True
2019-05-31
Manuale di istruzioni per capire la faida
Ansa
La nomina del procuratore di Roma assomiglia sempre di più al romanzo di Agatha Christie Dieci piccoli indiani. Qui gli indiani sono tre, e due sono già a rischio eliminazione a causa di indagini giudiziarie entrate nel vivo in piena competizione. Giovedì scorso il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, di Magistratura indipendente, aveva incassato 4 preferenze su 6 nella quinta commissione, una votazione propedeutica al plenum di metà giugno. I suoi concorrenti, Giuseppe Creazzo (Unicost) e Franco Lo Voi (Mi), si erano fermati a un voto a testa. Sembrava tutto fatto, anche perché le ambizioni di Creazzo erano state azzoppate dalle notizie uscite sui giornali, con singolare sincronismo, su un esposto presentato a Genova da un pm della Procura di Firenze. Ma se le quotazioni di Creazzo sono in picchiata, anche quelle del favorito Viola sembrano in discesa, per un'inchiesta che non lo riguarda direttamente ma coinvolge un suo probabile grande elettore, l'esponente di Unicost Luca Palamara. Secondo le indiscrezioni, prima di essere perquisito stava tessendo la sua tela a favore del pg toscano. In cambio di cosa? Sembra del sostegno nella sua corsa a procuratore aggiunto. Palamara è considerato un «politico» capace di spostare voti e sostenere candidature di toghe di altre correnti. A lui, a quanto pare, si rivolgeva anche l'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone (in pensione dall'8 maggio) per trovare i voti per gli aggiunti di suo gradimento. Tutti bussavano da Palamara, anche se si trattava di organizzare tornei di calcetto.
Purtroppo per lui lo ha fatto anche il pm Stefano Fava, calabrese come Palamara, iscritto da oltre 20 anni a Magistratura democratica. Il 16 maggio è andato a chiedere una mano per sensibilizzare i consiglieri del Csm su un esposto che aveva presentato contro Pignatone e Ielo, i suoi superiori, da lui accusati di non essersi astenuti in un procedimento riguardante il faccendiere Piero Amara (presunto corruttore dello stesso Palamara) e l'Eni. Mentre Fava perorava la sua causa nell'ufficio del collega un trojan nel cellulare di quest'ultimo, inoculato dalla Procura di Perugia, registrava.
Fava e Palamara, così diversi, in quel momento avevano un comune obiettivo: affondare Lo Voi e i suoi sponsor. Palamara aveva l'ambizione di essere la pedina decisiva nella scelta del nuovo procuratore (e quindi di far eleggere Viola), Fava voleva fare male all'accoppiata Pignatone-Ielo (e al «loro» Lo Voi): i due gli avevano tolto il fascicolo su Amara e non gli avevano concesso di arrestare per la seconda volta il faccendiere con l'accusa di autoriciclaggio. Per l'accusa, quando Palamara aveva scoperto di essere indagato per i suoi rapporti con la cricca di Amara, Fava gli avrebbe consegnato gli atti (non più coperti da segreto) del procedimento. Ma, secondo gli inquirenti, gli avrebbe anche spifferato qualche primizia su un'informativa che non era passata dalle sue mani. Però l'argomento che deve aver acceso la fantasia degli inquirenti umbri è un altro. A un certo punto Fava ha iniziato a parlare del suo esposto e degli allegati che dimostravano che il fratello di Pignatone avrebbe ricevuto da Amara una consulenza. Fava pensava di aver in mano un poker, in realtà lo stava servendo ai suoi nemici. A tempo di record, i magistrati di Perugia hanno confezionato un avviso di garanzia che, di fatto, mandava all'aria il piano di Fava. Gli hanno contestato non la diffamazione o la calunnia, ma il favoreggiamento: hanno scelto di accusarlo di aver aiutato Palamara a sottrarsi alle indagini a suo carico ordinate a Perugia. E come avrebbe fatto Fava a realizzare il suo presunto disegno criminoso? Chiedendo al collega di diffondere gli allegati «asseritamente comprovanti comportamenti non consoni del procuratore di Roma e di un procuratore aggiunto anche in relazione alla conduzione e gestione» del procedimento Amara «in relazione a profili di mancata astensione dei predetti procuratori». Difficile trovare il nesso logico. Propalare notizie più o meno false sui magistrati romani al massimo poteva danneggiare il loro candidato Lo Voi e non certo aiutare Palamara a eludere le investigazioni. Però il capo d'imputazione ha l'effetto di screditare Fava e togliere forza al suo atto d'accusa, che pendeva su Pignatone e Ielo, e indirettamente sul candidato Lo Voi. E assolve preventivamente l'ex procuratore e il suo aggiunto, laddove è scritto che le «circostanze» segnalate da Fava «allo stato» sono «smentite dalla documentazione sin qui acquisita». Insomma l'avviso di garanzia disinnesca quasi completamente l'esposto che aveva portato all'apertura di una pratica davanti al Csm e rende incerta la prosecuzione del procedimento. Non è neppure detto che il 2 luglio il pm venga sentito per raccontare alla prima commissione la sua versione dei fatti. Fava dovrà, invece, andare, il 4 giugno, a rispondere alle domande dei pm di Perugia che gli chiederanno perché abbia consegnato i suoi allegati a Palamara. Se il sostituto procuratore risponderà che cercava sponde dentro il Csm contro i suoi avversari renderà meno limpida la sua battaglia (mortificata dall'avviso di garanzia).
