2020-02-02
Matteo Renzi è uguale ai capetti del pentapartito
Erano almeno trent'anni che non sentivo parlare di appoggio esterno al governo. Per riesumare la formula su cui galleggiò la prima Repubblica ci voleva proprio uno come Matteo Renzi, cioè un politico che ha fatto carriera promettendo di rottamare il vecchio sistema, facendola finita con i «caminetti», cioè con le riunioni carbonare attorno al fuoco del potere. Che sia proprio l'ex presidente del Consiglio a immaginare di sostenere l'esecutivo presieduto da Giuseppe Conte standone fuori, ossia senza farsi carico della responsabilità di governare, è dunque una nemesi davvero curiosa, che dimostra una cosa, ossia che alla fine la spregiudicatezza si paga a caro prezzo. Sì, Renzi quando diede la scalata al Pd - e di conseguenza a Palazzo Chigi - dichiarò guerra ai vertici del partito, e una volta divenuto presidente del Consiglio si presentò con le mani in tasca al Senato promettendo, con una certa strafottenza, di spazzarlo via entro la legislatura. «Questa è l'ultima volta che vedrete un premier chiedervi la fiducia», fu l'esordio. Il programma del giovanotto che Giampaolo Pansa ribattezzò il Bullo prevedeva di stravolgere i riti della politica, cancellando i vertici, le verifiche, i governi balneari, le coalizioni e gli appoggi esterni su cui erano vissute per anni le maggioranze parlamentari. Ma oggi l'uomo che minacciava di farla finita con la prima e anche con la seconda Repubblica, in quella che secondo alcuni è la terza, sogna un ritorno al passato pur di sopravvivere. Sì, adesso Renzi vorrebbe recuperare tutto ciò che ha contribuito a rottamare. I vertici - quelle riunioni che hanno accompagnato la nascita del centrosinistra e poi del pentapartito - ora sono per lui fondamentali, perché se non esistessero, Italia viva, che secondo i sondaggisti veleggia intorno al 4 per cento, cioè più o meno ciò che valevano il Psdi e il Pri ai tempi di Giulio Andreotti, non conterebbe niente. Oggi le verifiche non si chiamano più così, ma anche se la terminologia è cambiata, la sostanza resta la stessa. Le manovre approvate salvo intese sono l'equivalente dei provvedimenti che un tempo si prendevano, ma solo dopo aver riunito tutti i capi dei partiti di maggioranza. E il cronoprogramma annunciato l'altroieri da Conte, con i tavoli di lavoro e le riunioni tecniche, altro non è che l'equivalente dei caminetti dove un tempo si decidevano le cose che contano. Sì, quello a cui stiamo assistendo è proprio un salto all'indietro di quasi 30 anni, quando c'era il pentapartito. Adesso siamo al quadripartito, con i 5 stelle, il Pd, Italia viva e Leu, ma la sostanza non cambia. Non c'è il Caf - Craxi, Andreotti e Forlani - ma abbiamo il Caz, cioè Conte più gli alleati e Zingaretti. Non ci sono lo scudocrociato e il garofano, ma le stelle e un simbolo, quello di Italia viva, che ricorda l'immagine sulle confezioni di Vasigil, la crema idratante vaginale venduta in farmacia. In questo bagno nel passato, dunque, non poteva mancare anche l'appoggio esterno, operazione di alto trasformismo che consente a un partito di chiamarsi fuori dal governo per non assumersi la responsabilità di ciò che fa la maggioranza, ma allo stesso tempo di non farlo cadere. Ai tempi di Amintore Fanfani e dei monocolore democristiani, i partiti dell'appoggio esterno consentivano al governo di tirare a campare per qualche mese, al massimo un anno, giusto il tempo di inventarsi un'altra maggioranza e schivare le urne. Fernando Tambroni nel 1960 riuscì a stare a galla con un esecutivo del presidente (a quei tempi il capo dello Stato era Giovanni Gronchi) quattro mesi grazie all'astensione di Msi e liberali. In genere, l'appoggio esterno era garantito dall'uscita dall'aula, cioè da un'opportuna assenza che consentiva alla Dc e ai suoi alleati di non andare sotto in Parlamento. In altre parole, i vecchi Dc governavano pur essendo una minoranza. Un po' quel che accade ora, dove sommando i voti che oggi hanno nel Paese 5 stelle, Pd e compagnia bella non si arriva al 50 per cento. Renzi, che come dicevamo sta al 4, ossia un terzo di quel che pesa Giorgia Meloni, spera con il tempo di riuscire a inglobare ciò che resta della Bonino e di Calenda e magari, perché no, anche di Forza Italia. Però dovrebbe ricordare anche che molti anni fa il governo di Fanfani campò sì con l'appoggio esterno, ma solo 23 giorni e poi fu rottamato. Il che sarebbe un tragico destino per un rottamatore.
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.