2022-11-12
Mattarella esonda ancora: «L’interesse degli europei trascende quelli nazionali»
Il presidente subordina le priorità dei singoli Paesi al bene europeo, definisce l’euroscetticismo «un virus», si schiera contro il voto unanime e per la fiscalità unica. Posizioni ideologiche espresse senza alcun mandato.È spiacevole ma doveroso tornare su un punto decisivo per la nostra convivenza civile, per un’indispensabile lealtà istituzionale, per una sempre più necessaria (ma disgraziatamente assente) coesione nazionale al di là delle fisiologiche differenze politiche tra partiti e schieramenti. E qual è il presupposto irrinunciabile per salvaguardare (anzi: per ripristinare) questi beni di valore supremo? In primo luogo occorre, calcisticamente parlando, che l’arbitro faccia l’arbitro, e non si avvicini mai e in nessun caso al dischetto per tirare un calcio di rigore. Addolora dover constatare che invece, ancora una volta, ieri a Maastricht il Capo dello Stato abbia scelto di sostenere tesi divisive e politicamente discutibili: cosa perfettamente legittima, se a farlo fosse stato un capo politico o un capofazione, così come altrettanto legittime sarebbero state le opinioni opposte eventualmente sostenute da un capo politico o un capofazione del fronte avverso. Ma il punto è proprio questo: l’arbitro non può dire «Forza Inter» oppure «Forza Milan». Fuor di metafora: il presidente della Repubblica non dovrebbe mai entrare nell’arena per difendere un punto di vista di parte, perché con ciò rischia di squalificare (e in qualche caso perfino di criminalizzare) i punti di vista differenti. Purtroppo ieri Sergio Mattarella è incorso in questo grave scivolone almeno quattro volte, a nostro avviso. Il primo passaggio assai discutibile è avvenuto nel cuore del discorso ufficiale pronunciato dal presidente a Maastricht, in occasione del trentesimo anniversario del noto trattato: «Il voto all’unanimità - ha scandito Sergio Mattarella - è una formula ampiamente superata perché si trasforma in diritto di veto che paralizza l’Unione. Vi è una condizione sollecitata dal succedersi di crisi e l’Unione ha bisogno di rimuovere questo limite». Come volevasi dimostrare: si può ritenere questa tesi condivisibile oppure (è il nostro caso) che sia disastrosa e pericolosa per l’Italia (immaginiamo cosa accadrebbe se si saldasse a Bruxelles una maggioranza di Paesi a noi contraria sui principali dossier e avesse il potere di imporci qualunque cosa vanificando un nostro ipotetico veto): ma il punto è che Sergio Mattarella non dovrebbe proprio intervenire nel merito. Non c’è un mandato parlamentare; se ci fosse, riguarderebbe il governo e non lui; e, quanto al Quirinale, dovrebbe essere garante del dibattito più aperto su questo e su ogni altro tema. Il secondo passaggio altrettanto discutibile è stato pronunciato subito dopo, quando il Capo dello Stato ha aggiunto che l’Ue dovrebbe «completare il suo percorso organizzativo interno», in quanto «è una casa incompiuta, non ha una politica fiscale propria». Anche qui non ci siamo: perché attaccare chi è contrario a una politica fiscale unica dell’Ue e preferisce invece che sia ciascun governo a rimanere titolare della leva fiscale, magari - auspicabilmente - innescando una virtuosa competizione tra Paesi per l’abbassamento della pressione tributaria? Il terzo passaggio è perfino stupefacente per il modo categorico (qualcuno potrebbe dire: dogmatico, ideologico) con cui Sergio Mattarella ha posto la questione, al termine di una lunga perorazione a favore dell’Ue come unione politica: «Nessuno - ha detto il Capo dello Stato - può ormai mettere in dubbio che esista un interesse europeo, dei cittadini europei in quanto tali; interesse che trascende, fonde e accorpa gli interessi nazionali». Con rispetto parlando: ma dove sta scritto? E perché non si può sostenere esattamente il contrario, e cioè che un processo di forzata centralizzazione europea delle decisioni sia contraria al miglior interesse nazionale, al controllo diretto dei cittadini, e alla necessaria accountability verso gli elettori? Il quarto episodio è avvenuto nel colloquio con gli studenti alla House of Government di Maastricht, che abbiamo trovato integralmente trascritto su www.primaonline.it. In una domanda è stata evocata una «ondata di euroscetticismo» e qui c’è letteralmente da stropicciarsi gli occhi, perché Sergio Mattarella nella risposta, riferendosi all’euroscettismo, avrebbe detto: «Si tratta di un virus. Come il Covid ha colpito tutti a giro». C’è da trasecolare: dunque una posizione euroscettica viene così platealmente squalificata e demonizzata dal supremo garante di tutti gli italiani? Ciò è semplicemente non tollerabile: al contrario, sarebbe compito della massima istituzione della Repubblica rappresentare tutti (non solo una parte), e garantire dignità anche ai sostenitori di una tesi che il cittadino Mattarella personalmente (e legittimamente) avversa. Lasciamo da parte il passaggio in cui il Capo dello Stato ha sostenuto che vadano «nella giusta direzione i progressi compiuti nelle ultime settimane, a cominciare dalla decisione di definire un tetto al prezzo del gas, cosa che ha già contribuito alla discesa dei prezzi dell’energia». Ah sì? Peccato che numerosi esperti sostengano che il temporaneo calo dei prezzi sia dovuto non alla chimera del price cap, ma all’autunno mite, agli stoccaggi pieni, e al fatto che purtroppo molte imprese abbiano già ridotto produzione e consumi. Quanto infine alla querelle Francia-Italia, forse trovandosi in serio imbarazzo (il trattato tra i due paesi si chiamerebbe proprio «Trattato del Quirinale»…), Sergio Mattarella ha optato per un salomonico zero a zero, senza citare direttamente nessuno, ma implicitamente invitando l’Italia a non smettere di cercare accordi e la Francia a restare fedele al principio di solidarietà.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)