2024-05-13
Mal d'impresa. Gli italiani hanno smesso di mettersi in proprio
Dal 2010 a oggi le aperture di nuove attività sono crollate del 25%, e per il settore manifatturiero il calo è ancora più marcato. Le ragioni sono culturali: si è persa la voglia di rischiare. E spesso mancano le competenze, più necessarie che in passato.Il Paese del Made in Italy, del miracolo industriale, sembra aver perso la voglia di fare impresa. Qualche segnale era emerso con il Covid, quando diverse ricerche avevano sottolineato il mutamento nella scala delle priorità: meno lavoro più vita privata. Poi il fenomeno delle dimissioni da parte di tanti giovani che dall’oggi al domani mollavano situazioni sicure e ben pagate, per tentare nuove strade anche precarie. Si pensava che fosse una situazione transitoria, la reazione dopo il lockdown. Ora il Rapporto Gem Italia 2023- 2024 realizzato dall’Universitas Mercatorum e presentato insieme a Unioncamere, rivela che c’è dell’altro, qualcosa di più profondo di un trend circoscritto nel tempo. Il Gem è riconosciuto come la più autorevole indagine a livello globale sull’imprenditorialità ed è considerato un punto di riferimento per la ricerca accademica e i policy maker.In base a questa ricerca, l’Italia si posiziona al 36º posto nel ranking mondiale per quanto riguarda la propensione imprenditoriale del Paese. Negli ultimi dieci anni, si è registrata un’importante riduzione della tendenza ad avviare nuove imprese e nel comparto manifatturiero il calo è ancora più significativo. Nel 2023, infatti, il livello di attività imprenditoriale era pari al 60% rispetto a quello registrato nel 2010, cioè in 13 anni si sono perse il 25% di nuove imprese; da oltre 400.000 avviate nel 2010 a poco più di 300.000 del 2023. Nel manifatturiero da 21.000 nuove realtà nel 2010 si è passati a 13.000, con un calo del 38%.L’indagine ha interessato 46 Paesi con interviste dirette ad oltre 100.000 individui e, in Italia, ha coinvolto 2.000 persone nel corso del 2023. Il report quindi fornisce una panoramica approfondita della situazione imprenditoriale italiana. Nel nostro Paese tutti i settori sono in contrazione, tranne i servizi innovativi che hanno visto raddoppiare le start up negli ultimi anni (circa 15.000 unità).Malgrado una certa effervescenza di iniziative nel periodo immediatamente successivo al Covid, l’indagine Gem mostra che l’Italia rimane fra i Paesi a minore natalità imprenditoriale e tra quelli nei quali è più ampio il gap fra la propensione imprenditoriale della popolazione e l’effettiva attivazione di nuove imprese.Le cause sono essenzialmente la decrescita demografica e la bassa scolarità. La tendenza ad avviare un’attività d’impresa è più diffusa tra i giovani laureati e, come evidenza il Rapporto, l’Italia si colloca in fondo alla Ue per numero di coloro che hanno un titolo universitario. Emerge anche che è diminuita negli italiani la voglia di assumersi il rischio d’impresa.Alessandra Micozzi, coordinatore nazionale del team Gem Italia, spiega che «soltanto il 5% degli intervistati ha dichiarato di essere coinvolto nell’avvio di un’impresa che in qualche modo ha anche a che fare con il suo lavoro precedente. La media europea è sopra il 6% e nel Nord America oltre il 16%. Invece le nuove imprese in partnership con il datore di lavoro sono sotto al 2% mentre la media europea è del 2% e quella del Nord America del 5%». Nel nostro Paese persiste ancora un gender gap rilevante. «La propensione imprenditoriale delle donne supera di poco il 5% mentre per gli uomini è al 10%». Un altro fattore di freno a fare impresa, come emerge dalla ricerca, è la percezione delle grandi difficoltà che attendono chi vuole mettersi in proprio. Il coraggio e la voglia di sfida che ha caratterizzato le generazioni fautrici del successo del made in Italy nel mondo, sembrano essersi affievoliti. Nel panel degli intervistati, meno del 20% ritiene che mettere su una start up sia semplice. Inoltre emerge anche che la figura dell’imprenditore ha perso appeal, non è percepita come un modello da imitare e non viene proposta con attenzione dai media. Infine gli intervistati ritengono che il mercato offra poche opportunità. Micozzi però sottolinea che «la difficoltà a individuare tali opportunità può dipendere dalla mancanza di preparazione, dall’assenza di competenze specifiche. Ed ecco che riemerge il tema della formazione».Come mai i giovani hanno perso il gusto della sfida dei loro padri? Micozzi spiega il cambiamento con una serie di fattori come una politica del welfare molto forte e il reddito di cittadinanza. La presenza di forti sussidi anche per chi non ne ha bisogno non induce a cercare nuove strade lavorative, a rischiare. «Le giovani generazioni hanno un livello di neet, cioè di coloro che non studiano e non cercano lavoro, che è preoccupante. Manca un sistema educativo che spinge all’imprenditorialità. È una questione culturale. È vero anche che mancano i servizi in grado di consentire alle donne di conciliare famiglia-lavoro. Questo spiega come mai solo una donna su quattro punta a fare impresa».
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)