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2024-10-16
Riecco che spunta la mascherina coatta negli ospedali (in tutti i reparti)
(Ansa)
Scaduto a luglio, l’obbligo della mascherina negli ospedali è stato ripristinato d’ufficio a ottobre, in alcune realtà, su decisione di solerti direttori sanitari. Del resto, l’ufficio regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per l’Europa è preoccupato per «la nostra amnesia collettiva sulla gravità della pandemia da Covid-19» e il desiderio di «voltare pagina» che «non deve impedirci di proteggere noi stessi e i nostri cari dalla continua diffusione di malattie respiratorie, mentre l’emisfero settentrionale si prepara per l’inverno». Giusto per allarmare e non gestire, secondo l’Oms Europa, tra i gruppi «più a rischio» per il coronavirus, il virus dell’influenza e quellorespiratorio sinciziale (Rsv), accanto agli «anziani e persone con malattie croniche» ci sono anche le «donne incinte».
Curiosamente, per queste patologie ci sono i vaccini che «salvano la vita», molti saranno anche plurinoculati, ma la mascherina va messa lo stesso. C’è da chiedersi come l’umanità sia potuta arrivare al 2019 senza indossare la mascherina negli ospedali e nelle residenze per anziani. Se infatti, prima della pandemia l’arrivo dei virus influenzali non comportava sconvolgimenti nelle modalità di accesso nei reparti ospedalieri, dopo il Covid - per il quale ormai non si contano le reinoculazioni nei fragili e le recidive a ogni età, anche dove la mascherina non si è mai tolta, oltre che nella popolazione generale - l’arrivo dell’inverno non può avvenire senza la richiesta di tornare imbavagliati in tutti i reparti, anche in quelli a basso rischio. Del resto, l’ultima circolare Covid del ministero, nel togliere l’obbligo, lasciava libertà ai direttori delle strutture sanitarie di reintrodurlo in reparti sensibili che, a quanto pare, non sono le terapie intensive e le corsie di malattie infettive, come nell’era pre-pandemica. Oggi tutti i reparti sono sensibili per i diligenti direttori sanitari. E attenzione: non bastano le chirurgiche, no ci vogliono le Ffp2. Eppure gli ultimi studi disponibili sull’efficacia dell’impiego delle mascherine in contesti ospedalieri non mostrano significative riduzioni di mortalità. Come ha già spiegato su questo giornale Francesco Broccolo, virologo dell’Università del Salento, «uno studio realizzato nel 2022, durato quasi un anno, in un contesto ospedaliero londinese e pubblicato su The Journal of Hospital Infection mostra come già allora non c’era nessun cambiamento significativo nel tasso di infezioni da Sars Cov2 dopo aver tolto l’obbligo della mascherina per personale ospedaliero e visitatori». Ma i dati scientifici e un po’ di buonsenso, come ha dimostrato la pandemia, non sono necessariamente impiegati per fare le scelte migliori per la salute dei cittadini. Così, mentre il ministero lascia la discrezionalità e gli esperti ricordano che «sarebbe più utile ed efficace investire in sistemi per sanificare gli ambienti», invece di imporre la mascherina, l’ospedale di Brescia, per esempio - visto il rialzo dei casi Covid nella zona - ha deciso di ripristinare l’obbligo di indossare i dispositivi di protezione Ffp2 per utenti, visitatori, accompagnatori e caregiver in tutti i reparti. Ma non è l’unico. «In queste settimane», segnala all’Adnkronos Salute Federsanità Anci, «in molte regioni del Paese, come ad esempio in Campania, sono state diramate indicazioni per gli ospedali per l’utilizzo dei dispositivi di protezione soprattutto per i reparti a rischio. L’aspetto epidemiologico è importante ma di più lo è la consapevolezza dei cittadini nello scegliere comportamenti adeguati».
E così, in alcune realtà, dove la raccomandazione è restata praticamente obbligo, come nelle residenze per anziani - ignorando che ospiti, degenti e operatori, nonostante il bavaglio, continuano a infettarsi e a guarire nel giro di qualche giorno - in nome di una «prevenzione», di cui non si misura l’efficacia, i direttori sanitari non permettono a nessuno di girare senza mascherina, anche in assenza di sintomi. Il ritorno delle misure anti-Covid, dalle mascherine agli ingressi contingentati, per i pazienti e i visitatori, deciso dall’ospedale Civile di Brescia per il rialzo dei contagi, «è assurdo e va fatta una battaglia su questo», afferma Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive dell’ospedale policlinico San Martino di Genova. «Gli ospedali non possono essere prigionieri di queste misure anti-Covid o dei tamponi che ancora vengono chiesti per il trasferimento dei pazienti o per fare gli esami e le visite. È sconcertante». Soprattutto se non c’è «nessun nuovo allarme Covid negli ospedali», come osserva Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, dell’ospedale Sacco di Milano. Perfino Fabrizio Pregliasco direttore dell’Irccs ospedale Galeazzi-Sant'Ambrogio di Milano, non certo un temerario nel limitare le misure contro il Sars-Cov2, informa che «per ora da noi c’è l’indicazione di indossare le mascherine nei reparti con pazienti fragili. Oggi il Covid, nella stragrande maggioranza dei casi è un’infezione risolvibile».
