2020-02-07
Mattarella commissaria il Parlamento
Aurora Samperio/NurPhoto via Getty Images
Sergio Mattarella dice che non si possono cambiare le maggioranze in Parlamento, spedendo dunque un messaggio a chi sogna di mandare a casa l'attuale governo. Una doccia fredda, quella presidenziale, per chiunque ambisse a liquidare Giuseppe Conte e sostituirlo con un premier di colore diverso. In apparenza le parole del capo dello Stato sembrano voler porre fine ai giochi di Palazzo, ai cambi di casacca e a tutte quelle alchimie politiche alle quali il nostro Parlamento ci ha abituato. In caso di crisi, il Quirinale sarebbe pronto a sciogliere le Camere e a restituire la parola agli italiani, stoppando esperimenti di nuove formule che impediscano il voto. Bene, verrebbe da dire. Finalmente un capo dello Stato che non si fa prendere in giro e non asseconda la voglia degli onorevoli di rimanere incollati alla poltrona a tutti i costi. A pensar male si farà peccato, come diceva Giulio Andreotti, ma se ci si interroga sul discorso del presidente della Repubblica, sul momento in cui l'ha pronunciato e sulle voci che girano in Parlamento circa un possibile ribaltone che mandi a casa l'avvocato del popolo, si capisce che Mattarella non è intervenuto per dire che caduto un Conte non ce ne sarà un altro, e neppure per stoppare la strada di Palazzo Chigi a qualche suo sostituto, ma semmai proprio per cementare il traballante Giuseppi, evitandone i possibili cedimenti strutturali. Sì, quello del Quirinale è un intervento a sostegno del governo o, per meglio dire, di chi lo guida e un altolà neanche troppo sussurrato a chi, tra Montecitorio e Palazzo Madama, sogna di liquidare l'esecutivo giallorosso per dare vita a una maggioranza di segno opposto. Ieri, sulle pagine di alcuni giornali, si era affacciata addirittura l'ipotesi di una coalizione di centrodestra (Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia) allargata a Italia viva, ossia al partito di Matteo Renzi. Non sappiamo quanto ci sia di vero in questa originale somma di numeri parlamentari, ma noi stessi, proprio mercoledì, immaginavamo una prossima spaccatura del Movimento 5 stelle con una possibile scissione capeggiata da Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri, con la sua chiamata alle armi per difendere il taglio ai vitalizi e la riforma della prescrizione, potrebbe innescare ribaltoni o nuove alleanze, magari con un ritorno al passato, ossia stringendo un nuovo patto con la Lega. Operazioni che però, stanti le parole di Mattarella, non si potrebbero fare, perché il presidente liquiderebbe le Camere invece di dare luce verde a un governo con una nuova maggioranza. Insomma, agitando le elezioni, il capo dello Stato pare voler raffreddare i bollenti spiriti di chi non vede l'ora di fare secco - in senso politico, ovvio - Giuseppe Conte. Perché il Quirinale sia intervenuto a gamba tesa in un dibattito che è parlamentare e non certo presidenziale è però la domanda che ci si deve fare. Come mai Mattarella ha sentito ieri il bisogno di minacciare il voto per stoppare i ribaltonisti? Soprattutto ci si deve interrogare su perché una crisi dell'attuale governo non ne possa consentire la nascita di un altro quando è sempre stato così. Forse Mattarella sbarrò il passo a Denis Verdini quando corse in soccorso di Matteo Renzi? Non ci risulta, come non ci pare che si sia fatto troppi problemi a far sostituire la Lega con il Pd pur di salvare la legislatura. Lo stesso si può dire dei suoi predecessori, che certo non si sono mai curati troppo di dove pescassero i voti altri capi di governo a corto di numeri. Clemente Mastella, che era stato eletto con il centrodestra, passò a sinistra sorreggendo il primo esecutivo guidato da un ex comunista. E Giorgio Napolitano digerì senza fiatare tutte le scissioni nel centrodestra, prima per mettere in difficoltà Silvio Berlusconi e poi per far restare in piedi il traballante governo di Enrico Letta. Cioè, le maggioranze variabili ci sono sempre state e non c'è capo di Stato che abbia avvertito il Parlamento, minacciando lo scioglimento. Dunque, perché ora sì? La risposta è semplice. Mattarella pensa che con Conte a Palazzo Chigi sia più facile pilotare la nomina del suo successore, perché una maggioranza con dentro il Pd consentirebbe di piazzare sul Colle una figura appartenente al solito giro della parrocchia progressista. Con Zingaretti e compagni magari si potrebbe anche piazzare il colpo di una donna al Quirinale. Magari di una tipa come Marta Cartabia, neo eletta presidente della Corte costituzionale, una professoressa che con Mattarella ha condiviso la toga della Consulta. La signora è già da mesi in campagna elettorale e infatti ha introdotto nella Corte le consultazioni delle parti sociali, come se i giudici della legge fossero un parlamentino. Si, insomma le grandi manovre sono cominciate e mi sa che gli italiani per votare dovranno attendere.