russia, Vladimir Putin si affrettò a dire di non essere a conoscenza di attività illecite da parte di Hunter. Hanno torto i repubblicani? Oppure Putin ha coperto i Biden (magari nell’affare Baturina) ai tempi dell’ultima campagna elettorale per le presidenziali americane? Se così fosse, la vulgata del Trump «putiniano» andrebbe significativamente rivista. Ci sono poi cattive notizie anche per Hillary Clinton. La Federal election commission ha infatti multato l’ex first lady e il Comitato nazionale del Partito democratico rispettivamente per 8.000 e 105.000 dollari. La ragione? Riguarda il famigerato dossier di Steele: documento zeppo di informazioni infondate che - finanziato dal comitato di Hillary nel 2016 - serviva a imbastire la vulgata del Trump colluso con i russi. In particolare, il comitato dell’ex first lady ha riportato il finanziamento di quel documento nelle rendicontazioni come «servizi legali», anziché come «oppo research» (cioè la pratica volta a ricercare informazioni compromettenti su un avversario politico): questo ha fatto scattare la multa della Federal election commission. Ricordiamo che i dem avevano versato circa 1 milione di dollari allo studio legale Perkins Coie, il quale si rivolse alla società Fusion Gps, per ottenere il dossier redatto dall’ex spia britannica Christopher Steele. Per Perkins Coie lavorava all’epoca Michael Sussmann, l’avvocato finito al centro dell’inchiesta del procuratore speciale, John Durham. In particolare, Durham ha accusato Sussmann di aver nascosto all’Fbi di lavorare per la Clinton quando, a settembre 2016, fornì informazioni al Bureau su un presunto collegamento tra la Trump organization e la russa Alfa bank: informazioni che si rivelarono infondate, ma che furono cavalcate dal comitato di Hillary (soprattutto da Jake Sullivan) nelle settimane precedenti alle presidenziali del 2016.
Il governatore della banca centrale indiana Sanjay Malhotra (Getty Images)
La decisione arriva dopo i dati ufficiali diffusi la scorsa settimana, che certificano un’espansione dell’8,2% nel trimestre chiuso a settembre. Numeri che mostrano come l’economia indiana abbia finora assorbito senza scosse l’impatto dei dazi al 50% imposti dagli Stati Uniti sulle esportazioni di Nuova Delhi.
Un sostegno decisivo è arrivato dal crollo dell’inflazione: dal sopra il 6% registrato nel 2024 a livelli prossimi allo zero. Un calo che, secondo gli analisti, offre ulteriore margine per nuovi tagli nei prossimi mesi. «Nonostante un contesto esterno sfavorevole, l’economia indiana ha mostrato una resilienza notevole», ha dichiarato Malhotra, pur avvertendo che la crescita potrebbe «attenuarsi leggermente». Ma la combinazione di espansione superiore alle attese e inflazione «benigna» nel primo semestre fiscale rappresenta, ha aggiunto, «un raro periodo Goldilocks».
Sulla scia dell’ottimismo, l’RBI ha rivisto al rialzo la stima di crescita per l’anno fiscale che si chiuderà a marzo: +7,3%, mezzo punto in più rispetto alle previsioni precedenti.
La reazione dei mercati è stata immediata: la Borsa di Mumbai ha chiuso in rialzo (Sensex +0,2%, Nifty 50 +0,3%), mentre la rupia si è indebolita dello 0,4% superando quota 90 sul dollaro, molto vicino ai minimi storici toccati due giorni prima. La valuta indiana è la peggiore d’Asia dall’inizio dell’anno. Malhotra ha ribadito che la banca centrale non persegue un tasso di cambio specifico: «Il nostro obiettivo è solo ridurre volatilità anomala o eccessiva».
Il Paese, fortemente trainato dalla domanda interna, risente meno di altri dell’offensiva tariffaria voluta da Donald Trump, che ad agosto ha raddoppiato i dazi sui prodotti indiani come ritorsione per gli acquisti di petrolio russo scontato. Una rupia debole, inoltre, aiuta alcuni esportatori a restare competitivi. Tuttavia, gli analisti prevedono che gli effetti più pesanti della guerra commerciale si vedranno nell’attuale trimestre e invitano a prudenza anche sulla recente lettura del Pil.
Tra gli obiettivi politici di lungo periodo rimane quello fissato dal premier Narendra Modi: diventare un Paese «sviluppato» entro il 2047, centenario dell’indipendenza. Per riuscirci, servirebbe una crescita media dell’8% l’anno. Il governo ha avviato negli ultimi mesi una serie di riforme strutturali - dalla semplificazione dell’imposta su beni e servizi alla revisione del codice del lavoro - per proteggere l’economia dagli shock esterni.
Malhotra aveva assunto la guida dell’RBI in una fase di rallentamento economico e inflazione oltre il tetto del 6%. Da allora ha accelerato sul fronte monetario: tre tagli consecutivi nei primi mesi del 2025 per un punto percentuale complessivo. L’inflazione retail di ottobre si è fermata allo 0,25% annuo.
Il governatore ha annunciato anche un intervento di liquidità: operazioni di mercato aperto per 1.000 miliardi di rupie e swap dollaro-rupia per 5 miliardi di dollari, per sostenere il sistema finanziario.