Tra gli allegati consegnati da Fava c'è anche la lettera di risposta di Pignatone all'accusa di avere rapporti con uno degli indagati, il lobbista Fabrizio Centofanti. L'ex procuratore il 19 marzo scorso, sui suoi vecchi rapporti con Centofanti scriveva: «Ho partecipato a un'unica cena con il Centofanti e il generale Minervini della Guardia di finanza e altre persone. Non sono stato invitato al matrimonio di Centofanti Andrea (fratello di Fabrizio, ndr), non ho segnalato il Centofanti Andrea ufficiale della Guardia di finanza in servizio a Milano per il trasferimento al Nucleo di pg di Genova, ma mi limitai su pressante richiesta del fratello a informarmi se il predetto poteva restare in Lombardia per una difficile situazione famigliare. Chiesi notizie al generale Capolupo, mio buon amico, che senza darmi particolari mi disse che la situazione era complessa e diversa da quella prospettatami, per cui era difficile l'aspirazione dell'ufficiale potesse essere soddisfatta. Mi limitai a riferire la risposta al dottor Fabrizio Centofanti e in effetti il fratello fu poi trasferito a Genova, sede a lui non gradita». Insomma, l'uomo che avrebbe corrotto Palamara, poteva permettersi di fare «pressanti richieste» sul procuratore.
Chi ha parlato ieri con Fava lo ha trovato sconfortato: «Sono stato imprudente, ne pago le conseguenze». Ma, pur ammettendo di aver sbagliato, sospetta di essere finito in una trappola. Anche perché la Procura di Perugia, anziché alla propria polizia giudiziaria, ha affidato le indagini a uno degli investigatori più fedeli a Pignatone, l'ex comandante del Gico di Roma. Il colonnello sta partecipando a un corso interforze, ma è rimasto alla guida di una sezione del suo vecchio gruppo, i cui uomini rispondono ancora solo a lui, per seguire la delicata indagine. Un caso più unico che raro.
Perquisito Palamara: «Per pilotare una nomina accettò 40.000 euro»
È la Procura di Perugia l'epicentro del terremoto che fa ondeggiare i Palazzi del potere giudiziario di Roma. Gli inquirenti umbri ieri hanno perquisito l'abitazione e l'ufficio del pm Luca Palamara, indagato per corruzione. Una mossa che consente il disvelamento di una parte dell'attività investigativa che da mesi sta scavando sui rapporti tra il magistrato, ex presidente dell'Anm e già consigliere del Csm, e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, condannati nel processo romano sulle sentenze pilotate al Consiglio di Stato.
Con Palamara, Amara e Calafiore è indagato a Perugia sempre per corruzione anche l'imprenditore Fabrizio Centofanti, che sarebbe stato il trait d'union tra loro. I pm umbri fanno riferimento a «utilità percepite nel corso degli anni» da Palamara e dai suoi familiari e conoscenti ad opera di Centofanti, e citano un anello del valore di 2.000 euro, che sarebbe stato regalato a un'amica del magistrato, Adele Attisani (online, una sua omonima, amica su Facebook di una Palamara, tiene corsi per rassodare i muscoli), e a viaggi a San Casciano dei Bagni, a Madonna di Campiglio, a Favignana e a Dubai. «Donativi» che per «numero» e «valore» non possono essere giustificati da un «mero rapporto» di frequentazione. Secondo gli inquirenti, la presunta corruzione aveva un duplice fine. Da un lato «fare in modo che Palamara mettesse a disposizione […] la sua funzione di membro del Csm, favorendo nomine di capi degli uffici cui erano interessati Amara e Calafiore», tant'è che nel decreto si ipotizza che Palamara avrebbe ricevuto dai due, «con Giancarlo Longo», 40.000 euro per «agevolare e favorire il medesimo Longo» per la nomina a procuratore di Gela (non andata in porto, afferma Longo, sentito a verbale a Messina, per l'intervento diretto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella). E dall'altro «danneggiare Marco Bisogni», sostituto procuratore di Siracusa già bersagliato da esposti a Catania a firma proprio di Amara e Calafiore, il primo indagato da Bisogni, il secondo suo difensore. Il pm siciliano era stato coinvolto in un procedimento disciplinare su cui lo stesso Palamara si era espresso in qualità di componente della sezione che ne aveva chiesto l'incolpazione coatta rigettando la richiesta di archiviazione (Bisogni sarà assolto definitivamente il 29 gennaio 2018).
