2022-12-09
Mentre fa il finto pontiere Mattarella prepara la gabbia per intrappolare la Meloni
Il pranzo con la leader Ue è l’ennesimo segno dell’attivismo del Colle. Il cui «ombrello» serve a scavalcare e imbarazzare il governo, costringendolo a piegarsi agli eurodiktat.Una volta, si tratta di un esplicito intervento pubblico del capo dello Stato; un’altra volta, di un retroscena non smentito; un’altra volta ancora, di un’interpretazione di un quirinalista «autorizzata» (o almeno «non contestata»). Sta di fatto che, da quando Giorgia Meloni si è insediata a Palazzo Chigi, non passa settimana senza che ci sia un segno tangibile di iper attivismo da parte di Sergio Mattarella. Fare l’elenco è perfino difficile, perché i casi e le materie ormai si accavallano, coprendo qualunque ambito di politica interna, estera, economica, sanitaria. Si pensi ad esempio al «monito» di Mattarella sul coronavirus («Non possiamo ancora proclamare la vittoria finale sul Covid-19. Dobbiamo ancora far uso di responsabilità e precauzione»), da tutti interpretato come un colpo di freno e un avvertimento rispetto a un provvedimento governativo che era in quel momento in gestazione. Si pensi ancora alla telefonata con Emmanuel Macron, da molti letta come un modo di scavalcare l’esecutivo su un tema tutto di competenza governativa come l’immigrazione. Si pensi ancora alla conferenza di Maastricht con passaggi mattarelliani assai discutibili (a favore del superamento dell’unanimità in Ue, a favore di una politica fiscale unica dell’Unione, a favore di un interesse europeo che trascenderebbe gli interessi nazionali, e contro l’euroscetticismo definito nientemeno che un «virus»), nel senso che sarebbe compito del presidente della Repubblica rispettare, anziché demonizzare, anche i portatori di visioni politiche opposte a quelle tesi. Ma non basta ancora: una piccola valanga di retroscena attribuiscono al Colle pressioni sul governo per il ridimensionamento della misura su Pos e contante; così come un’altra ricostruzione giornalistica ha pesantemente schierato il Colle pure nella recente increspatura di acque tra governo e Banca d’Italia. Dopo tutta questa alluvione di casi in un tempo ristrettissimo (vale la pena di ricordarlo: la Meloni si è insediata a Palazzo Chigi il 23 ottobre scorso, cioè appena 47 giorni fa, meno di 7 settimane), l’altro giorno è arrivato il clou. È infatti impressionante la nonchalance con cui i nostri media hanno registrato il «pranzo di lavoro» con Ursula von der Leyen e Sergio Mattarella «accompagnato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani». In sede di cronaca, si è registrata come una cosa normale che il capo dello Stato abbia di fatto negoziato direttamente con la Commissione Ue (o abbia per lo meno dato a tutti l’impressione di farlo) sul Pnrr e sul tetto al prezzo del gas, cioè su questioni di assoluta competenza del governo. In sede di commento, firme autorevoli (ne citiamo due: Massimo Franco e Marzio Breda sul Corriere della Sera) hanno accreditato la tesi di un grande ombrello aperto dal Quirinale sopra Palazzo Chigi. Per Breda, è «gioco di squadra», «fattore di coagulazione», «sinergia» con Tajani, tutto nel quadro dell’«asse del Quirinale con Bruxelles»; per Franco, si tratta di «ottimi rapporti» tra Mattarella e von der Leyen, da cui discenderebbe un «dialogo eccellente» tra istituzioni continentali e governo italiano. La parola più adatta per rappresentare il tentativo in corso, a nostro avviso, è un’altra, ed è la parola «commissariamento»: un giorno, un commissariamento più ruvido, che strattona e richiama; un altro giorno (il caso dell’altro ieri, nell’interpretazione prevalente), un commissariamento più paterno e paternalista, che «aiuta». Ma sempre di commissariamento di tratta: di una «fisarmonica» presidenziale (per usare un’arcinota immagine) che si sta allargando a dismisura. Tuttavia, dal 25 settembre scorso, c’è una novità: adesso c’è un governo non solo formalmente legittimo, ma pure espressione diretta di un sostanziale mandato elettorale. Ragion per cui sarà bene che la fisarmonica del Quirinale, dopo tanti anni, torni a comprimersi. E sarà ancora meglio se il presidente della Repubblica vorrà interpretare esattamente il ruolo che sarebbe più necessario e appropriato: quello del garante, dell’arbitro, non del giocatore. Non tocca a lui né operare come controparte o controcanto del governo, né tanto meno come soggetto che tenda a (o pretenda di) fissare l’indirizzo politico dell’esecutivo. La «narrazione» veicolata da troppi media è fin troppo chiara: da una parte, il governo come soggetto che altrimenti sarebbe inevitabilmente isolato e screditato; e dall’altra, l’intervento «salvifico» del Colle. Con un corollario implicito: quell’intervento salvifico richiede allineamento e obbedienza, pena l’automatico richiudersi dell’ombrello. Si tratta di un’anomalia che andrebbe affrontata e risolta: nell’attuale assetto costituzionale, con un opportuno arretramento del Colle entro il perimetro dei suoi confini; e in prospettiva, attraverso una riforma costituzionale che introduca il presidenzialismo. Ma un presidenzialismo autentico: con elezione popolare diretta del capo dello Stato, con relativi pesi e contrappesi, e superando il presidenzialismo opaco e de facto oggi vigente.