2022-11-02
I nuovi Masaniello sfidano la Meloni: «Sui dottori no vax non si cambia»
Michele Emiliano si appella a una legge pugliese per continuare a isolare i renitenti. Vincenzo De Luca gli fa da spalla e attacca l’esecutivo: «Irresponsabile». Eppure i governatori che invocano le mani libere sono nemici dell’autonomia.«Oggi comando io». Era un gioco da bambini, età media 12 anni, altrimenti noto come Nerone. Consisteva nel battezzare uno del gruppo che nelle due ore successive, impugnando uno scettro di legno intagliato, imponeva ai coetanei sudditi i suoi desiderata. Il governatore della Puglia, Michele Emiliano, lo pratica anche da adulto con commovente entusiasmo. Ieri, appena venuto a conoscenza della decisione del Consiglio dei ministri di togliere l’obbligo vaccinale anti Covid per medici e operatori sanitari negli ospedali, ha fatto sapere che «nel rispetto di una legge regionale, qui non cambierà nulla». Secondo lui la sua bolla protocollata varrebbe più di un provvedimento dello Stato.Depresso per l’esito delle elezioni colabrodo nonostante i proclami («Saremo la Stalingrado d’Italia, da qui non passeranno»), il gran visir di Bari tenta di «far sputare sangue» al centrodestra in altro modo. Così ha specificato essere in vigore una norma del 2021 che garantisce «l’obbligo di tutti i sanitari alla vaccinazione, non solo per il Covid ma anche per l’influenza. Nessuno è stato cacciato via ma i non vaccinati, irresponsabili, non sono a contatto con i pazienti e non torneranno in contatto con loro». Sono gli effetti del passaggio in Puglia di una delle prime virostar politicizzate, l’ex assessore regionale alla Sanità, Pierluigi Lopalco, peraltro allontanatosi sbattendo la porta per dissapori proprio con il governatore muscolare. La legge esiste, l’ha proposta e firmata il colonnello piddino locale Fabiano Amati, ma fin dalla sua nascita era stata contestata dall’opposizione perché in contrasto con norme nazionali, le uniche ad avere valore in ambito sanitario. Allora il gruppo regionale di Fratelli d’Italia in una nota aveva definito «farlocco» il provvedimento. «Questo centrosinistra continua a prendere in giro i pugliesi perché fa credere che si renda obbligatoria la vaccinazione anti Covid agli operatori sanitari ma di fatto non è così. Quando si parla di obbligo vaccinale si intende un obbligo che può essere stabilito solo dallo Stato». Poi Mario Draghi lo impose con il green pass e ora Giorgia Meloni lo toglie anche in Puglia senza dover chiedere il permesso a Emiliano, che vedrà il suo provvedimento impugnato con ottime possibilità di trasformarsi in barchetta di carta. A fare da sponda al presidente regionale non poteva che essere un altro bohémien del diritto, il collega partenopeo Vincenzo De Luca, scattato come un velocista allo sparo dello starter nell’opporsi alla decisione del Consiglio dei ministri. Secondo lui l’abolizione dell’obbligo vaccinale per i medici è «gravissima e irresponsabile. Un’offesa alla stragrande maggioranza dei sanitari e ai pazienti». Gli stessi che da anni sono costretti a lavorare e a farsi curare nell’ospedale Cardarelli di Napoli in emergenza continua (con video da brivido, che hanno fatto il giro del mondo), malgestito da anni dallo Sceriffo con il lanciafiamme. Le prese di posizione a senso unico dei due governatori di sinistra avvalorano la tesi del premier Meloni, impegnato a ribadire che «non ci sarà un approccio ideologico sulla pandemia. Quello che contesto della gestione precedente è che ci sono stati un’infinità di provvedimenti presi dai governi, che non avevano alla base alcuna evidenza scientifica. L’obbligo vaccinale è scaduto lo scorso giugno e sopravviveva fino a dicembre per gli operatori sanitari. Noi abbiamo deciso di anticiparne la fine al primo novembre anche per recuperare 4.000 persone ora ferme in un sistema sotto organico».La levata di scudi di Emiliano e De Luca in chiave «decisionismo regionale» mostra un paradosso: ciò che è fondamentale per la sanità locale contro i medici non vaccinati, è da rigettare per l’autonomia sanitaria delle Regioni. Su quest’ultimo argomento il localismo non piace. Pochi giorni fa l’eccentrica coppia ha stretto un patto di ferro per bocciare l’Autonomia differenziata chiesta da numerose Regioni (Lombardia, Veneto, Piemonte ma anche Emilia Romagna e Toscana) in base all’articolo 16 della Costituzione per la gestione in proprio dei fondi in alcuni settori, per esempio (guardacaso) la sanità. Il tema è delicato e controverso, gli ultimi governi hanno pensato di affidarlo a ministri «contro gli Affari regionali», come il campione del mondo del Conte bis, Francesco Boccia. Ora Roberto Calderoli vorrebbe portare in Parlamento il dossier entro il 2023, ma Emiliano e De Luca si apprestano a fare le barricate per non dover correre il rischio di efficientare sistemi sanitari colabrodo senza i miliardi a pioggia garantiti dall’assistenzialismo statale. In questo caso «le Regioni non devono fare da sole». E pur di far saltare il progetto sono pronti a coinvolgere il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, «uomo del Sud». In questo caso le leggi regionali, sacre quando fanno comodo, non valgono niente. Conta lo Stato. Proprio come in Nerone, gioco under 12, scettro di legno, parola d’ordine «comando io».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)