L'inchiesta per corruzione ha portato alla gemmazione giudiziaria di un secondo filone che vede indagati, con l'accusa di rivelazione di segreto e favoreggiamento, un collega di Palamara, il pm Stefano Fava, e il consigliere del Csm Luigi Spina. Quest'ultimo avrebbe rivelato a Palamara il procedimento a suo carico a Perugia e l'arrivo a Palazzo dei Marescialli di un esposto firmato da Fava contro l'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l'aggiunto Paolo Ielo.
Agli atti anche intercettazioni ambientali, ottenute attraverso un virus trojan installato nello smartphone di Palamara, in cui il pm definisce Spina il suo «angelo custode» e Fava «il mio amico storico». Spina, a sua volta, sostiene Palamara assicurandogli: «C'avrai la tua rivincita perché si vedrà che chi ti sta fottendo [...] forse sarà lui a doversi difendere a Perugia». Secondo i pm umbri, questo dimostrerebbe che Palamara voleva usare l'esposto di Fava per «recare discredito al procuratore aggiunto Ielo», individuato come l'origine dei suoi problemi giudiziari, utilizzando anche notizie raccolte dal commercialista Andrea Giorgio, già consulente della Procura di Roma. Fonti giudiziarie hanno confermato alla Verità però che l'invio della comunicazione di indagine a carico di Palamara al Csm implica che quella notizia non sia più riservata, anche in caso di segretazione amministrativa da parte del Consiglio superiore; e quindi ora la battaglia in sede processuale si sposterà sui tempi delle presunte rivelazioni.
Come detto, anche Fava è sotto inchiesta perché, «rispondendo alle sue plurime e incalzanti sollecitazioni», avrebbe rivelato a Palamara «come gli inquirenti fossero giunti a lui» in particolare svelando «che gli accertamenti erano partiti dalle carte di credito» di Centofanti e si erano estesi «alle verifiche dei pernottamenti negli alberghi». E perché avrebbe consegnato a Palamara «alcuni atti e documenti allo stato non identificati» e «alcuni atti già allegati all'esposto inoltrato al Csm». Esposto da lui firmato per presunti «comportamenti non consoni del procuratore di Roma», Pignatone, e del «procuratore aggiunto» Paolo Ielo riguardo alla mancata astensione dei due dal procedimento Amara, istruito da Fava e successivamente revocatogli da Pignatone, in cui emergeva il coinvolgimento professionale dei fratelli dei due alti magistrati della Capitale.
Chi ha avuto modo di incontrare Fava l'ha trovato desideroso di chiarire le accuse a suo carico (l'interrogatorio è fissato il 4 giugno) soprattutto in relazione alla rivelazione di segreto a favore di Palamara in quanto, è il ragionamento di chi ha parlato col sostituto, nel momento dell'intercettazione ambientale (maggio 2019) le carte giudiziarie su Centofanti non erano più riservate essendo sopraggiunti l'avviso di conclusione delle indagini e, con esso, la possibilità per i difensori di avere accesso all'intero procedimento fin dal luglio 2018. Anche sulla pista delle «carte di credito», Fava è pronto a dimostrare che l'informativa che ne tratta era stata nella esclusiva disponibilità dell'aggiunto Ielo e che lui non aveva avuto possibilità di leggerla. Nelle intercettazioni citate nel decreto anche una «casuale» tra Palamara e Spina (entrambi calabresi come Fava) con due parlamentari. Se davvero, come pare, Palamara è stato pedinato e intercettato per tre mesi, è probabile che l'inchiesta di Perugia riserverà ancora tante sorprese.
