2019-07-01
Meno sbarchi. Risparmiati 1.500.000.000 euro
Quasi azzerati gli arrivi (meno 96 per cento dal 2017), tagliata la «paga» da 35 a 21 euro: le casse dello Stato ringraziano.Il primo dato basterebbe anche da solo: al 28 giugno 2019 il numero dei richiedenti asilo sbarcati sulle nostre coste è inferiore del 96% rispetto allo stesso giorno di due anni fa. Se fosse un'influenza, potremmo ritenerci sostanzialmente guariti. Matematicamente si può parlare di una tendenza verso lo zero, o comunque verso un numero fisiologico, che consenta di dare ospitalità soltanto a chi realmente, secondo le leggi, ne ha diritto. I primi a beneficiare del drastico calo degli sbarchi sono i conti dello Stato. La spesa quotidiana per ospitare i sedicenti profughi neosbarcati è passata da circa 3 milioni di euro al giorno ad appena 54.621 euro pro die. Rapportando queste cifre all'arco di un anno, prima si spendeva 1,46 miliardi di euro, ora appena 19 milioni. E si parla soltanto di spese vive e di clandestini arrivati anno per anno. Se nella lista dovessero essere inseriti tutti i richiedenti asilo rimasti nel tempo nel nostro Paese e si aggiungessero pure le spese di gestione delle strutture, quelle degli operatori e i costi per la sicurezza e le forze dell'ordine, il conto arriva ai 5 miliardi l'anno ammessi candidamente dal governo Gentiloni nel Documento di economia e finanza del marzo 2018. Che cosa è successo nel frattempo? Semplicemente che, per decisione del governo e in particolare del ministro dell'Interno, Matteo Salvini, i clandestini non sbarcano più e quelli che arrivano non costano più così cari. A chi aveva gridato all'apocalisse davanti al Decreto sicurezza e alle politiche sulla chiusura dei porti non resta che far di calcolo e ammettere che il nostro Paese (quando anche i rimpatri saranno a buon punto) potrà arrivare a risparmiare circa 3 milioni al giorno. Poco meno, per esempio, di quello che serve al progetto Scuole sicure, a cui ha dato il via il Viminale e di cui beneficeranno oltre 100 Comuni con iniziative di prevenzione e contrasto dello spaccio di droga. Con queste somme si possono fare una quantità di cose per il Paese. Ad esempio, 26 giorni di risparmi sulla gestione dei migranti permetterebbero di coprire per intero il piano da 78 milioni di euro che il governo ha previsto per contrastare il dissesto idrogeologico della Regione Toscana. E con i risparmi di due mesi e mezzo si ricostruisce il ponte Morandi di Genova.Dal 1° gennaio al 28 giugno 2017 i richiedenti asilo sbarcati e assistiti in Italia erano 79.154 e costavano quotidianamente (solo di spese vive per la «paghetta» giornaliera dei 35 euro) 2,5 milioni di euro. Alla fine di quel drammatico anno gli sbarchi furono oltre 119.000 sbarchi e il costo complessivo della diaria ammontava a 1,5 miliardi di euro. Al 28 giugno del 2018, a quasi quattro mesi dal voto che ha portato alla formazione del governo gialloblù, le cose già andavano meglio. I nuovi sbarchi si erano fermati a 16.566, mentre alla fine dell'anno a toccare costa erano stati in tutto 23.370 migranti, per una spesa quotidiana complessiva di 817.000 euro, cioè 300 milioni di euro nell'intero arco dell'anno.Arriviamo al 2019, quando sono entrate a regime le riforme del governo Conte. A confronto con gli anni precedenti, le cifre sono ridottissime: non solo a oggi i nuovi sbarcati sono appena 2.601, ma il loro costo per le casse pubbliche è molto inferiore. Il ministero, infatti, facendo infuriare le cooperative che avevano trasformato l'assistenza umanitaria in un affare, ha abbassato da 35 a 21 euro la paga quotidiana per mantenere i richiedenti asilo. In questo modo le persone sbarcate dal 1° gennaio di quest'anno a oggi sono costate appena 9 milioni e mezzo di euro. Ma il risparmio non è tutto qui. Alle spese per la gestione dei sedicenti profughi vanno sommate quelle per mantenere i centri di accoglienza, enormi e ipertrofici, vere e proprie idrovore di risorse pubbliche senza neppure offrire sistemazioni dignitose agli ospiti. Tra i centri smantellati più di recente c'è l'hub regionale di via Mattei a Bologna, chiuso qualche settimana fa per «interventi di manutenzione straordinaria». Dentro c'erano rimaste meno di 200 persone, ma in passato vi erano stati rinchiusi anche più di 1.000 clandestini, per una somma totale di oltre 12 milioni di euro all'anno intascata dal consorzio di cooperative l'Arcolaio che se ne era aggiudicata la gestione. Poche settimane prima aveva chiuso la struttura di accoglienza di Trento, realizzata con moduli abitativi in lamiera che, in piena emergenza, erano arrivati a contenere fino a 14 persone ciascuno. Deserti dallo scorso gennaio anche il centro migranti di via Regina Teodolinda di Como, dove è rimasto soltanto il personale della Croce Rossa, il centro di accoglienza di Ventimiglia che ospitava all'incirca 130 persone e il Cara di Castelnuovo di Porto a Roma, il secondo più grande d'Italia, con oltre 500 immigrati da gestire ogni giorno. Tra i più importanti centri profughi smantellati dal decreto sicurezza c'è anche quello di Cona, in Veneto. Una «bomba ad orologeria», era stato definito dalla commissione di inchiesta che si era occupata di questa mostruosità cresciuta a dismisura sull'emergenza e nei tre anni di vita era stato teatro di rivolte, teste rotte, falò, morti, migranti accatastati in tendoni senza spazio vitale e a rischio sanitario per il sovraffollamento. Il centro era arrivato a costare anche 56.000 euro al giorno con 1.600 richiedenti asilo sistemati in condizioni indegne a pochi metri da Conetta, un paesino della provincia di Venezia di appena 197 abitanti. Il ministero dell'Interno sembra avere già individuato il prossimo obiettivo. «Il Cara di Mineo sarà chiuso entro metà luglio», ha annunciato Salvini definendola una «buona notizia per chi, per anni, ha vissuto in zona subendo criminalità e disagi». Quando si insediò il governo gialloblù, a giugno dell'anno scorso, nel centro per richiedenti asilo in provincia di Catania gli immigrati presenti nella struttura erano 2.526. Nel luglio 2014 erano arrivati a quota 4.173, mentre attualmente ci sono appena 152 persone.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)