2020-05-17
L’uomo di Ermini scelto da Palamara
. E Cascini fa autogol sul posto allo stadio
Sergio Mattarella e David Ermini (Ansa)
David Ermini deve a Luca Palamara, Luca Lotti e Cosimo Ferri la nomina a vicepresidente di Palazzo dei Marescialli. Ma i suoi sponsor gli piazzarono Paolo Spaziani come consigliere. E Giuseppe Cascini fa autogol sui biglietti gratis per vedere la Roma.Tutto tace. Il gruppo di magistrati che per anni ha frequentato e lusingato il pm Luca Palamara, usufruendo dei suoi voti e servigi, resta acquattato in attesa che passi la tempesta. Anche i grandi giornali, che, nel caso Csm, inzupparono le penne nelle poche intercettazioni depositate e nei molti bisbigli che filtravano da Perugia per tirare su uno scandalo atomico, hanno perso l'ispirazione. A nessuno sembrano interessare i maneggi del vicepresidente del Csm, David Ermini, per essere nominato, con l'appoggio di Palamara, Luca Lotti e Cosimo Ferri. Gli ultimi due sono petali del Giglio magico che brigarono prima per l'elezione dell'amico David epoi per quella di Marcello Viola. La candidatura del pg di Firenze creò scandalo perché sarebbe andato a occupare il posto di procuratore di Roma a discapito dei santi. Ma sulla nomina del vicepresidente del Csm, nonostante le chat che abbiamo pubblicato, nessuno fiata.Oggi scopriamo che, dopo averlo fatto eleggere, Palamara e Ferri gli scelsero persino il consigliere giuridico, come risulta dalle chat di cui siamo in possesso. Il loro candidato era Paolo Spaziani, toga di ruolo presso l'ufficio del Massimario della Corte di cassazione dal 2014. Ha ricoperto l'incarico di esperto giuridico presso la presidenza del Consiglio dei ministri (governi Berlusconi e Monti) e di vicecapo dell'ufficio legislativo finanze del ministero dell'Economia nel gabinetto Letta. Attualmente, come detto, è consigliere giuridico del vicepresidente del Csm.Il 9 novembre 2018 Massimo Forciniti, ex consigliere del Csm e peso massimo della corrente di Unicost dice a Palamara: «Diamo spazio a questo Spaziani? Me lo aveva segnalato Berruti (Giuseppe Maria, commissario Consob, nominato dal governo Renzi, ndr) per Cassazione». Palamara: «Prima, però, devo parlarne con Ermini e dobbiamo farlo pesare a Cosimo (Ferri, ndr). Però per me va bene». Forciniti: «Va bene... però diglielo a Cosimo, che vuol conoscerlo». Il giorno dopo Palamara propone a Ferri: «Organizziamo insieme il caffè con Ermini e gli parliamo di Spaziani, così risolviamo il problema». Il 13 novembre Palamara manda un messaggio a Ermini: «Sono dentro». Lo stesso giorno riscrive a Forciniti: «Ma a Spina (Luigi, consigliere del Csm in quota Unicost, indagato nell'inchiesta di Perugia e dimissionario, ndr) gli hai detto di Spaziano (sic, ndr)?». Forciniti: «Sì, se lo ricordava… però è meglio se Spaziani parla con Morlini (Pierluigi, altro consigliere dimissionario, ndr), che conosce, e con Luigi […] coinvolgiamoli se no pare che li scavalchiamo». Alla fine, però, ci ha spiegato Spaziani, a sondare il suo interesse fu Corrado Cartoni, altro consigliere travolto dallo scandalo Csm: «Ho un rapporto forte con lui e l'ho anche votato. Mi disse che il vicepresidente aveva interesse a scegliere un consigliere giuridico che non avesse un'appartenenza correntizia e che io potevo essere il compromesso giusto». E Palamara? «Non lo conosco di persona. Non ci ho mai parlato». Però il 20 novembre 2018 gli invia un messaggio con scritto «Ciao, grazie»; il 25 dicembre un altro Whatsapp: «Caro Luca, tantissimi auguri di buon Natale! A presto!». Spaziani, invece, ammette di aver incrociato più volte Ferri, «a convegni e in Cassazione dove è venuto tante volte».Ed Ermini? «Chiese referenze su di me al mio vecchio direttore del Massimario, Giuseppe Maria Berruti e al consigliere del