
Plebiscito al voto per l’annessione della ricca area dell’Esequibo. Tensione col Brasile.Sta salendo la tensione in America Latina. L’altro ieri, il Venezuela ha tenuto un referendum consultivo che, indetto a settembre, punta a reclamare la sovranità sul territorio Esequibo: un’area ricca di petrolio, oro e diamanti, appartenente al piccolo Stato della Guyana (di cui costituisce circa il 70% del territorio complessivo). I sì hanno ottenuto oltre il 90% in tutti e cinque i quesiti presentati. Varie testate giornalistiche hanno riportato che i seggi non si sarebbero rivelati particolarmente affollati, mentre le autorità locali hanno riferito che a recarsi alle urne sarebbero stati 10,5 milioni di persone su un totale di 20 milioni di aventi diritto. La questione verte attorno a un’antica disputa territoriale. Nel XIX secolo, il territorio Esequibo finì conteso tra il Venezuela e la Gran Bretagna, di cui la Guyana era una colonia. Nel 1899 un arbitrato internazionale si schierò in gran parte a favore di Londra: una decisione che irritò notevolmente Caracas. Fu in tal senso che, nel 1962, il Venezuela presentò la questione davanti alle Nazioni unite. Si arrivò così, quattro anni più tardi, all’accordo di Ginevra tra Venezuela, Gran Bretagna e l’allora Guyana britannica sotto la supervisione dell’Onu. Quell’intesa non era risolutiva, ma nasceva per porre le basi affinché si potesse raggiungere un accordo vero e proprio. In particolare, veniva istituita una commissione mista che avrebbe dovuto occuparsi della faccenda. Tuttavia non si registrarono passi avanti concreti, mentre pochi mesi dopo la Guyana otteneva l’indipendenza da Londra. Nel 1970, fu quindi firmata una moratoria di dodici anni, in virtù di cui si aprì una fase che avrebbe dovuto favorire la possibilità di arrivare finalmente a una soluzione. Nel 1987, le parti decisero inoltre di accettare le attività di mediazione del segretario generale dell’Onu. La situazione tuttavia è rimasta fondamentalmente in stallo, fin quando, nel 2018, l’attuale segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, ha deciso di delegare la risoluzione della contesa alla Corte internazionale di giustizia, che ricade sotto l’autorità dell’Onu. Una mossa che il Venezuela non ha accettato, sostenendo che quest’organo non avrebbe giurisdizione in materia. Non a caso, uno dei quesiti referendari di domenica recitava: «È d’accordo con la posizione storica del Venezuela di non riconoscere la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia per risolvere la disputa territoriale in Guayana Esequiba?». Una giurisdizione tuttavia che, lo scorso aprile, i giudici della Corte avevano sostenuto di avere. Che cosa ci si deve dunque aspettare dal referendum venezuelano? Secondo la Cnn, si sarebbe trattato di una consultazione meramente simbolica e i suoi effetti pratici potrebbero rivelarsi minimi. Tuttavia stanno salendo tensione e nervosismo in Guyana, tanto che il Brasile ha schierato le proprie truppe al confine settentrionale, temendo che possa accadere qualcosa. E, a dirla tutta, un’azione militare venezuelana non può al momento essere del tutto esclusa.A novembre, la stessa Guyana aveva definito il referendum una «minaccia esistenziale». Sempre a novembre, il segretario generale del Commonwealth delle Nazioni, Patricia Scotland, aveva espresso «profonda preoccupazione» per la consultazione. Nello stesso periodo, il referendum era stato inoltre definito illegale da Luis Almagro, segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani: un network di Paesi con sede a Washington e di cui fanno parte anche gli Usa. Ricordiamo tra l’altro che è attivo in Guyana da alcuni anni il colosso petrolifero statunitense Exxon Mobil: una presenza, questa, che ha sempre infastidito Caracas. Era inoltre lo scorso settembre, quando il presidente della Guyana, Irfaan Ali, ha avuto un incontro con il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan. Tutto questo offre vari spunti di riflessione. In primis, l’Onu conferma la sua irrilevanza sotto il profilo della risoluzione delle dispute internazionali. Le Nazioni unite non sono un ente astratto ma il risultato della somma dei Paesi che le compongono. Questa istituzione è sempre più divisa al suo interno tra interessi geopolitici contrastanti. E non sembra ormai da tempo capace di essere incisiva. Un secondo nodo è rappresentato dalla linea tenuta da alcuni governi occidentali, a partire dall’amministrazione Biden. Come abbiamo visto, Washington tende a spalleggiare la Guyana. Il problema è che, a causa dei costi dell’energia, l’attuale presidente americano ha assunto un atteggiamento soft nei confronti del regime di Nicolas Maduro: a ottobre, Joe Biden ha infatti allentato alcune sanzioni su Caracas, innescando le ire dei repubblicani. Tutto questo, nonostante l’attuale inquilino della Casa Bianca abbia sempre detto di voler promuovere le democrazie contro le autocrazie. In un paradosso simile si trova anche il premier canadese, Justin Trudeau. A fine novembre, Bloomberg News riportò che costui stava cercando di ripristinare i legami con il governo di Maduro. Eppure Trudeau si è sempre detto fautore della promozione dei diritti umani e civili. Inoltre il Canada fa parte sia del Commonwealth sia dell’Organizzazione degli Stati americani: due entità che, come abbiamo visto, hanno criticato a novembre il referendum venezuelano. Senza infine trascurare che, a settembre, Maduro ha rafforzato i legami con Pechino e che, l’anno scorso, ha dato il suo endorsement all’invasione russa dell’Ucraina. Insomma, quello di Biden e Trudeau sembra proprio un cortocircuito eclatante. Che cosa decideranno di fare i due leader davanti al referendum venezuelano?
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