
L’obiettivo è fare cassa: le azioni valgono 800 milioni. Ma per adesso nessun acquirente.Il ministero dell’Economia ha avviato una procedura accelerata di raccolta ordini (il cosiddetto accelerated book building) per la cessione di 252 milioni di azioni ordinarie del Monte dei Paschi di Siena, corrispondenti a circa il 20% del capitale della banca. La base di prezzo è di 2,89 euro ad azione, con uno sconto di circa il 6% rispetto alla chiusura di Borsa di ieri. La mossa è stata varata ieri attraverso un consorzio di banche costituito da Bofa Securities Europe, Jefferies e Ubs Europe in qualità di joint global coordinators e joint bookrunners, con l’obiettivo di promuovere il collocamento delle azioni presso investitori qualificati in Italia e investitori istituzionali esteri. Nell’ambito dell’operazione, si legge in un comunicato, è previsto che il Mef si impegni con i joint global coordinators e joint bookrunners «a non vendere sul mercato ulteriori azioni della banca per un periodo di 90 giorni senza il consenso degli stessi joint global coordinators e joint bookrunners e salvo esenzioni, come da prassi di mercato». I termini finali, viene precisato, saranno comunicati al termine del collocamento. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha dunque fatto la prima mossa di quel «programma ambizioso» del governo annunciato a metà ottobre sulle privatizzazioni. L’obiettivo è fare cassa ma anche rispettare gli accordi presi con le autorità europee nel 2017 in cambio dell’apertura del paracadute pubblico che prevedono l’uscita del Tesoro dal capitale del Monte (oggi è al 64%) entro il 2024. Ma per ora all’orizzonte non si vede alcun compratore. La notizia è stata diffusa in serata a Borse chiuse ma il titolo Mps ieri ha comunque vissuto una giornata frizzante sul listino milanese chiudendo la seduta con un rialzo dello 0,72% a 3,07 euro ritoccando così i massimi dall’aumento di capitale. Nell’ultimo mese l’istituto guidato da Luigi Lovaglio ha guadagnato in Piazza Affari quasi il 38%. Ai prezzi attuali, la quota del 20% della banca senese vale circa 800 milioni. A spingere le quotazioni ieri ha contribuito un report di Bank of America che accende i riflettori sui possibili risvolti positivi della sentenza di appello del 27 novembre nel processo sui derivati. «Un esito favorevole potrebbe liberare accantonamenti per 0,2 miliardi di euro, migliorare il capitale e in uno scenario “toro” anche ripristinare i dividendi» già nel 2024, in anticipo di un anno sui programmi della banca, affermano gli analisti, che hanno alzano gli utili per azione del 15% e il prezzo obiettivo da 3 a 3,8 euro, confermando il giudizio neutrale sul titolo. Gli stessi esperti ricordano, inoltre, che la sentenza del processo che ha visto condannare in primo grado gli ex vertici Alessandro Profumo e Fabrizio Viola in relazione alle informazioni finanziarie date al mercato nel 2014-2015 ha provocato richieste di risarcimento per «circa un miliardo di euro», classificate con un grado di soccombenza «probabile» e in relazione alle quali Mps ha accantonato circa 200 milioni. Un’assoluzione «ridurrebbe significativamente» i rischi legali «che rappresentano ancora un ostacolo chiave» per il titolo in Borsa. «Chiarezza sulla dimensione dei rischi legali e possibili riduzioni degli accantonamenti potrebbero ulteriormente aumentare il capitale in eccesso, migliorare la redditività e sono un prerequisito affinché il governo possa trovare un acquirente per la sua quota nella banca», hanno poi aggiunto i broker di Bofa. Che, tra l’altro, in serata è spuntata tra le banche d’affari che gestiscono il collocamento delle quote. Vedremo chi le comprerà e se poi si procederà a una fusione.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
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Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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