2021-03-09
Il problema non è McKinsey ma il Recovery
Ursula von der Leyen (Ansa)
Gli adempimenti cervellotici necessari per accedere agli aiuti europei rendono inevitabile rivolgersi a società specializzate. La sinistra però piange per questa ovvietà mentre resta zitta sul vero scandalo: la Commissione ci ha tolto il potere decisionale.Dopo mesi passati a baloccarsi tra improbabili task force, smontate e rimontate nottetempo e ambiziosi Stati generali in ville romane, pare che la pietra dello scandalo sia costituita dalla partecipazione della società di consulenza strategica McKinsey al lavoro sul Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr). La valutazione di questo piano da parte della Commissione guidata da Ursula von der Leyen e la sua approvazione da parte del Consiglio, da eseguirsi entro tre mesi dalla presentazione, è condizione per ottenere l'anticipo del 13% dei fondi previsti dal Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf). Una somma variabile tra 15 e 20 miliardi.All'improvviso, come San Paolo folgorato sulla via di Damasco, a opera di un certo coté politico e giornalistico forse ancora deluso per l'uscita di scena di Giuseppe Conte, è partita una campagna contro la «plutocrazia» impersonata da McKinsey, accusata di scrivere il Pnrr al posto della struttura amministrativa e dei decisori politici. Una tempesta in un bicchier d'acqua che però sabato ha costretto il Mef a ribadire l'ovvio e cioè che «gli aspetti decisionali, di valutazione e definizione dei diversi progetti di investimento e di riforma inseriti nel Recovery plan italiano restano unicamente in mano alle pubbliche amministrazioni coinvolte e competenti per materia». E precisare che «l'attività di supporto richiesta a McKinsey riguarda l'elaborazione di uno studio sui piani nazionali Next generation già predisposti dagli altri Paesi dell'Unione europea e un supporto tecnico operativo di project management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del piano».Sul punto è tornato ieri il ministro dell'economia Daniele Franco che, in audizione parlamentare, ha ribadito la necessità di «un deciso rafforzamento delle strutture tecniche e operative deputate all'attuazione degli interventi». Il modello organizzativo prevede due livelli di governance strettamente interconnessi: una struttura centrale di coordinamento e monitoraggio al Mef e specifici presidi di monitoraggio e controllo a livello di singoli ministeri coinvolti. Ci sarà solo un «supporto tecnico specialistico alle amministrazioni», nulla di più.Invece il fior fiore della gauche caviar, sempre pronta a indignarsi a comando, per due giorni ha marciato compatta al grido di «Mario Draghi fa scrivere il piano agli americani».Nulla di più falso e strumentale. Chi in questi giorni si è impalcato a difensore della pubblica amministrazione esautorata a favore dei consulenti, forse non ha il coraggio di ammettere che è proprio il Next generation Ue - delineato a luglio nel Consiglio europeo e poi definitivamente approvato dal Consiglio solo il mese scorso - che è un gigantesco business plan, pieno zeppo di condizioni, cronoprogrammi, stati di avanzamento, obiettivi intermedi. Un insieme di linee progettuali ciascuna delle quali contiene specifici progetti che hanno risorse dedicate, tempi di attuazione e risultati attesi in termini di ritorni degli investimenti. Svegliarsi solo ora, quando si sono fatti passare sotto il naso, spacciandolo per il sol dell'avvenire, un piano che (quello sì!) sembra scritto da super consulenti aziendali, significa solo rivelare una lunga coda di paglia. Sulla Verità scriviamo sin dalla fine di maggio 2020, all'apparire della prima proposta della Commissione, del carico di burocrazia e di controlli che quei fondi si trascinano dietro.Il ministro Franco è giustamente preoccupato dell'enorme mole di lavoro aggiuntivo che sarà richiesto alla struttura amministrativa, che però è la naturale e quasi doverosa conseguenza di come da Bruxelles è stato impostato il Pnrr. È quindi normale che, soprattutto in presenza di picchi di lavoro in vista della scadenza del 30 aprile, il ministero si avvalga di risorse esterne, non per decidere alcunché ma per eseguire, secondo le specifiche dettate dalla Commissione, le scelte fatte in sede politica.Le 59 pagine delle linee guida della Commissione pubblicate a settembre 2020 e aggiornate a gennaio descrivono la quasi totale spoliazione di qualsiasi spazio di discrezionalità, di flessibilità, di autonomia nella decisione delle destinazioni di spesa. Tutto è rigidamente incasellato con tanto di pagelle finali. Chi contesta oggi ha mai visto i fogli elettronici che dovranno essere minuziosamente compilati a pena di bocciatura e presentati entro il prossimo 30 aprile?Sepolcri imbiancati che si indignano per la pagliuzza e ignorano la trave costituita dalla quasi totale rinuncia a qualsiasi spazio di agibilità nelle scelte politiche relative alle direttrici di investimento. Chi ha deciso che dobbiamo dedicare il 37% degli investimenti alla transizione ecologica e il 20% alla transizione digitale? E se l'Italia avesse bisogno di pesi diversi? Siamo al solito vestito a taglia unica per tutta la Ue.Ora non resta che rimboccarsi le maniche e prendere atto della promessa del ministro Franco di un rafforzamento delle strutture tecniche dei ministeri che «potranno rivelarsi utili anche in futuro».
Il ministro della Salute Orazio Schillaci (Imagoeconomica)
Orazio Schillaci e Giuseppe Valditate (Ansa)
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