Agente no vax, la Corte temporeggia
Bisognerà aspettare circa una settimana prima che i 15 giudici della Corte Costituzionale, che ieri si sono riuniti in camera di consiglio, mettano nero su bianco i dettagli della decisione adottata sull’ennesima ordinanza relativa a lavoratori dipendenti sospesi dal lavoro e dallo stipendio perché non vaccinati contro il Covid. Quella in discussione ieri riguardava P.D., assistente capo di polizia penitenziaria, privato di lavoro e stipendio nel 2021. In quei mesi, a capo del governo italiano c’era Mario Draghi: l’esecutivo aveva emanato due decreti legge per il «contenimento dell’epidemia da Covid» attraverso l’istituzione dell’obbligo di vaccinazione per alcune categorie professionali (militari, medici, insegnanti, over 50) e dell’obbligo di green pass.
P.D. aveva impugnato il provvedimento chiedendo al Tar del Lazio di essere riammesso in servizio con la conseguente retribuzione oppure, in via subordinata, di poter ottenere l’assegno alimentare. Ed è proprio sulla mancata previsione dell’assegno di mantenimento, già negato dalla stessa Corte nel 2022 e nel 2023 ad alcuni lavoratori dipendenti sospesi, che è incentrato il suo ricorso. La legge stabilisce che un dipendente sottoposto a procedimento giudiziario e sospeso cautelativamente dal servizio, anche se privato dello stipendio, durante il periodo di sospensione possa percepire un assegno alimentare, la cui misura è stabilita da disposizioni di legge o dai contratti nazionali. Elargito in alcuni casi anche a criminali incalliti, questo assegno - nel caso dei medici non vaccinati - non è stato riconosciuto dalla Corte costituzionale, che attraverso diverse sentenze (ad esempio la 15/2023) ha stabilito che la negazione degli emolumenti economici a chi non ha osservato l’obbligo vaccinale è «legittima e ragionevole». Anche nelle sentenze del 2022 la Consulta ha stabilito che è legittimo che sia negato l’assegno alimentare, sia al personale scolastico che a quello sanitario.
Nel ricorso, il funzionario si è difeso sostenendo di lavorare in un ufficio occupato da pochi dipendenti debitamente distanziati; ha motivato le ragioni del rifiuto di sottoporsi a vaccinazione dichiarando di non voler assumere farmaci per non rischiare di avere come conseguenze «effetti indesiderati e anche gravi» (come quelli riconosciuti dalla stessa Aifa); ha quindi sottolineato che la sospensione dal servizio, stabilita per la categoria professionale cui apparteneva, era di fatto discriminatoria rispetto ad altre categorie per le quali non era stato imposto l’obbligo vaccinale. Inoltre, ha messo l’accento sul fatto che avrebbe potuto essere adibito a mansioni differenti. Ha infine osservato la differenza tra obbligo e coercizione: «Non appare implausibile ritenere che le disposizioni in esame finiscano di fatto per trasmodare in una sorta di coercizione indiretta all’adempimento dell’obbligo - si legge nell’ordinanza - ponendo il lavoratore renitente di fronte all’alternativa di doversi suo malgrado sottoporre alla vaccinazione da egli avversata oppure subire uno stato di prolungata indigenza». O ti vaccini contro il covid o muori di fame, insomma. Non a caso, nell’ordinanza è citato l’art.32 comma 2 della Costituzione che dispone che, anche nei casi di trattamento obbligatori disposti per legge, quest’ultima «non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
E’ abbastanza verosimile che anche nel caso di P.D. la Corte Costituzionale, per non smentire se stessa, vada a trarre le stesse conclusioni e respinga il ricorso. Sarà tuttavia interessante verificare se ancora oggi la Consulta continui a sostenere che il legislatore si è adeguato alle «conoscenze scientifiche del momento»: come noto, già allora le evidenze smentivano che il vaccino anti covid impedisse il contagio.
