2024-10-23
Medici fan della privacy, tranne per i no vax
Filippo Anelli, presidente Fnomceo (Imagoeconomica)
L’Ordine insorge contro l’invito della Roccella a denunciare le coppie che ricorrono all’utero in affitto. Eppure, in epoca Covid, i rappresentanti dei sanitari erano in prima linea nel segnalare (e far sospendere) i colleghi che rifiutavano di vaccinarsi.Sembra che ultimamente i medici italiani tengano molto, moltissimo alla privacy dei loro pazienti. Lo ha ribadito nei giorni scorsi Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, sostenendo che i professionisti da lui rappresentati non abbiano l’obbligo di segnalare alle autorità i sospetti casi di maternità surrogata. Come noto, è fresca di approvazione la legge che rende reato universale la cosiddetta gestazione per altri. Intervenendo sull’argomento, il ministro delle Pari opportunità e della famiglia, Eugenia Roccella, ha invitato i dottori a fare la loro parte. Secondo il ministro, «un pubblico ufficiale, e anche il medico, è tenuto a segnalare i casi di sospetta violazione della legge sulla maternità surrogata alla Procura. E poi si vedrà. Spero che l’applicazione della legge abbia un effetto fortemente dissuasivo», ha aggiunto Roccella. «In Italia c’è una procedura che protegge i minori e assicura la possibilità al compagno del genitore biologico di essere riconosciuto come genitore». Sentite queste dichiarazioni, Filippo Anelli è insorto, ed è corso a spiegare che lui e i suoi colleghi hanno soltanto «il dovere di curare. Che il medico sia esonerato dall’obbligo di denuncia nei confronti del proprio paziente lo si desume anche dal capoverso dell’articolo 365 del Codice penale che esime il medico da tale obbligo quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. Quindi il medico non deve, è vero, ostacolare la giustizia. Ma non deve, soprattutto, porre in essere atti che mettano a rischio la relazione di cura, limitando la tutela della salute dei cittadini». Insomma, secondo Anelli «il dovere di curare deriva al medico dalla Legge, in primis la Costituzione, e dal Codice deontologico; è confermato dalla Giurisprudenza e prevale su ogni altro obbligo, facoltà o diritto».In realtà, la questione non è così cristallina. Proprio dal sito di un Ordine legato alla Fnomceo apprendiamo che «sul medico pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, non diversamente che su altre figure professionali, incombe l’obbligo di denuncia giudiziaria qualora, nell’esercizio e a causa delle funzioni di cui è investito, venga a conoscenza di un fatto che presenti i caratteri di reato perseguibile d’ufficio. L’art. 361 cp prevede infatti che il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all’Autorità giudiziaria un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio e a causa delle sue funzioni, è punito». Certo, esistono pure interpretazioni differenti, ma si può dire che la questione sia per lo meno discussa e discutibile. Il vero nodo della faccenda, tuttavia, è un altro. I medici ora dichiarano di non essere intenzionati a «fare le spie». Antonio D’Avino, presidente della federazione dei pediatri (Fimp) rincara la dose: «Noi assistiamo tutti i bambini e non ci mettiamo certo a segnalare i genitori». Risulta però che in altri contesti i cari medici abbiano mostrato per altro atteggiamento. D’Avino ad esempio è sempre stato molto attivo nella promozione dei vaccini pediatrici. Ancora qualche anno fa, preoccupato dal calo delle iniezioni dopo l’entrata in vigore degli obblighi previsti dalla legge Lorenzin, dichiarava: «Ho già scritto ai miei colleghi per rafforzare la nostra attività, fortunatamente abbiamo una anagrafe che funziona e sappiamo chi non è in regola». Ah, quando si trattava dei figli di presunti «genitori no vax» le spiate si potevano fare e adesso con i bambini nati da Gpa no? Interessante. Anche Anelli faceva discorsi simili. In epoca Covid, era molto attento a monitorare e segnalare persino i suoi colleghi non vaccinati. «L’applicazione della legge sta avvenendo puntualmente», disse subito dopo l’introduzione degli obblighi. «Abbiamo avuto il primo collegamento con la piattaforma da cui estrarre i nominativi e i numeri di non vaccinati erano molto alti, circa 60.000 medici che non erano certificabili; il dato però era grezzo. Ora gli Ordini stanno procedendo secondo le norme di legge e stanno inviando lettere di avviso per chiedere eventuali esenzioni o chiarire qual è la situazione che riguarda il medico senza vaccino». Capito? Allora si poteva spiare, la delazione era affare quotidiano. Adesso giammai! E dire che tra un obbligo vaccinale e una legge che punisce una pratica giudicata dalla Corte costituzionale gravemente lesiva della dignità femminile esiste una bella differenza. La Gpa non è una cura per l’infertilità, bensì una violenza, una pratica indegna basata sulla sottrazione di un figlio alla madre dietro pagamento (e che la madre concordi non cambia nulla, anzi). Dunque, perché i medici non dovrebbero segnalare casi sospetti? Sarebbe loro dovere in quanto professionisti, ma pure in quanto semplici cittadini. I non vaccinati si possono perseguitare, spiare, segnalare e privare del lavoro mentre coloro che sfruttano una donna e comprano un figlio no? Un individuo non è libero di rifiutare una puntura ma è libero di acquistare una vita umana?Come sempre accade ci sono temi su cui gli Ordini sono prontissimi a schierarsi in prima fila, e altri su cui invece fanno molte resistenze. E che cosa è questo atteggiamento differente se non il chiaro frutto di una scelta politica? Per carità: la politica è in fondo una nobile arte, e anche gli Ordini dei medici potrebbero avere persino il diritto di praticarla. Ma almeno lo facciano con onestà: non si nascondano dietro la scienza o dietro il rispetto della privacy. Dopo quello che hanno fatto nell’era Covid, non sono più credibili.
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
Per scaricare il numero di «Giustizia» basta cliccare sul link qui sotto.
Giustizia - Ottobre 2025.pdf
Continua a leggereRiduci