2025-01-13
C’è anche un regolamento Ue dietro al rialzo dei prezzi di cioccolato, burro e caffè
Il divieto di vendita di prodotti provenienti da terreni disboscati, pur slittato a fine 2025, sta già provocando i suoi effetti. In Africa molte economie rischiano il collasso.Quando andate al bar per la tazzina di caffè e alla cassa vi chiedono 1,21 euro, cioè il 18,1% in più rispetto al 2021, o al supermercato per un panetto di burro dovete sborsare il 48,8% in più di tre anni fa (13,35 euro medi al chilo) o per una tavoletta da 100 grammi di cioccolata il 27%, invece di lamentarvi dei rincari dovreste invece considerare che state dando il vostro contributo green alla lotta contro la deforestazione. Detto in maniera più semplice, nella tazzina come pure nella cioccolata o nel burro c’è la manina della Ue che pensa di risolvere il problema della distruzione delle foreste, impedendo l’acquisto della materia prima di Paesi poco virtuosi nel rispetto dell’ambiente. Anche se l’applicazione del regolamento europeo sulla deforestazione che vieta la vendita nell’Ue di prodotti provenienti da terreni disboscati è stato rinviato di un anno (doveva scattare dal 30 dicembre scorso ma ora slitta a fine 2025 per le grandi aziende, e al 30 giugno 2026 per le pmi) gli effetti si fanno già sentire. È noto che i mercati scontano in anticipo determinate misure ad alto impatto, sapendo che il posticipo vuol comunque dire che le misure entreranno in vigore, mettendo sotto pressione i prezzi. Se a questo poi si aggiungono eventi climatici avversi come alluvioni e periodi di siccità estremi, si è creata una tempesta perfetta per far esplodere i listini. Un chilo di caffè, secondo Assoutenti, oggi vale in media 12,66 euro, mentre nel 2021 ne costava 8,86: l’aumento medio è del 42,8%. Il picco è raggiunto a Trieste (14,34 euro al chilo). Le coltivazioni in Brasile, Vietnam, Colombia, Costa Rica e Honduras hanno risentito dei danni dovuti all’alternarsi di siccità e forti piogge anomale ma stanno scontando anche la prospettiva delle regole stringenti Ue sulle deforestazioni. «La crisi globale delle materie prime, con aumenti fino al 50% su beni di largo consumo come caffè e cioccolato, ha impatto diretto su quelle nazioni e industrie su cui già grava il peso del regolamento che ha imposto vincoli insostenibili per i Paesi in via di sviluppo, che non possono garantire le certificazioni ambientali previste dalla normativa», ha detto il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso. Come dire che le tensioni sui listini non sono solo dovute ai cambiamenti climatici. Il regolamento europeo impone una sorta di bollino verde che attesta la provenienza da aree non colpite da disboscamento selvaggio. Le imprese devono garantire che i prodotti venduti nell’Ue non siano all’origine di deforestazione. Il Parlamento europeo aveva approvato in via definitiva una legge in base alla quale le imprese dovrebbero verificare che non solo non sono state compromesse le foreste nella coltivazione ma anche che tali prodotti siano conformi alla legislazione pertinente del Paese di produzione, anche in materia di diritti umani, e di rispetto delle popolazioni indigene. «Si tratta di introdurre un sistema di verifica e certificazione che potrebbe essere molto costoso. Se si compra la soia che viene dal Brasile bisogna rintracciare i terreni da dove questa proviene e verificare che la coltivazione non sia stata a scapito delle foreste. Esistono fotografie aeree ma non bastano, è un meccanismo complicato e costoso» afferma Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti che pure sottolinea come «i maggiori responsabili degli aumenti di caffè, cacao e burro siano gli eventi climatici estremi che hanno colpito l’America Latina». La normativa europea riguarda una pluralità molto eterogenea di prodotti. Sono citati cacao, caffè, olio di palma, soia e legno, ma anche gomma, carbone di legna, prodotti di carta stampata e diversi derivati dell’olio di palma. Entro due anni dall’entrata in vigore del regolamento si valuterà l’eventuale inclusione di granturco e biocarburanti.I Paesi africani sono in ritardo sul recepimento dei requisiti del regolamento Ue e sull’attuazione delle azioni necessarie. Non potranno più vendere il loro caffè alle imprese europee fino al raggiungimento della così detta compliance. Il crollo inevitabile dell’export potrebbe creare problemi sociali con impoverimento di quelle popolazioni e creare le condizioni per flussi migratori. Quindi il risultato del regolamento europeo è duplice: da un lato un aumento spropositato dei costi che pesa su imprese e consumatori, dall’altro una crisi economica potenziale per Paesi come l’Etiopia incapaci di adeguarsi ai requisiti , col rischio del collasso per intere economie e milioni di persone.I Paesi che esportano questi prodotti potrebbero subire un netto calo delle entrate, con l’eventuale esclusione dal mercato europeo. Stando a un’analisi di Rabobank, conformarsi alle regole Ue può costare tra lo 0,29 e il 4,3% del valore delle importazioni nell’Ue. L’Africa e il Sud America sono i continenti che hanno maggiormente da perdere. Uno studio del think tank Odi (Overseas Development Institute) stima che la normativa comporterà per l’Etiopia, Paese esportatore di caffè, per cui questo bene costituisce il 30-35% di tutto l’export, una flessione del 18,4% nelle esportazioni e dello 0,6% nel Pil. Per evitare un consistente calo nei ricavi, i Paesi africani hanno intrapreso una corsa contro il tempo e stanno registrando coltivatrici e coltivatori in database nazionali. Ma non è facile e soprattutto è costoso. «Stimiamo un costo di 1,50-2 dollari ad azienda agricola, e ci sono 340.000 coltivatori di caffè in Tanzania», annota Kajiru Francis Kissenge, direttore del settore sviluppo del Tanzania coffee board. «Finanziamenti Ue sarebbero ben accetti, perché la buona tecnologia non è a buon mercato». Il vicedirettore ricerca e sviluppo del Ghana cocoa board, Michael Ekow Amoah, afferma che «lo sviluppo e l’operatività dei sistemi di tracciamento dei terreni costerà oltre 50 milioni di euro. L’Ue avrebbe dovuto contribuire alla spesa iniziale». Il Ghana è un peso massimo del cacao ovest-africano. Per questo, sostiene il ministero del Made in Italy, non basta rinviare l’applicazione del nuovo regolamento ma «bisogna cambiare le politiche europee nel profondo attraverso la semplificazione e la riduzione degli oneri».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)