Centofanti, il lobbista vicino al Pd accusato di aver pagato il giudice
Al centro della guerra tra toghe che scuote la Procura di Roma e non solo c'è un funambolico imprenditore lobbista quarantasettenne che, secondo gli inquirenti, tramite le sue relazioni pensava di poter godere di un salvacondotto con i magistrati. Nel giro di pochi mesi, però, da portatore di interessi si è trasformato nel perno attorno al quale ruota la guerra per la successione dell'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. Da quando gli investigatori l'hanno agganciato si è tirato dietro tanti pezzi da novanta: Fabrizio Centofanti, arrestato nel 2018 per essere scivolato su reati fiscali, è nelle inchieste sugli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, sia quella di Messina sia quella di Roma, ed è l'uomo tramite il quale gli investigatori sono arrivati a Maurizio Venafro, ex capo di gabinetto di Nicola Zingaretti, e allo stesso segretario del Partito democratico, iscritto sul registro degli indagati per finanziamento illecito.
E ora Centofanti è anche indagato nell'indagine che chiama in causa il pm di Roma Luca Palamara. D'altra parte, il suo profilo lo aveva tracciato per la prima volta proprio l'ex amico Calafiore. Ed è racchiuso in poche parole raccolte in un verbale dell'inchiesta di Messina: «Centofanti a Roma è dotato di un circuito relazionale di estrema importanza: magistrati, politici, appartenenti al Csm». La perquisizione nella sua abitazione, un annetto fa, avrebbe fatto tremare più di una toga. Lui, però, si sarebbe sentito protetto.
È illuminante un altro passaggio del verbale di Calafiore: «Era certo di non essere arrestato perché riteneva di essere al sicuro in ragione di erogazioni che aveva fatto per favorire l'attività politica di Zingaretti». La prova delle erogazioni non è stata trovata, ma le relazioni con quel mondo c'erano. A un pranzo organizzato da Centofanti per il suo compleanno da Chiochiò ad Artena, in Ciociaria, una fonte della Verità ricorda di aver visto, oltre a Venafro, due magistrati della Corte dei conti e altre toghe.
Da quando anche Amara gli ha attribuito un ruolo chiave, è stato ricostruito il filone siciliano sulle sentenze pilotate al Consiglio di Stato. Nessuno però immaginava che Centofanti, Amara e Calafiore potessero avere relazioni al Csm. Nell'inchiesta di Perugia, ad esempio, i tre sono accusati di aver «corrisposto varie e reiterate utilità a Palamara, all'epoca consigliere del Csm, consistenti in viaggi e vacanze». La Guardia di finanza quelle vacanze le ha anche ricostruite, grazie ai pernottamenti all'hotel Fonteverde di San Casciano dei Bagni e all'hotel Campiglio Bellavista a Madonna di Campiglio. E, infine, c'è traccia di un viaggio a Dubai. Dal cilindro è saltato fuori anche «un anello non meglio individuato del valore di 2.000 euro in favore dell'amica Adele Attisani».
Ma perché Centofanti & company avrebbero avuto bisogno di entrature al Csm? Secondo l'accusa avevano puntato Marco Bisogni, sostituto procuratore di Siracusa (in precedenza già oggetto di reiterati esposti depositati in Procura generale a Catania a firma di Amara e Calafiore, il primo indagato da Bisogni, il secondo suo difensore). Il procedimento disciplinare a carico di Bisogni era gestito dalla sezione di Palamara. La richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura generale fu rigettata e fu disposta l'incolpazione coatta. Insomma, i pm perugini ritengono che lo scambio di utilità ci sia stato.
La capacità di penetrazione di Centofanti, secondo i magistrati, sarebbe arrivata davvero in alto. Quando ancora suo fratello Andrea era un ufficiale delle Fiamme gialle, per tentare di toglierlo dai guai in cui si era cacciato per aver cercato di ricattare un notaio, il lobbista è riuscito a cenare addirittura con Pignatone. Il procuratore romano, che sapeva trattarsi di un trasferimento per questione familiare, interessò un alto ufficiale. Senza ottenere particolari, poi, scoprì che la situazione era complessa e diversa da quella prospettatagli, per cui era difficile che l'aspirazione del fratello di Centofanti potesse essere soddisfatta. Ma la cena c'è stata. Una tra le tante.
