2023-08-07
Maschi o femmine fin dal pancione. Lo dice la scienza
Ma quale «sesso assegnato alla nascita»: i generi sono diversi per natura. E gli stereotipi culturali non c’entrano niente.Parla lo psicologo Emiliano Lambiase: «Gli uomini lavorano più con le cose, le donne con le persone».Lo speciale contiene due articoli.«Sesso assegnato alla nascita». È un’espressione sempre più usata nei dibattiti sui temi delle differenze di genere e che lascia intendere che l’identità sia qualcosa di arbitrariamente attribuito. Rivedendo una celebre frase di Simone de Beauvoir, si potrebbe dire che «femmina non si nasce, si viene assegnata». Ma è proprio così? Cosa afferma la ricerca al riguardo? Per quanto sia politicamente scorretto da dirsi, gli studi scientifici raccontano una storia non solo diversa ma opposta, e cioè che si è maschi e femmine - e quindi diversi - sin dalla nascita, se non prima; e non solo per ragioni cromosomiche.Una ricerca uscita nel 2021 sull’Italian journal of gender-specific medicine ha rilevato significative differenze sessuali già nel grembo materno, scoprendo come «i feti maschi e femmine» rispondano «in modo diverso allo stesso ambiente intrauterino, suggerendo una differenza biologica fondamentale a livello cellulare e molecolare» e come vi siano «differenze significative legate al sesso nel periodo neonatale e per gli esiti dei neonati pretermine, così come per l’incidenza di malattie neurologiche, malformazioni congenite e malattie respiratorie, nonché nella risposta individuale ai farmaci durante l’infanzia». Ma tali differenze, si dirà, sono solo corporee: le comportamentali son invece solo apprese tramite stereotipi di genere. Per verificare se esistano differenze spontanee tra i sessi, non resta allora che osservare i bimbi dalla nascita in poi. Soddisfa in parte tale curiosità una metanalisi a cura di Brenda K.Todd, del dipartimento di psicologia dell’Università di Londra, e pubblicata su Infant Behavior & Development che, considerando 16 studi precedenti, ha riscontrato un dato significativo nelle differenze tra i giochi, con i maschi che giocano più con giocattoli considerati maschili rispetto alle ragazze; solo che questi 16 studi consideravano bambini dal primo all’ottavo anno di età, quando forse i fattori ambientali ed educativi possono aver già modellato la condotta infantile. Ma nei primi mesi di vita com’è la situazione? L’ha messo in luce una ricerca della psicologa Gerianne Alexander uscita su Archives of Sexual Behavior. La Alexander ha osservato le reazioni di bambini di circa cinque e sei mesi di età - 17 di sesso femminile, 13 di sesso maschile - dinnanzi a due oggetti tridimensionali che meglio di tutti gli altri rappresentano i giocattoli sessualmente tipizzati, vale a dire una bambola rosa ed un piccolo camion blu. Ebbene, benché non siano state misurate differenze fra i due sessi nell’estensione temporale dell’attenzione rivolta ai due oggetti, quando si è andati a conteggiare le volte nelle quali i bambini li fissavano è arrivata la sorpresa: le femminucce, rispetto ai maschietti, si mostravano in proporzione più interessate dalla bambola rispetto al camioncino.Esiti simili sono stati riscontrati anche in un esperimento della dottoressa Vasanti Jadva basato su un campione ben più esteso - 120 bambini di età compresa fra i 12 e i 24 mesi - e con cui si è potuto rilevare come, indipendentemente dal colore degli oggetti, i risultati restino sostanzialmente immutati: le bambine rimangono più attratte dalle immagini di bambole, i bambini da quelle di automobiline; l’evidenza non è risultata variare in modo significativo con l’età, indebolendo così l’ipotesi che il trascorrere dei mesi equivalga alla progressiva interiorizzazione degli stereotipi, e che ha fatto supporre ai suoi autori che la stessa preferenza femminile per il rosa e maschile per il blu altro non sia che l’effetto di un’associazione ad oggetti distinti che femminucce e maschietti preferirebbero in ogni caso. Ancora più impressionante, per precocità, era stato nel 2000 uno studio di Jennifer Connellan la quale, con il professor Simon Baron-Cohen, aveva monitorato 102 neonati di appena un giorno e mezzo di vita; ebbene, sottoposti all’attenzione dei piccoli prima un viso umano e poi un oggetto meccanico, la Connellan aveva notato che i maschietti fissavano il 10% in più l’oggetto delle femmine, le quali invece guardavano più a lungo il volto. Tutti questi piccoli ma eloquenti indizi portano a concludere che non c’è nessun «sesso assegnato alla nascita». Semplicemente, maschi o femmine si nasce.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/maschi-femmine-fin-dal-pancione-2662892923.