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Da Brescia alla Campania, Ffp2 obbligatorie pure per i visitatori. L’Oms insiste: «Amnesia collettiva sul Covid che circola ancora».Si saprà tra sette giorni la decisione della Consulta sul ricorso di un poliziotto. Sospeso nel 2021, si vide negare l’assegno alimentare, elargito in certi casi anche ai criminali.Lo speciale contiene due articoli.Scaduto a luglio, l’obbligo della mascherina negli ospedali è stato ripristinato d’ufficio a ottobre, in alcune realtà, su decisione di solerti direttori sanitari. Del resto, l’ufficio regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per l’Europa è preoccupato per «la nostra amnesia collettiva sulla gravità della pandemia da Covid-19» e il desiderio di «voltare pagina» che «non deve impedirci di proteggere noi stessi e i nostri cari dalla continua diffusione di malattie respiratorie, mentre l’emisfero settentrionale si prepara per l’inverno». Giusto per allarmare e non gestire, secondo l’Oms Europa, tra i gruppi «più a rischio» per il coronavirus, il virus dell’influenza e quellorespiratorio sinciziale (Rsv), accanto agli «anziani e persone con malattie croniche» ci sono anche le «donne incinte». Curiosamente, per queste patologie ci sono i vaccini che «salvano la vita», molti saranno anche plurinoculati, ma la mascherina va messa lo stesso. C’è da chiedersi come l’umanità sia potuta arrivare al 2019 senza indossare la mascherina negli ospedali e nelle residenze per anziani. Se infatti, prima della pandemia l’arrivo dei virus influenzali non comportava sconvolgimenti nelle modalità di accesso nei reparti ospedalieri, dopo il Covid - per il quale ormai non si contano le reinoculazioni nei fragili e le recidive a ogni età, anche dove la mascherina non si è mai tolta, oltre che nella popolazione generale - l’arrivo dell’inverno non può avvenire senza la richiesta di tornare imbavagliati in tutti i reparti, anche in quelli a basso rischio. Del resto, l’ultima circolare Covid del ministero, nel togliere l’obbligo, lasciava libertà ai direttori delle strutture sanitarie di reintrodurlo in reparti sensibili che, a quanto pare, non sono le terapie intensive e le corsie di malattie infettive, come nell’era pre-pandemica. Oggi tutti i reparti sono sensibili per i diligenti direttori sanitari. E attenzione: non bastano le chirurgiche, no ci vogliono le Ffp2. Eppure gli ultimi studi disponibili sull’efficacia dell’impiego delle mascherine in contesti ospedalieri non mostrano significative riduzioni di mortalità. Come ha già spiegato su questo giornale Francesco Broccolo, virologo dell’Università del Salento, «uno studio realizzato nel 2022, durato quasi un anno, in un contesto ospedaliero londinese e pubblicato su The Journal of Hospital Infection mostra come già allora non c’era nessun cambiamento significativo nel tasso di infezioni da Sars Cov2 dopo aver tolto l’obbligo della mascherina per personale ospedaliero e visitatori». Ma i dati scientifici e un po’ di buonsenso, come ha dimostrato la pandemia, non sono necessariamente impiegati per fare le scelte migliori per la salute dei cittadini. Così, mentre il ministero lascia la discrezionalità e gli esperti ricordano che «sarebbe più utile ed efficace investire in sistemi per sanificare gli ambienti», invece di imporre la mascherina, l’ospedale di Brescia, per esempio - visto il rialzo dei casi Covid nella zona - ha deciso di ripristinare l’obbligo di indossare i dispositivi di protezione Ffp2 per utenti, visitatori, accompagnatori e caregiver in tutti i reparti. Ma non è l’unico. «In queste settimane», segnala all’Adnkronos Salute Federsanità Anci, «in molte regioni del Paese, come ad esempio in Campania, sono state diramate indicazioni per gli ospedali per l’utilizzo dei dispositivi di protezione soprattutto per i reparti a rischio. L’aspetto epidemiologico è importante ma di più lo è la consapevolezza dei cittadini nello scegliere comportamenti adeguati». E così, in alcune realtà, dove la raccomandazione è restata praticamente obbligo, come nelle residenze per anziani - ignorando che ospiti, degenti e operatori, nonostante il bavaglio, continuano a infettarsi e a guarire nel giro di qualche giorno - in nome di una «prevenzione», di cui non si misura l’efficacia, i direttori sanitari non permettono a nessuno di girare senza mascherina, anche in assenza di sintomi. Il ritorno delle misure anti-Covid, dalle mascherine agli ingressi contingentati, per i pazienti e i visitatori, deciso dall’ospedale Civile di Brescia per il rialzo dei contagi, «è assurdo e va fatta una battaglia su questo», afferma Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive dell’ospedale policlinico San Martino di Genova. «Gli ospedali non possono essere prigionieri di queste misure anti-Covid o dei tamponi che ancora vengono chiesti per il trasferimento dei pazienti o per fare gli esami e le visite. È sconcertante». Soprattutto se non c’è «nessun nuovo allarme Covid negli ospedali», come osserva Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, dell’ospedale Sacco di Milano. Perfino Fabrizio Pregliasco direttore dell’Irccs ospedale Galeazzi-Sant'Ambrogio di Milano, non certo un temerario nel limitare le misure contro il Sars-Cov2, informa che «per ora da noi c’è l’indicazione di indossare le mascherine nei reparti con pazienti fragili. Oggi il Covid, nella stragrande maggioranza dei casi è un’infezione risolvibile».