
Orfani di un «testo sacro», gli ex comunisti hanno trovato quello di Spinelli. Che del marxismo conserva l’odio per la democrazia.«Ebbene, leggetelo questo benedetto manifesto, di cui tutti parlano ma che quasi nessuno ha letto. Perché se non lo leggete non potete rendervi conto di quale spaventosa distopia antidemocratica avessero in mente i suoi autori. I quali avevano sì in mente un edificio grandioso, un unico super Stato europeo, propedeutico a un futuro Stato unico mondiale. Ma pensavano di imporlo dall’alto, con una crisi rivoluzionaria socialista, attraverso “la dittatura del partito rivoluzionario”, senza libere elezioni, contro le timidezze dei democratici, accusati - tra le altre cose - di non ammettere un sufficiente ricorso alla violenza E vi risparmio le idee in materia di funzionamento dell’economia, espropri, limitazioni alla proprietà privata, nazionalizzazioni».Vi state chiedendo di chi siano le frasi che ho appena riportato ? Non sono di Giorgia Meloni e nemmeno mie, che pure sul manifesto di Ventotene ho scritto più o meno le stesse cose. A scrivere l’articolo, di cui il brano citato fa parte, è stato giorni fa, cioè prima che il presidente del Consiglio scatenasse un putiferio alla Camera, Luca Ricolfi. Il professore torinese, noto per aver inventato nel suo dipartimento universitario una specie di laboratorio di fact-checking prima che con l’avvento dei social nascesse il fact-checking, non è di certo un intellettuale di destra. Anzi, le sue origini sono di sinistra e tuttavia nel corso degli anni si è specializzato nello smontare i luoghi comuni, in particolare quelli ideologici della sinistra.E l’ultimo degli stereotipi a cui si è dedicato è quello che riguarda il testo che da giorni è presentato come l’atto fondativo dell’Europa moderna, quella per intenderci per cui compagni e movimenti cattolici si sono dati appuntamento in piazza. Beh, basta leggere il manifesto scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni per rendersi conto che non c’è nulla di ciò di cui tanto si parla, al di là dell’idea degli Stati Uniti d’Europa. L’Unione immaginata dai tre antifascisti spediti al confino sull’isola tirrenica non era democratica, ma si trattava di una dittatura socialista alla cui guida avrebbe dovuto esserci un’élite, che sarebbe arrivata al vertice del super-stato senza passare da alcuna elezione, ma conquistando il potere attraverso i metodi usati da qualsiasi regime.Vi state chiedendo come sia possibile che politici e giornalisti difendano dunque un manifesto che se applicato alla lettera avrebbe instaurato una dittatura? La risposta è semplice: la sinistra, una volta morto il comunismo, lo ha sostituito con l’europeismo. Che però nelle sue intenzioni ha in sé il principale pregio del comunismo, ovvero l’assenza di democrazia, sostituita da una oligarchia. È una nuova religione laica, da accettare passivamente. Un dogma a cui inchinarsi per atto di fede. Ma come tutti i regimi, anche l’europeismo ha bisogno di un manifesto fondativo e dunque ecco ripescato quello di Ventotene, scritto nel 1941 ma rispolverato per l’occasione. In quelle pagine non c’è nulla che spieghi come trasformare gli Stati, una volta usciti dalla Seconda guerra mondiale, in qualche cosa di moderno. Si tratta di una serie di dichiarazioni di principio, che accusano le nazioni di essere all’origine di ogni conflitto e per questo ne propongono il superamento. Un obiettivo da perseguire con modalità che oggi definiremo autoritarie.Per fortuna nostra, le idee contenute nel manifesto non sono mai state applicate, perché i veri padri dell’Europa (cioè Adenauer, De Gasperi, Schuman e Monnet) pensavano a un’architettura dell’Unione che le elezioni le prevedeva e la proprietà privata non la espropriava. E sempre per fortuna nostra, a far crescere la libertà e la democrazia nel continente non ci ha pensato un’élite, ma il piano Marshall e l’economia di mercato, contro la quale il manifesto si schierava, dichiarando fallito e malato il capitalismo. È il benessere che ci ha garantito ottant’anni di pace, non certo il regime di nazionalizzazioni e di cooperative simili ai kolchoz che vennero immaginati a Ventotene.Dire tutto ciò vuol forse dire mancare di rispetto a Spinelli, Rossi e Colorni e alla loro militanza antifascista pagata a caro prezzo? No. Semplicemente significa non inginocchiarsi come vorrebbe l’onorevole del Pd Federico Fornaro a un testo che la sinistra ha trasformato in un feticcio. L’Italia non è fondata sul manifesto di Ventotene, ma sulla Costituzione. E i primi a ignorare quel testo furono proprio i padri costituenti. Se poi la sinistra, non avendo idee, ne riesuma una vecchia di ottant’anni, prego, si accomodi. Ma prima di sventolare la nuova Bibbia del luogocomunismo , come dice Ricolfi, almeno qualche compagno la legga, andando oltre il titolo.
Vladimir Putin e Steve Witkoff (Ansa)
Putiferio per le soffiate su una chiamata in cui il mediatore Usa, atteso al Cremlino, dava consigli a Mosca. Il «Guardian» evoca lo zampino di Cia o servizi ucraini, che ad Abu Dhabi hanno visto gli 007 dello zar.
Le manovre diplomatiche per far concludere la crisi ucraina potrebbero trovarsi davanti a uno scoglio. Uno dei principali negoziatori americani, Steve Witkoff, è infatti finito nella bufera, dopo che Bloomberg News ha pubblicato la trascrizione di una telefonata da lui avuta con il consigliere di Vladimir Putin, Yuri Ushakov, lo scorso 14 ottobre. Dal testo è emerso che l’inviato americano ha dato all’interlocutore dei consigli su come lo zar avrebbe dovuto affrontare il colloquio telefonico con Donald Trump, che si sarebbe tenuto due giorni dopo.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Nel parco di Villa Torlonia a Roma, fu il buen retiro di Giovanni Torlonia. Superbo esempio dell'eclettismo Art Nouveau, è sopravvissuta alla guerra, all'incuria e ad un incendio.
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Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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