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="esistono-tendenze-molto-chiare" data-post-id="2662892923" data-published-at="1691430781" data-use-pagination="False"> «Esistono tendenze molto chiare» Classe 1974, psicologo e psicoterapeuta cognitivo-interpersonale, Emiliano Lambiase si occupa da più di 20 anni di ipersessualità patologica e l’attenzione con cui studia la letteratura e migliori manuali sulla differenza tra maschie e femmine - nessuno dei quali purtroppo tradotto in italiano - lo rende senza dubbio una fonte autorevole per capire lo stato dell’arte sulla ricerca scientifica sul tema. Per questo La Verità lo ha contattato. Dottor Lambiase, qual è la differenza tra sesso e genere? «Generalmente il sesso riguarda la biologia mentre il genere si riferisce agli atteggiamenti, sentimenti e comportamenti che una determinata cultura attribuisce al sesso biologico. Simili definizioni non sono però unanimi. C’è chi definisce il sesso in base ai cromosomi e chi in base alla potenziale produzione di gameti - ovuli o spermatozoi -, e chi lo considera binario - salvo varianti intersessuali - oppure chi ritiene le intersessualità al pari degli altri sessi, abolendo quindi il binarismo. Ma ancora più dibattito c’è sull’uso del termine genere. A tal proposito, per avere un’idea dell’uso confuso e a volto politico invito a leggere The Uses and Abuses of Gender di Joan W. Scott, Ideological Bias in the Psychology of Sex and Gender di Marco del Giudice e «Sex» and «Gender». Two Confused and Confusing Concepts in the «Women in Corporate Management» Literature di Shaheen Borna e Gwendolen White» Domanda delle domande: maschi e femmine sono davvero diversi oppure le loro differenze sono solo espressione di condizionamenti esterni, educativi ed ambientali? «Tutti i principali studiosi di differenze psicologiche tra i sessi non credono in una differenza netta e totale, ma nella presenza di “alcune” differenze “di tendenza”. È quindi un errore immaginare le differenze sessuali come un qualcosa di presente e totalizzante, o di assente e totalmente culturale. Inoltre, anche piccole differenze possono portare a grandi effetti comportamentali. Nell’ambito delle scienze sociali non dobbiamo per forza attenderci risultati rilevati per poter affermare di aver trovato un risultato significativo. Infine, le differenze psicologiche tra i sessi non vanno prese solamente una caratteristica per volta, ma anche come configurazione di caratteristiche. A questo tipo studio, trovando risultati assai interessanti e ancora più evidenti, si è dedicato il professor Marco del Giudice». Quali sono, dal suo punto di vista, le prove più solide - quelle cioè che meglio resistono a diversità sociali e ambientali - che abbiamo sulle differenze tra i due sessi? «La solidità di una prova può derivare da tanti fattori: dalla significatività statistica del risultato, dalla ripetizione dello stesso risultato in più ricerche, oppure in ricerche in epoche diverse, culture diverse, specie diverse, su campioni molto ampi, in base all’età di insorgenza delle differenze o alla correlazione con fattori di tipo biologico/fisiologico. Poi bisogna saper usare e interpretare metodi di analisi statistica piuttosto sofisticati, tenendo conto anche dell’influsso di variabili intervenienti e saper correggere gli eventuali errori di misurazione. Io stesso, spesso, devo chiedere aiuto o studiare molto prima di riuscire a capire alcune ricerche. Se vogliamo indicare alcune singole caratteristiche che hanno rispettato questi criteri, mostrandosi solidamente rilevanti, sono, ad esempio, l’aggressività, la dominanza, l’assertività, l’autostima, la propensione al rischio (tutte maggiori nei maschi), la preferenza per professioni e attività orientate alle cose o alle persone e alcune caratteristiche del desiderio e del comportamento sessuale. Però, come dicevo in precedenza, ad essere ancora più rilevante è la configurazione delle caratteristiche, e poi ci sono caratteristiche apparentemente poco significative ma con grandi conseguenze a livello comportamentale». Cosa dice la ricerca sulle diverse attitudini e inclinazioni con risvolti anche professionali tra uomini e donne? «Le differenze sono molto ampie, con una sovrapposizione tra i sessi solo del 50-60% e con gli uomini tendenzialmente più propensi a scegliere professioni e attività orientate al rapporto con e alla manipolazione delle “cose”, mentre le donne più propense al rapporto con le “persone”. Questo tipo di differenza è stata studiata in epoche diverse, in culture diverse, su campioni molto ampi. È stata ritrovata anche nei campioni di donne che avevano scelto di svolgere attività professionali più tipicamente maschili - i cosiddetti Stem - all’interno delle quali avevano comunque tendenzialmente scelto quelle con una componente relazionale maggiore. Ovviamente, dato che parliamo di tendenze, sono molte le persone che si trovano al di fuori di questi “contenitori”, per cui un conto è lo studio delle differenze psicologiche tra i sessi, e un altro paio di maniche sono la libertà e possibilità di scelta del tipo di studio e di professione che si desidera svolgere, avendo pari opportunità nel poterci provare e riuscire».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)