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mascherina-obbligatoria-ospedale-2669403174.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="agente-no-vax-la-corte-temporeggia" data-post-id="2669403174" data-published-at="1729024790" data-use-pagination="False"> Agente no vax, la Corte temporeggia Bisognerà aspettare circa una settimana prima che i 15 giudici della Corte Costituzionale, che ieri si sono riuniti in camera di consiglio, mettano nero su bianco i dettagli della decisione adottata sull’ennesima ordinanza relativa a lavoratori dipendenti sospesi dal lavoro e dallo stipendio perché non vaccinati contro il Covid. Quella in discussione ieri riguardava P.D., assistente capo di polizia penitenziaria, privato di lavoro e stipendio nel 2021. In quei mesi, a capo del governo italiano c’era Mario Draghi: l’esecutivo aveva emanato due decreti legge per il «contenimento dell’epidemia da Covid» attraverso l’istituzione dell’obbligo di vaccinazione per alcune categorie professionali (militari, medici, insegnanti, over 50) e dell’obbligo di green pass. P.D. aveva impugnato il provvedimento chiedendo al Tar del Lazio di essere riammesso in servizio con la conseguente retribuzione oppure, in via subordinata, di poter ottenere l’assegno alimentare. Ed è proprio sulla mancata previsione dell’assegno di mantenimento, già negato dalla stessa Corte nel 2022 e nel 2023 ad alcuni lavoratori dipendenti sospesi, che è incentrato il suo ricorso. La legge stabilisce che un dipendente sottoposto a procedimento giudiziario e sospeso cautelativamente dal servizio, anche se privato dello stipendio, durante il periodo di sospensione possa percepire un assegno alimentare, la cui misura è stabilita da disposizioni di legge o dai contratti nazionali. Elargito in alcuni casi anche a criminali incalliti, questo assegno - nel caso dei medici non vaccinati - non è stato riconosciuto dalla Corte costituzionale, che attraverso diverse sentenze (ad esempio la 15/2023) ha stabilito che la negazione degli emolumenti economici a chi non ha osservato l’obbligo vaccinale è «legittima e ragionevole». Anche nelle sentenze del 2022 la Consulta ha stabilito che è legittimo che sia negato l’assegno alimentare, sia al personale scolastico che a quello sanitario. Nel ricorso, il funzionario si è difeso sostenendo di lavorare in un ufficio occupato da pochi dipendenti debitamente distanziati; ha motivato le ragioni del rifiuto di sottoporsi a vaccinazione dichiarando di non voler assumere farmaci per non rischiare di avere come conseguenze «effetti indesiderati e anche gravi» (come quelli riconosciuti dalla stessa Aifa); ha quindi sottolineato che la sospensione dal servizio, stabilita per la categoria professionale cui apparteneva, era di fatto discriminatoria rispetto ad altre categorie per le quali non era stato imposto l’obbligo vaccinale. Inoltre, ha messo l’accento sul fatto che avrebbe potuto essere adibito a mansioni differenti. Ha infine osservato la differenza tra obbligo e coercizione: «Non appare implausibile ritenere che le disposizioni in esame finiscano di fatto per trasmodare in una sorta di coercizione indiretta all’adempimento dell’obbligo - si legge nell’ordinanza - ponendo il lavoratore renitente di fronte all’alternativa di doversi suo malgrado sottoporre alla vaccinazione da egli avversata oppure subire uno stato di prolungata indigenza». O ti vaccini contro il covid o muori di fame, insomma. Non a caso, nell’ordinanza è citato l’art.32 comma 2 della Costituzione che dispone che, anche nei casi di trattamento obbligatori disposti per legge, quest’ultima «non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». E’ abbastanza verosimile che anche nel caso di P.D. la Corte Costituzionale, per non smentire se stessa, vada a trarre le stesse conclusioni e respinga il ricorso. Sarà tuttavia interessante verificare se ancora oggi la Consulta continui a sostenere che il legislatore si è adeguato alle «conoscenze scientifiche del momento»: come noto, già allora le evidenze smentivano che il vaccino anti covid impedisse il contagio.
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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