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Palazzo Berlaymont a Bruxelles, sede della Commissione europea (Getty Images)
Una di queste si chiama S-info, che sta per Sustainable information. Come si legge sul sito ufficiale, «si tratta di un progetto finanziato dall’Ue, incentrato sui media e ispirato dall’esigenza di rafforzare la democrazia. Ha una durata di due anni, da dicembre 2023 a novembre 2025. Coinvolge organizzazioni di quattro Paesi dell’Unione europea: Italia, Belgio, Romania e Malta. Il progetto esplorerà i modi in cui gli attivisti della società civile e i giornalisti indipendenti possono collaborare per svolgere giornalismo investigativo, combattere la disinformazione, combattere la corruzione, promuovere i diritti sociali e difendere l’ambiente. L’obiettivo finale è quello di creare un modello operativo di attivismo mediatico sostenibile che possa essere trasferito ad altri Paesi e contesti».
La tiritera è la solita: lotta alla disinformazione, promozione dei diritti... S-info è finanziato da Eacea, ovvero l’agenzia esecutiva della Commissione europea che gestisce il programma Europa creativa, il quale a sua volta finanzia il progetto giornalistico in questione con la bellezza di 492.989 euro. E che cosa fa con questi soldi il progetto europeo? Beh, tra le altre cose finanzia inchieste che sono presentate come giornalismo investigativo. Una di queste è stata realizzata da Alice Dominese, la cui biografia online descrive come «laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali tra Italia e Francia, con un master in giornalismo. Collabora con L’Espresso e Domani, e ha scritto per La Stampa, Il Manifesto e The Post Internazionale, tra gli altri. Si occupa principalmente di diritti, migrazione e tematiche di genere».
La sua indagine, facilmente rintracciabile online, è intitolata Sottotraccia ed è dedicata ai temibili movimenti pro vita. «Questo articolo», si legge nella presentazione, «è il frutto di una delle due inchieste finanziate in Italia dal grant del progetto europeo S-info, cofinanziato dalla Commissione europea. La pubblicazione originale si trova sul sito ufficiale del progetto. In questa inchiesta, interviste e analisi di documenti ottenuti tramite una richiesta di accesso agli atti esplorano il rapporto tra movimento antiabortista, sanità e servizi pubblici in Piemonte. Le informazioni raccolte fanno luce sull’uso che le associazioni pro vita fanno dei finanziamenti regionali e sul ruolo della Stanza dell’ascolto, il presidio che ha permesso a queste associazioni di inserirsi nel primo ospedale per numero di interruzioni volontarie di gravidanza in Italia».
Niente in contrario ai finanziamenti pubblici, per carità. Ma guarda caso questi soldi finiscono a giornalisti decisamente sinistrorsi che, pronti via, se la prendono con i movimenti per la vita. Non stupisce, dopo tutto i partner italiani del progetto S-info sono Globalproject.info, Melting pot Europa e Sherwood.it, tutti punti di riferimento mediatici della sinistra antagonista.
Proprio Radio Sherwood, lo scorso giugno, ha organizzato a Padova il S-info day, durante il quale è stato presentato il manifesto per il giornalismo sostenibile. Evento clou della giornata un dibattito intitolato «Sovvertire le narrazioni di genere». Partecipanti: «L’attivista transfemminista Elena Cecchettin e la giornalista Giulia Siviero, moderato da Anna Irma Battino di Global project». La discussione si è concentrata «su come le narrazioni di genere, troppo spesso costruite attorno a stereotipi o plasmate da dinamiche di potere, possano essere decostruite e trasformate attraverso un giornalismo più consapevole, posizionato e inclusivo». Tutto meraviglioso: la Commissione europea combatte la disinformazione finanziando incontri sulla decostruzione del genere e inchieste contro i pro vita. Alla faccia della libera informazione.
«Da Bruxelles», ha dichiarato Maurizio Marrone, assessore piemontese alle Politiche sociali, «arriva una palese ingerenza estera per screditare azioni deliberate dal governo regionale eletto dai piemontesi, peraltro con allarmismi propagandistici smentiti dalla realtà. Il nostro fondo Vita nascente finanzia sì anzitutto i progetti dei centri di aiuto alla vita a sostegno delle madri in difficoltà, ma eroga contributi anche ai servizi di assistenza pubblica per le medesime finalità, partendo dall’accompagnamento nei parti in anonimato. Ci troviamo di fronte a un grave precedente, irrispettoso delle autonomie locali italiane e della loro sovranità».
Carlo Fidanza, capodelegazione europeo di Fdi, annuncia invece che presenterà «un’interrogazione parlamentare alla Commissione europea per far luce sui finanziamenti dell’agenzia Eacea a questi attacchi mediatici creati a tavolino per alimentare odio ideologico contro il volontariato pro vita. L’Unione europea dovrebbe sostenere le politiche delle Regioni italiane, non alimentare con soldi pubblici la macchina del fango contro le loro iniziative non omologate al pensiero unico woke».
Insomma, a Bruxelles piace il giornalismo libero. A patto che sia pagato dai contribuenti per prendersela con i nemici ideologici.
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