2023-06-18
Marco Martella: «Dai miei giardini guardo il mondo col giusto distacco»
Parla il giardiniere filosofo: «È importante saper creare una nuova realtà, un microcosmo in cui invitare il visitatore».Marco Martella (1962, Roma) è un giardiniere e un apprezzato autore. Vive in Francia ed è pubblicato in Italia e tradotto in diverse lingue. Nel 2010 fonda la rivista Jardins che dirige tutt’ora, due anni più tardi cura E il giardino creò l’uomo, un caso editoriale che riproponeva un curioso testo edito cento anni prima senza nessuna fortuna dal giardiniere-filosofo Jorn de Précy, per diversi lettori un alias dello stesso Martella. Successivamente ha iniziato a collaborare col mensile Gardenia ed è entrato a far parte dell’Istituto europeo dei giardini e dei paesaggi. Ha scritto altri libri: Giardini in tempo di guerra, Tornare al giardino, Un piccolo mondo, un mondo perfetto. Da poche settimane è fiorito nelle librerie Conversazioni sull’erba (Libreria della Natura), illustrazioni di Marianna Merisi.Marco Martella, appassionatissimo giardiniere e autore fantasioso. A quale di queste due vite sente di appartenere di più?«Difficile scegliere. Anche perché in certi momenti mi pare che la scrittura e il giardinaggio siano quasi la stessa cosa. In entrambi i casi si tratta di creare una nuova realtà, un microcosmo, un piccolo mondo in cui invitare il lettore-visitatore. Da là (dal giardino e dal libro) si guarda il mondo che ci sta intorno in modo diverso, più tranquillo, più contemplativo, con il distacco necessario. Se scrivo è grazie al giardino. È nel giardino che ho trovato la linfa, ancora più che l’ispirazione, necessaria per giungere a una scrittura che non fosse astratta, puramente letteraria. Spero sempre che chi legge i miei libri ci si senta ben accolto, in uno spazio protetto. Di fatto il mio modo di pensare il giardinaggio è spesso legato ai libri, agli autori che negli anni mi hanno guidato, quanto alla botanica o all’orticultura. Nello stesso modo, nei miei libri il giardino è spesso presente. Anche perché parlare di giardini permette di parlare di tutto: della vita e della morte, del desiderio, della paura, della politica e della storia…».Il suo ultimo libro si intitola Conversazioni sull’erba. Uno degli spunti è la sua amicizia con Pia Pera, nota autrice scomparsa prematuramente. Seguendo per così dire lo spirito di Pia, lei ha imbastito un diario fatto di intuizioni, citazioni e ricordi, di visite a giardini e di notazioni ad esempio partendo dal bosco, o da un animale, da una pianta o da Derek Jarman, compianto regista visionario del cinema britannico e giardiniere di suo. Ci parli un po’ del tempo che ha dedicato a queste pagine, come sono nate, quando, in che arco di tempo, cosa ha scelto e cosa si è lasciato indietro.«Nel 2016, quando Pia si è sentita troppo stanca per continuare a scrivere l’editoriale dell’ultima pagina di Gardenia ha proposta alla rivista di affidarla a me. Ci conoscevamo da alcuni anni. La nostra era un’amicizia basata su un sentire comune, su un’attenzione ad aspetti del giardino che spesso sono trascurati, in particolare alle sue dimensioni poetiche o spirituali. Lei cita Jarman. È stato un momento importante della mia amicizia con Pia. Era già malata. Pensava di scrivere un libro sulla morte e il giardino. È stato allora che le ho parlato del giardino che Jarman ha iniziato a fare, alla fine degli anni ’80, quando ha saputo che aveva pochi anni da vivere. Per lei è stata un’ispirazione importante e, credo, un aiuto ad accettare l’idea della morte, da giardiniera, grazie all’aiuto delle piante del giardino a cui aveva dedicato così tanta cura negli ultimi decenni della sua vita. Quello che dal 2016 cerco di condividere con i lettori di Gardenia è questo rapporto profondo, esistenziale con il giardino. E quando Valentina Romano, della Libreria della Natura, mi ha proposto di riunire una parte dei miei editoriali in un volume ho accettato senza esitare. Mi è parso il modo migliore per continuare queste conversazioni con i giardinieri. Il giardino è il luogo più favorevole allo scambio di idee e di esperienze. Come il libro del resto».Quali sono i suoi riferimenti ideali? Filosofi, giardinieri, artisti, liberi pensatori, giardinieri, architetti…?«Sono tanti: dai poeti romantici inglesi che leggevo da ragazzo (Keats, Shelley…) agli scrittori che ho scoperto poi. Tutti mi hanno accompagnato a modo loro e restano come presenze, fraterne e tutelari. Ma ci sono anche i paesaggisti e i filosofi del paesaggio da Gertrude Jekyll al nostro Rosario Assunto, che mi hanno insegnato a guardare al giardino con occhi diversi: come un’opera d’arte, come luogo di vita, come spazio della poesia a cui l’uomo è da sempre legato.»Dal 2010 dirige la rivista Jardins: che testi abbraccia, come sceglie i collaboratori, come la si può acquistare?«È una rivista annuale e tematica. Gli autori sono diversissimi: paesaggisti, scrittori, artisti, storici dell’arte, botanici. Ho avuto la fortuna di pubblicare tesi di grandi paesaggisti come Gilles Clément o Fernando Caruncho, di artisti come Giuseppe Penone, di personalità come Franco Maria Ricci e ovviamente di Pia Pera. Essendo in francese, lingua abbastanza diffusa, ho molti lettori in diversi Paesi europei, tra cui il nostro, e la si può acquistare on line sul sito della piccola casa editrice che la pubblica (https://lespommessauvages.fr). È un altro modo per continuare ad esplorare la dimensione poetica e filosofica del paesaggio.»Un sogno che ancora non ha realizzato ma vorrebbe: quale?«Ho pubblicato di recente, in Francia, un libro con un fotografo, Louis Gaillard, su uno dei più bei giardini che conosca, il Bois des Moutiers, in Normandia. Ora sogno di collaborare con un musicista, ovviamente su un soggetto legato al giardino. Da sempre i rapporti tra musica e giardino, queste due arti che sembrano così diverse e che in realtà hanno tanti punti in comune, mi affascinano, ho dedicato a questo tema alcune pagine contenute in Conversazioni sull’erba e l’ultimo numero di Jardins. Mi piacerebbe scrivere qualcosa con un compositore sensibile al giardino o alla natura.»