2025-06-29
Mélenchon: «Immigrati, sposate le nostre figlie. La lingua francese cambi nome»
Jean-Luc Mélenchon (Ansa)
Inquietanti provocazioni del tribuno progressista Jean-Luc Mélenchon. Intanto Marine Le Pen chiede di prepararsi per il voto anticipato.Dio benedica Jean-Luc Mélenchon. Senza il vulcanico, riottoso, spigoloso leader de La France Insoumise, certe idee resterebbero relegate nel discorso delle destre anti immigrazione, liquidate come spazzatura razzista e complottista. Ci sarebbe pur sempre la realtà a convalidare gli allarmi: basta mettere il naso fuori dalla porta per capire quanto poco di fantasioso ci sia nei discorsi sulla sostituzione etnica. Ma i contorni della realtà perdono facilmente nitidezza tra i fumi dell’ideologia. Quando è invece uno dei principali capi della sinistra europea a confermare certi fenomeni, allora il dispositivo della propaganda si inceppa. Sugli effetti sociali dell’immigrazione, infatti, Mélenchon la pensa come Renaud Camus, lo scrittore che non cessa di denunciare il rimpiazzo degli europei con i popoli allogeni. C’è solo una differenza: Camus se ne duole, Mélenchon lo esalta.Mentre la sua dirimpettaia, Marine Le Pen, ha chiesto al suo partito di essere pronto per delle eventuali elezioni anticipate, il tribuno gallico si è fatto notare per due boutade che sono tutto un programma. Nel corso di una intervista concessa in questi giorni, il leader goscista ha dichiarato: «La mia posizione è questa, io parteggio per una nuova Francia. Bisogna spettare, bisogna lavorare. Guardate la signora Meloni, che era contraria agli immigrati e che alla fine dice: “Abbiamo bisogno di 500.000 arabi e migranti per lavorare”. Dobbiamo essere pazienti, ma in ogni caso, accadrà, che piaccia o no. Dovremo chiederci come creare un popolo e non un insieme di ghetti. C’è una vecchia Francia. Non diremo alla gente di morire in mare; preferisco che vengano qui per sposare le nostre figlie e i nostri figli e perché le nostre famiglie prosperino. Oggi, un francese su quattro ha un nonno straniero, quando ero giovane era uno su dieci. Io sono un agente della sommersione migratoria...». Non c’è trucco e non c’è inganno: Mélenchon si dichiara apertamente agente della grande sostituzione, chiede più immigrati, lavora per questo e spera che essi sposino quanti più autoctoni per creare una «nuova Francia». Solo qualche giorno prima, ne aveva sparata un’altra. A una conferenza all’Assemblée nationale, Mélenchon se ne è uscito dicendo che «la lingua francese non appartiene più alla Francia e ai francesi e dovrebbe quindi cambiare nome». Secondo lui, «se vogliamo che il francese sia una lingua comune, deve essere una lingua creola. Preferirei che si dicesse che parliamo tutti creolo, perché ci si addice di più piuttosto che dire che parliamo francese. La lingua francese non appartiene più alla Francia e al popolo francese da molto tempo». Perfino il ministro della Giustizia, Gérald Darmanin, che di recente ha dismesso i panni del poliziotto europeo anti populismo per virare decisamente a destra, non ha potuto fare a meno di indignarsi per quella che ha definito una forma di «decostruzione nazionale».Ma non si può negare la coerenza di Mélenchon: se si vuole distruggere l’identità di un popolo, non ci si può fermare a metà strada. Oltre alla sua sostanza antropologica, sarà meglio cancellare anche la lingua, che è un po’ come gettare il sale sulle rovine affinché non vi cresca più nulla.Nato nel 1951 nell’allora zona internazionale di Tangeri, da famiglia francese con origini spagnole e un ramo italiano, Mélenchon ha avuto il classico cursus honorum del buon comunista: organizzazioni giovanili trotzkiste, Partito socialista, nel 2008 fonda il Partito di sinistra, nel 2016 crea La France insoumise. È stato anche un massone, come suo padre e suo nonno prima di lui, anche se qualche anno fa si è dimesso dalle logge. Dotato di una lingua incendiaria, Mélenchon è anche conosciuto per il suo narcisismo litigioso e per le sue durezze dialettiche, riservate non solo agli avversari (una volta invitò i suoi militanti a sorvegliare i giornalisti di Libération e Le Monde, se possibile filmandoli). La parola d’ordine che meglio rappresenta la sua ideologia è, come abbiamo visto, «creolizzazione». Ovvero la grande sostituzione, ma vista in positivo. Il 21 settembre 2020, durante il lancio del think tank Institut La Boétie, spiegò: «Il nostro popolo si è creolizzato, non lo sapete, non volete saperlo, non volete sentirne parlare. Non avete visto com’è il popolo francese oggi, non sapete chi è, non uscite mai a fare una passeggiata? Sì, il popolo francese ha iniziato una forma di creolizzazione, che è nuova nella nostra storia. Ma non dobbiamo averne paura, è un bene!». In un dibattito con Éric Zemmour, il 23 settembre 2021, tuonò: «L’assimilazione non esiste, esiste la creolizzazione e non procede per tappe». Il suo discorso sull’immigrazione assume non di rado toni razzisti verso i francesi. Nel 2011 criticò l’allora ministro dell’Interno, Claude Guéant, spiegando che «la sua idea di una Francia bionda dagli occhi azzurri non è mai esistita». Nel 2013 sbottò: «Non posso sopravvivere quando ci sono solo biondi con gli occhi azzurri, è al di là delle mie forze». E pensare che nel 2017, per un breve periodo, per restare a galla era stato tentato dalla carta rossobruna, dichiarando di voler «lottare contro le cause delle migrazioni» e ponendosi come obbiettivo «che ognuno resti a casa sua». Ma è durata pochissimo.Secondo lo studioso dei razzismi Pierre-André Taguieff, il tema della creolizzazione ha tratti quasi escatologici. Si tratta infatti di «una rigenerazione, una nuova promessa di un avvenire radioso. L’utopia è quella della creazione progressiva, ritenuta inevitabile, di un nuovo popolo. Il vecchio popolo francese deve essere decostruito affinché si possa costruire un popolo creolizzato. A lungo sostenuta da un’estrema sinistra che si avvale di una retorica compassionevole che dipinge gli immigrati come vittime, l’immigrazione è ora celebrata come un contributo o un dono di sangue nuovo e rigenerante, nonché di “ricchezze culturali”, destinate a fondersi per dare vita alla Francia di domani». C’è solo un problema: «In effetti», continua lo studioso, «la “creolizzazione” implica un etnocidio, poiché la popolazione e la cultura creolizzate dovrebbero sostituire la popolazione e la cultura francesi tradizionali e non creolizzate». Ma che importa. Se ne fa le spese l’etnia giusta, anche l’etnocidio diventa un pranzo di gala.
George Soros e Howard Rubin (Getty Images)