Continua a leggereRiduci
Riparte da zero la corsa per il procuratore di Roma. Le indagini sembrano aver azzoppato due pretendenti: Giuseppe Creazzo (Unicost) e Marcello Viola (MI). Ora potrebbe essere favorito Franco Lo Voi. Ma nell'inchiesta di Perugia qualcosa non torna. Perquisito Luca Palamara. «Per pilotare una nomina accettò 40.000 euro». Il tentativo sarebbe stato bloccato dall'intervento di Sergio Mattarella. Avvisi di garanzia al pm Stefano Fava e a Luigi Spina, membro del Csm. Fabrizio Centofanti, il lobbista vicino al Pd accusato di aver pagato il giudice. L'uomo era già coinvolto nell'indagine su Piero Amara e Giuseppe Calafiore per processi truccati. Lo speciale comprende tre articoli. La nomina del procuratore di Roma assomiglia sempre di più al romanzo di Agatha Christie Dieci piccoli indiani. Qui gli indiani sono tre, e due sono già a rischio eliminazione a causa di indagini giudiziarie entrate nel vivo in piena competizione. Giovedì scorso il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, di Magistratura indipendente, aveva incassato 4 preferenze su 6 nella quinta commissione, una votazione propedeutica al plenum di metà giugno. I suoi concorrenti, Giuseppe Creazzo (Unicost) e Franco Lo Voi (Mi), si erano fermati a un voto a testa. Sembrava tutto fatto, anche perché le ambizioni di Creazzo erano state azzoppate dalle notizie uscite sui giornali, con singolare sincronismo, su un esposto presentato a Genova da un pm della Procura di Firenze. Ma se le quotazioni di Creazzo sono in picchiata, anche quelle del favorito Viola sembrano in discesa, per un'inchiesta che non lo riguarda direttamente ma coinvolge un suo probabile grande elettore, l'esponente di Unicost Luca Palamara. Secondo le indiscrezioni, prima di essere perquisito stava tessendo la sua tela a favore del pg toscano. In cambio di cosa? Sembra del sostegno nella sua corsa a procuratore aggiunto. Palamara è considerato un «politico» capace di spostare voti e sostenere candidature di toghe di altre correnti. A lui, a quanto pare, si rivolgeva anche l'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone (in pensione dall'8 maggio) per trovare i voti per gli aggiunti di suo gradimento. Tutti bussavano da Palamara, anche se si trattava di organizzare tornei di calcetto. Purtroppo per lui lo ha fatto anche il pm Stefano Fava, calabrese come Palamara, iscritto da oltre 20 anni a Magistratura democratica. Il 16 maggio è andato a chiedere una mano per sensibilizzare i consiglieri del Csm su un esposto che aveva presentato contro Pignatone e Ielo, i suoi superiori, da lui accusati di non essersi astenuti in un procedimento riguardante il faccendiere Piero Amara (presunto corruttore dello stesso Palamara) e l'Eni. Mentre Fava perorava la sua causa nell'ufficio del collega un trojan nel cellulare di quest'ultimo, inoculato dalla Procura di Perugia, registrava. Fava e Palamara, così diversi, in quel momento avevano un comune obiettivo: affondare Lo Voi e i suoi sponsor. Palamara aveva l'ambizione di essere la pedina decisiva nella scelta del nuovo procuratore (e quindi di far eleggere Viola), Fava voleva fare male all'accoppiata Pignatone-Ielo (e al «loro» Lo Voi): i due gli avevano tolto il fascicolo su Amara e non gli avevano concesso di arrestare per la seconda volta il faccendiere con l'accusa di autoriciclaggio. Per l'accusa, quando Palamara aveva scoperto di essere indagato per i suoi rapporti con la cricca di Amara, Fava gli avrebbe consegnato gli atti (non più coperti da segreto) del procedimento. Ma, secondo gli inquirenti, gli avrebbe anche spifferato qualche primizia su un'informativa che non era passata dalle sue mani. Però l'argomento che deve aver acceso la fantasia degli inquirenti umbri è un altro. A un certo punto Fava ha iniziato a parlare del suo esposto e degli allegati che dimostravano che il fratello di Pignatone avrebbe ricevuto da Amara una consulenza. Fava pensava di aver in mano un poker, in realtà lo stava servendo ai suoi nemici. A tempo di record, i magistrati di Perugia hanno confezionato un avviso di garanzia che, di fatto, mandava all'aria il piano di Fava. Gli hanno contestato non la diffamazione o la calunnia, ma il favoreggiamento: hanno scelto di accusarlo di aver aiutato Palamara a sottrarsi alle indagini a suo carico ordinate a Perugia. E come avrebbe fatto Fava a realizzare il suo presunto disegno criminoso? Chiedendo al collega di diffondere gli allegati «asseritamente comprovanti comportamenti non consoni del procuratore di Roma e di un procuratore aggiunto anche in relazione alla conduzione e gestione» del procedimento Amara «in relazione a profili di mancata astensione dei predetti procuratori». Difficile trovare il nesso logico. Propalare notizie più o meno false sui magistrati romani al massimo poteva danneggiare il loro candidato Lo Voi e non certo aiutare Palamara a eludere le investigazioni. Però il capo d'imputazione ha l'effetto di screditare Fava e togliere forza al suo atto d'accusa, che pendeva su Pignatone e Ielo, e indirettamente sul candidato Lo Voi. E assolve preventivamente l'ex procuratore e il suo aggiunto, laddove è scritto che le «circostanze» segnalate da Fava «allo stato» sono «smentite dalla documentazione sin qui acquisita». Insomma l'avviso di garanzia disinnesca quasi completamente l'esposto che aveva portato all'apertura di una pratica davanti al Csm e rende incerta la prosecuzione del procedimento. Non è neppure detto che il 2 luglio il pm venga sentito per raccontare alla prima commissione la sua versione dei fatti. Fava dovrà, invece, andare, il 4 giugno, a rispondere alle domande dei pm di Perugia che gli chiederanno perché abbia consegnato i suoi allegati a Palamara. Se il sostituto procuratore risponderà che cercava sponde dentro il Csm contro i suoi avversari renderà meno limpida la sua battaglia (mortificata dall'avviso di garanzia). Tra gli allegati consegnati da Fava c'è anche la lettera di risposta di Pignatone all'accusa di avere rapporti con uno degli indagati, il lobbista Fabrizio Centofanti. L'ex procuratore il 19 marzo scorso, sui suoi vecchi rapporti con Centofanti scriveva: «Ho partecipato a un'unica cena con il Centofanti e il generale Minervini della Guardia di finanza e altre persone. Non sono stato invitato al matrimonio di Centofanti Andrea (fratello di Fabrizio, ndr), non ho segnalato il Centofanti Andrea ufficiale della Guardia di finanza in servizio a Milano per il trasferimento al Nucleo di pg di Genova, ma mi limitai su pressante richiesta del fratello a informarmi se il predetto poteva restare in Lombardia per una difficile situazione famigliare. Chiesi notizie al generale Capolupo, mio buon amico, che senza darmi particolari mi disse che la situazione era complessa e diversa da quella prospettatami, per cui era difficile l'aspirazione dell'ufficiale potesse essere soddisfatta. Mi limitai a riferire la risposta al dottor Fabrizio Centofanti e in effetti il fratello fu poi trasferito a Genova, sede a lui non gradita». Insomma, l'uomo che avrebbe corrotto Palamara, poteva permettersi di fare «pressanti richieste» sul procuratore. Chi ha parlato ieri con Fava lo ha trovato sconfortato: «Sono stato imprudente, ne pago le conseguenze». Ma, pur ammettendo di aver sbagliato, sospetta di essere finito in una trappola. Anche perché la Procura di Perugia, anziché alla propria polizia giudiziaria, ha affidato le indagini a uno degli investigatori più fedeli a Pignatone, l'ex comandante del Gico di Roma. Il colonnello sta partecipando a un corso interforze, ma è rimasto alla guida di una sezione del suo vecchio gruppo, i cui uomini rispondono ancora solo a lui, per seguire la delicata indagine. Un caso più unico che raro. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/manuale-di-istruzioni-per-capire-la-faida-2638532962.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="perquisito-palamara-per-pilotare-una-nomina-accetto-40-000-euro" data-post-id="2638532962" data-published-at="1765393855" data-use-pagination="False"> Perquisito Palamara: «Per pilotare una nomina accettò 40.000 euro» È la Procura di Perugia l'epicentro del terremoto che fa ondeggiare i Palazzi del potere giudiziario di Roma. Gli inquirenti umbri ieri hanno perquisito l'abitazione e l'ufficio del pm Luca Palamara, indagato per corruzione. Una mossa che consente il disvelamento di una parte dell'attività investigativa che da mesi sta scavando sui rapporti tra il magistrato, ex presidente dell'Anm e già consigliere del Csm, e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, condannati nel processo romano sulle sentenze pilotate al Consiglio di Stato. Con Palamara, Amara e Calafiore è indagato a Perugia sempre per corruzione anche l'imprenditore Fabrizio Centofanti, che sarebbe stato il trait d'union tra loro. I pm umbri fanno riferimento a «utilità percepite nel corso degli anni» da Palamara e dai suoi familiari e conoscenti ad opera di Centofanti, e citano un anello del valore di 2.000 euro, che sarebbe stato regalato a un'amica del magistrato, Adele Attisani (online, una sua omonima, amica su Facebook di una Palamara, tiene corsi per rassodare i muscoli), e a viaggi a San Casciano dei Bagni, a Madonna di Campiglio, a Favignana e a