Elly Schlein, Mario Monti, Paola De Micheli e Nicola Fratoianni (Ansa)
Travasi di bile dopo il viaggio della Meloni. Schlein blatera. Fratoianni: «Ha fatto la cameriera». Secondo Monti doveva accusare il tycoon di tirannia. Tutto per non riconoscere il suo successo.Il viaggio in America di Giorgia Meloni, dopo la questione dazi prima leader europea a incontrare Donald Trump, ha già ottenuto un importante successo. Infatti, la missione negli Stati Uniti ha provocato un travaso di bile a buona parte dell’opposizione e del mondo dell’informazione. L’immagine di politici, registi e giornalisti che l’altra sera in tv, a conferenza stampa nello studio ovale ormai conclusa, si arrabattavano per sminuire, se non denigrare, l’incontro, dipingendolo come un fallimento, era la rappresentazione di quanto rosicano a sinistra per i successi del premier.Nessuno avrebbe scommesso un soldo sul fatto che il presidente del Consiglio potesse uscire indenne dall’appuntamento, per di più ribadendo alcuni concetti sull’Ucraina. Anzi, l’opposizione scommetteva proprio sul contrario, facendo il tifo perché Trump le riservasse il «trattamento Zelensky» o, in subordine, una passeggiata sui chiodi tipo quella con cui è stato accolto Emmanuel Macron. Fosse stato per Elly Schlein, Meloni non sarebbe dovuta partire: «Non è altro che una manovra di facciata, andare alla Casa Bianca con il cappello in mano non ha senso». E, invece, la premier non solo è decollata, ma è pure atterrata e Trump l’ha ricevuta stendendole un tappeto rosso. Una cosa davvero insopportabile per una classe politica e intellettuale che alla Casa Bianca non riuscirebbe a farsi ricevere neppure dall’usciere.E, dunque, vai con programmi come Otto e mezzo, dove Lilli Gruber, per l’occasione, ha apparecchiato una puntata con un malmostoso Mario Monti, un grottesco Beppe Severgnini e un inutile Luca Guadagnino. Che cosa c’entrasse il regista di Queer con la visita di Meloni negli Usa non è chiaro. O meglio: è stato evidente quando il cineasta ha spiegato che quello del premier sarebbe stato «un successo di poche ore» perché lui, se avesse ripreso la scena, dopo averla montata l’avrebbe tagliata e buttata, senza metterla nel film. Guadagnino era stato convocato da una Lilli quasi dispiaciuta perché Trump «non avesse messo Giorgia Meloni in imbarazzo», per svelenare sul presidente del Consiglio.Come Severgnini, del resto, il quale ha riassunto la missione americana dicendo che «sembriamo (la delegazione italiana, ndr) dei bambini maltrattati che, davanti a un ghiacciolo, sorridono». Quanto a Monti, il senatore a vita era evidentemente infastidito dal fatto che il premier non avesse fatto tesoro dei suoi consigli e non avesse dato del fascista al presidente americano: «Meloni», ha sentenziato, «ha assistito silente, con Trump che ha fatto il suo show». Cambiando canale, su Rete 4 ci si poteva imbattere in Paola De Micheli che, pur di sminuire il successo del viaggio americano, ha tirato in ballo Ursula von der Leyen, quasi che il merito della buona riuscita della missione fosse da attribuire al presidente Ue a cui, per altro, Trump neppure risponde al telefono.Chiara Appendino, altra ospite del canale Mediaset, ha invece accusato il presidente del Consiglio di essersi svenduta agli Stati Uniti, accettando di comprare gas americano e di alzare al 2% del Pil la spesa militare, dimenticando che quest’ultimo è un impegno preso da Giuseppe Conte quand’era premier, mentre le forniture energetiche ci sono indispensabili perché i 5 stelle, da anni, bloccano qualsiasi investimento in fonti alternative, come il nucleare.Infatti, i più stizziti per i risultati dell’incontro sono apparsi i politici. Tra questi, Lucia Annunziata che, smessi i panni della giornalista, ora fa a viso aperto quel che ha sempre fatto, ovvero la militante di sinistra. L’ex conduttrice, in un’intervista a Repubblica, si è spesa per smontare una narrazione positiva: la tv inquadrava solo lui, lei ha parlato poco, lui l’ha dimenticata, Ursula, forse, vedrà Trump, ma il merito non sarà di Meloni. Nicola Fratoianni, che probabilmente la battuta l’aveva preparata in precedenza e, dunque, non è riuscito ad aggiornarla dopo i complimenti di Trump, ha detto che al pranzo alla Casa Bianca è mancato solo che il premier servisse a tavola, mentre per Giuseppe Conte il match - che non è stato, ahi lui, di pugilato - si è chiuso con un 2 a 0 per Trump.Insomma, più che con un’opposizione in grado di capire la differenza tra l’interesse nazionale e l’interesse di partito o personale, Giorgia Meloni ha a che fare con una banda di rosiconi. Per questo può farsi una gran risata quando li vede lividi e disperati.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)