Quirinale, Daniele Cabras. Credo che tutti costoro gli diedero rassicurazioni». E così a dicembre si presentò a Ermini: «Portai un curriculum, ma lui si accontentò di un colloquio e non volle vedere il cv. Così io lo lasciai alla segretaria». Ieri, intanto sulla mailing list dell'Associazione nazionale magistrati, il consigliere di Area Giuseppe Cascini ha risposto all'articolo in cui abbiamo riportato le sue chat con il pm indagato a Perugia: «Io e Luca Palamara abbiamo gestito insieme per quattro anni (dal 2008 al 2012) lui come presidente e io come segretario, la giunta della Anm. […] Ne è nato un legame di amicizia e di solidarietà che è durato fino ad epoca recente e che io non intendo rinnegare. Io sapevo che Luca sosteneva la mia nomina a procuratore aggiunto e lui, dopo la votazione, mi ha comunicato l'esito della commissione. Ho chiesto informazioni a Luca sulla possibile nomina di Stefano Pesci ad aggiunto a Bologna. Una informazione e una prognosi, niente di più». Cascini si cimenta anche sulla questione del biglietto per Roma-Cska destinato al figlio Lollo: «Appena arrivato al Consiglio ho ricevuto una tessera del Coni che mi autorizzava a entrare allo stadio (un benefit che ora è stato giustamente eliminato)», ci informa, senza specificare che quel privilegio, di cui ha inizialmente goduto e che oggi rinnega, non è stato eliminato su sua richiesta. Quindi ammette che non solo aveva accesso gratuito lui, ma voleva far entrare senza pagare pure il suo ragazzo ventenne: «Ho solo chiesto a Luca […] se era possibile portare mio figlio con me e se aveva un riferimento al Coni per chiedere».Cascini non spiega (ieri gli abbiamo anche inutilmente chiesto delucidazioni su Whatsapp) se il figlio sia poi entrato all'Olimpico e, nel caso, con quale biglietto. A noi risulta che per quella sfida di Champions fossero accreditati cinque consiglieri del Csm: Cascini, Alessandra Dal Moro, Mario Suriano, Giovanni Zaccaro e Paolo Criscuoli. Entrarono tutti? «Ah saperlo», verrebbe da dire. Intanto Cascini, dopo aver precisato di non aver «mai chiesto favori a nessuno né per me né per altri», annuncia di aver già dato mandato al suo legale «di agire in giudizio per diffamazione nei confronti del quotidiano». Dopo la lettura di questa replica, che di fatto non smentisce nulla di quanto riportato nel nostro articolo, sono arrivati diversi commenti critici. Come quello del giudice civile del tribunale di Roma, Nicola Saracino: «È nel diritto di ciascuno (agire in giudizio, ndr), che peraltro si accolla l'eventualità dell'esito infausto della sua iniziativa giudiziaria ove prevalessero il diritto di cronaca e - soprattutto - di critica. Ho riletto attentamente l'articolo e non leggo alcuna smentita dell'interessato (Cascini, ndr) rispetto a quanto riportato in merito alle intercettazioni. Quindi se ne deve poter parlare. Senza subire intimidazioni». Il gip Giuliano Castiglia aggiunge: «L'esperienza insegna che la querela - e ancor più la minaccia di querela - sono uno dei fronti più avanzati delle intimidazioni nei confronti dei giornalisti». Infine il giudice Felice Lima va giù dritto: «Dicci in cosa quell'articolo è diffamatorio. Dicci che cosa ci sia di falso e noi festeggeremo con te». Poi infila in contropiede il magistrato progressista sulla vicenda della partita: «Ti spiego come facciamo noi, le persone “normali". Certo che è possibile portare tuo figlio allo stadio. Devi solo fare una banalissima cosa: comprargli un biglietto. Prendi lo stipendio di magistrato e circa 100.000 euro l'anno in più per il ruolo di consigliere. Dovresti farcela a comprare un biglietto senza chiedere “favori" e senza lasciare affamata la tua famiglia».
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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