Dubai. «Donativi» che per «numero» e «valore» non possono essere giustificati da un «mero rapporto» di frequentazione. Secondo gli inquirenti, la presunta corruzione aveva un duplice fine. Da un lato «fare in modo che Palamara mettesse a disposizione […] la sua funzione di membro del Csm, favorendo nomine di capi degli uffici cui erano interessati Amara e Calafiore», tant'è che nel decreto si ipotizza che Palamara avrebbe ricevuto dai due, «con Giancarlo Longo», 40.000 euro per «agevolare e favorire il medesimo Longo» per la nomina a procuratore di Gela (non andata in porto, afferma Longo, sentito a verbale a Messina, per l'intervento diretto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella). E dall'altro «danneggiare Marco Bisogni», sostituto procuratore di Siracusa già bersagliato da esposti a Catania a firma proprio di Amara e Calafiore, il primo indagato da Bisogni, il secondo suo difensore. Il pm siciliano era stato coinvolto in un procedimento disciplinare su cui lo stesso Palamara si era espresso in qualità di componente della sezione che ne aveva chiesto l'incolpazione coatta rigettando la richiesta di archiviazione (Bisogni sarà assolto definitivamente il 29 gennaio 2018). L'inchiesta per corruzione ha portato alla gemmazione giudiziaria di un secondo filone che vede indagati, con l'accusa di rivelazione di segreto e favoreggiamento, un collega di Palamara, il pm Stefano Fava, e il consigliere del Csm Luigi Spina. Quest'ultimo avrebbe rivelato a Palamara il procedimento a suo carico a Perugia e l'arrivo a Palazzo dei Marescialli di un esposto firmato da Fava contro l'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l'aggiunto Paolo Ielo. Agli atti anche intercettazioni ambientali, ottenute attraverso un virus trojan installato nello smartphone di Palamara, in cui il pm definisce Spina il suo «angelo custode» e Fava «il mio amico storico». Spina, a sua volta, sostiene Palamara assicurandogli: «C'avrai la tua rivincita perché si vedrà che chi ti sta fottendo [...] forse sarà lui a doversi difendere a Perugia». Secondo i pm umbri, questo dimostrerebbe che Palamara voleva usare l'esposto di Fava per «recare discredito al procuratore aggiunto Ielo», individuato come l'origine dei suoi problemi giudiziari, utilizzando anche notizie raccolte dal commercialista Andrea Giorgio, già consulente della Procura di Roma. Fonti giudiziarie hanno confermato alla Verità però che l'invio della comunicazione di indagine a carico di Palamara al Csm implica che quella notizia non sia più riservata, anche in caso di segretazione amministrativa da parte del Consiglio superiore; e quindi ora la battaglia in sede processuale si sposterà sui tempi delle presunte rivelazioni. Come detto, anche Fava è sotto inchiesta perché, «rispondendo alle sue plurime e incalzanti sollecitazioni», avrebbe rivelato a Palamara «come gli inquirenti fossero giunti a lui» in particolare svelando «che gli accertamenti erano partiti dalle carte di credito» di Centofanti e si erano estesi «alle verifiche dei pernottamenti negli alberghi». E perché avrebbe consegnato a Palamara «alcuni atti e documenti allo stato non identificati» e «alcuni atti già allegati all'esposto inoltrato al Csm». Esposto da lui firmato per presunti «comportamenti non consoni del procuratore di Roma», Pignatone, e del «procuratore aggiunto» Paolo Ielo riguardo alla mancata astensione dei due dal procedimento Amara, istruito da Fava e successivamente revocatogli da Pignatone, in cui emergeva il coinvolgimento professionale dei fratelli dei due alti magistrati della Capitale. Chi ha avuto modo di incontrare Fava l'ha trovato desideroso di chiarire le accuse a suo carico (l'interrogatorio è fissato il 4 giugno) soprattutto in relazione alla rivelazione di segreto a favore di Palamara in quanto, è il ragionamento di chi ha parlato col sostituto, nel momento dell'intercettazione ambientale (maggio 2019) le carte giudiziarie su Centofanti non erano più riservate essendo sopraggiunti l'avviso di conclusione delle indagini e, con esso, la possibilità per i difensori di avere accesso all'intero procedimento fin dal luglio 2018. Anche sulla pista delle «carte di credito», Fava è pronto a dimostrare che l'informativa che ne tratta era stata nella esclusiva disponibilità dell'aggiunto Ielo e che lui non aveva avuto possibilità di leggerla. Nelle intercettazioni citate nel decreto anche una «casuale» tra Palamara e Spina (entrambi calabresi come Fava) con due parlamentari. Se davvero, come pare, Palamara è stato pedinato e intercettato per tre mesi, è probabile che l'inchiesta di Perugia riserverà ancora tante sorprese. