2018-11-17
Mattarella rimedi alla figuraccia e renda onore all’eroe bistrattato
Chiediamo al presidente di celebrare con solennità l'atto di coraggio di Ermenegildo Rossi, lo steward dell'Alitalia che ha sventato un dirottamento ma è stato snobbato dallo Stato. Una storia che grida vendetta.Questo è un appello al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La Verità gli chiede di rimediare a una grande ingiustizia. Perché è vero che il grande drammaturgo Bertold Brecht scriveva: «Beato quel Paese che non ha bisogno di eroi». Ma che cosa si può dire di un Paese che i suoi eroi (veri) li ignora e li bistratta, li nasconde e se ne vergogna? La storia che questo giornale ha rivelato ieri grida vendetta: è la storia di Ermenegildo Rossi, un steward dell'Alitalia che il 24 aprile 2011, su un volo Parigi-Roma, ha sventato un dirottamento - e probabilmente anche qualcosa di peggio - disarmando un passeggero kazako che puntava un coltello alla gola di una hostess. Il presidente Mattarella non ha colpa di quanto è accaduto dopo quel gesto coraggioso. E di certo fino a ieri non sapeva nemmeno che Rossi ha scoperto di essere un eroe solo per caso: quando sei anni più tardi, alla fine dell'ottobre 2017, sbirciando stupefatto sul sito Internet della presidenza della Repubblica, ha scovato il suo nome nella lista delle medaglie d'oro conferite al merito civile.Non sono tante, le medaglie d'oro conferite in Italia a partire dall'istituzione dell'onorificenza, un regio decreto del 1851 firmato da Vittorio Emanuele II. I decorati sono meno dei partecipanti all'impresa garibaldina realizzata nove anni dopo quel decreto: sono 952 in tutto, in gran parte morti per il loro stesso atto d'eroismo. I destinatari dell'oro al valor civile, così recita la norma, sono «cittadini che abbiano esposto la vita a un manifesto pericolo per salvare persone esposte a imminente e grave rischio di vita (…), per arrestare o partecipare all'arresto di malfattori (…) e per tenere alti il nome e il prestigio della Patria». La medaglia di Rossi, da questo punto di vista, era più che meritata: sette anni fa, lo steward era prima riuscito a tranquillizzare l'aggressore, che pretendeva l'aereo fosse dirottato verso Tripoli (dove da un mese la coalizione internazionale era scesa in guerra contro Muammar Gheddafi) e intanto premeva con forza una lama di 12 centimetri sulla giugulare di una hostess, fino a farla sanguinare. Rossi si era quindi offerto come ostaggio al posto della povera collega. Infine, approfittando di una distrazione del kazako, gli era saltato addosso e dopo una dura colluttazione era riuscito a disarmarlo e a neutralizzarlo. Sulle palme delle mani, lo steward porta ancora le tracce di quella lotta. Per fortuna a quel punto erano intervenuti alcuni passeggeri e il dirottatore era stato bloccato. Il problema, e la vergogna che Mattarella con la sua sensibilità oggi dovrebbe sanare, sta tutto in quel che segue. Perché il giorno dopo la scoperta della sua medaglia su Internet, Rossi chiama la presidenza della Repubblica e cerca d'informarsi su quel che deve fare per ottenerla. A sorpresa, invece di essere convocato al Quirinale a tambur battente, lo steward viene ignorato per altre due settimane. Poi scopre che il capo dello Stato firma sì il decreto per il conferimento della medaglia, ma la pratica da quel momento viene affidata alla prefettura.L'11 dicembre 2017, Rossi prende quindi contatto con gli uffici del prefetto: gli dicono di presentarsi il successivo 13 gennaio, e gli preannunciano sbrigativamente che non sono previste cerimonie. Lo steward non se ne fa un problema: non crede affatto di essere un eroe, ed è già contento di essere premiato con un premio così alto. Forse, questo sì, si aspetta che chiunque sia a dargli la sua medaglia lo farà con un po' di gentilezza, magari con qualche bella parola. Quando arriva il gran giorno, ha raccontato ieri Rossi alla Verità, si porta dietro addirittura un amico perché teme di emozionarsi. Quello che accade poi, invece, va oltre la più cupa immaginazione: «Per farla breve, non mi volevano ricevere. Poi mi hanno detto che la persona che aveva le chiavi della cassaforte dov'era conservata la medaglia non era in ufficio». Passato di colpo dall'emozione all'irritazione, per ottenere la sua medaglia lo steward deve minacciare di rivolgersi alla stampa: «Così siamo saliti, hanno recuperato le chiavi e me l'hanno data». Il gran premio per il suo coraggio era «in una scatolina di plastica dal colore smunto, con un nastrino rabberciato».Un trattamento indicibile, vergognoso. Di più, la dimostrazione che lo Stato italiano non merita i suoi eroi. In qualsiasi Paese, la premiazione di un atto di grande coraggio viene celebrata con solennità, e davanti ai massimi rappresentanti delle istituzioni. Da noi, invece, no. Osserva giustamente Rossi: «Uno può essere considerato eroe se lo Stato cui appartiene lo tratta come tale. Se invece lo Stato non valorizza certi gesti, se non li celebra con orgoglio, allora mi chiedo: che razza di Stato è?».Ecco, signor presidente. La parola ora spetta a lei. Lei sa che il signor Rossi (un nome che a questo punto della storia sembra fatto apposta per simboleggiare l'Italia) non merita questo protocollo infame. Per piacere, intervenga: dimostri a tutti che razza di Stato è il nostro. Oppure meriteremo tutti di restare rossi. Di vergogna.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)