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/manuale-di-istruzioni-per-capire-la-faida-2638532962.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="centofanti-il-lobbista-vicino-al-pd-accusato-di-aver-pagato-il-giudice" data-post-id="2638532962" data-published-at="1765393855" data-use-pagination="False"> Centofanti, il lobbista vicino al Pd accusato di aver pagato il giudice Al centro della guerra tra toghe che scuote la Procura di Roma e non solo c'è un funambolico imprenditore lobbista quarantasettenne che, secondo gli inquirenti, tramite le sue relazioni pensava di poter godere di un salvacondotto con i magistrati. Nel giro di pochi mesi, però, da portatore di interessi si è trasformato nel perno attorno al quale ruota la guerra per la successione dell'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. Da quando gli investigatori l'hanno agganciato si è tirato dietro tanti pezzi da novanta: Fabrizio Centofanti, arrestato nel 2018 per essere scivolato su reati fiscali, è nelle inchieste sugli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, sia quella di Messina sia quella di Roma, ed è l'uomo tramite il quale gli investigatori sono arrivati a Maurizio Venafro, ex capo di gabinetto di Nicola Zingaretti, e allo stesso segretario del Partito democratico, iscritto sul registro degli indagati per finanziamento illecito. E ora Centofanti è anche indagato nell'indagine che chiama in causa il pm di Roma Luca Palamara. D'altra parte, il suo profilo lo aveva tracciato per la prima volta proprio l'ex amico Calafiore. Ed è racchiuso in poche parole raccolte in un verbale dell'inchiesta di Messina: «Centofanti a Roma è dotato di un circuito relazionale di estrema importanza: magistrati, politici, appartenenti al Csm». La perquisizione nella sua abitazione, un annetto fa, avrebbe fatto tremare più di una toga. Lui, però, si sarebbe sentito protetto. È illuminante un altro passaggio del verbale di Calafiore: «Era certo di non essere arrestato perché riteneva di essere al sicuro in ragione di erogazioni che aveva fatto per favorire l'attività politica di Zingaretti». La prova delle erogazioni non è stata trovata, ma le relazioni con quel mondo c'erano. A un pranzo organizzato da Centofanti per il suo compleanno da Chiochiò ad Artena, in Ciociaria, una fonte della Verità ricorda di aver visto, oltre a Venafro, due magistrati della Corte dei conti e altre toghe. Da quando anche Amara gli ha attribuito un ruolo chiave, è stato ricostruito il filone siciliano sulle sentenze pilotate al Consiglio di Stato. Nessuno però immaginava che Centofanti, Amara e Calafiore potessero avere relazioni al Csm. Nell'inchiesta di Perugia, ad esempio, i tre sono accusati di aver «corrisposto varie e reiterate utilità a Palamara, all'epoca consigliere del Csm, consistenti in viaggi e vacanze». La Guardia di finanza quelle vacanze le ha anche ricostruite, grazie ai pernottamenti all'hotel Fonteverde di San Casciano dei Bagni e all'hotel Campiglio Bellavista a Madonna di Campiglio. E, infine, c'è traccia di un viaggio a Dubai. Dal cilindro è saltato fuori anche «un anello non meglio individuato del valore di 2.000 euro in favore dell'amica Adele Attisani». Ma perché Centofanti & company avrebbero avuto bisogno di entrature al Csm? Secondo l'accusa avevano puntato Marco Bisogni, sostituto procuratore di Siracusa (in precedenza già oggetto di reiterati esposti depositati in Procura generale a Catania a firma di Amara e Calafiore, il primo indagato da Bisogni, il secondo suo difensore). Il procedimento disciplinare a carico di Bisogni era gestito dalla sezione di Palamara. La richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura generale fu rigettata e fu disposta l'incolpazione coatta. Insomma, i pm perugini ritengono che lo scambio di utilità ci sia stato. La capacità di penetrazione di Centofanti, secondo i magistrati, sarebbe arrivata davvero in alto. Quando ancora suo fratello Andrea era un ufficiale delle Fiamme gialle, per tentare di toglierlo dai guai in cui si era cacciato per aver cercato di ricattare un notaio, il lobbista è riuscito a cenare addirittura con Pignatone. Il procuratore romano, che sapeva trattarsi di un trasferimento per questione familiare, interessò un alto ufficiale. Senza ottenere particolari, poi, scoprì che la situazione era complessa e diversa da quella prospettatagli, per cui era difficile che l'aspirazione del fratello di Centofanti potesse essere soddisfatta. Ma la cena c'è stata. Una tra le tante.
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci
Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.