2025-11-18
La realtà piega i labour: stretta sui migranti
Il segretario agli interni britannico Shabana Mahmood (Ansa)
Il ministro degli Interni britannico rinnega la linea storica del suo partito e annuncia il pugno di ferro: fermare gli ingressi diventa una «missione morale». Blocco dei visti per chi viene da Paesi che rifiutano i rimpatri e status di rifugiato da rivedere ogni 30 mesi.Che esplodesse il caos era prevedibile e in fondo inevitabile. Del resto non può accadere niente di diverso quando un partito si rimangia decenni di attività politica e di fatto rinnega sé stesso: fornisce agli avversari una smisurata mole di argomenti polemici e allo stesso tempo scontenta e confonde i suoi militanti. I laburisti britannici hanno fatto esattamente questo: hanno cambiato linea sull’immigrazione, scegliendo un approccio durissimo, sicuramente inedito per il Regno Unito ma anche per la gran parte delle sinistre europee (se si esclude forse la Danimarca). Shabana Mahmood, segretario agli Interni del governo guidato da Keir Starmer, ieri ha annunciato una stretta che prevede, tra le altre cose, l’obbligo per i rifugiati che entrano illegalmente nel Regno Unito di attendere 20 anni prima di presentare domanda di insediamento permanente. Lo status di rifugiato verrà rivisto ogni 30 mesi e i richiedenti asilo saranno rimpatriati se i loro Paesi d’origine saranno diventati sicuri. Una misura, quest’ultima che potrebbe rivelarsi difficile da sostenere. Secondo il Refugee Council inglese, infatti, esaminare ogni domanda di asilo ogni 30 mesi costerà ai contribuenti 872 milioni di sterline nel prossimo decennio. E non è tutto: l’idea del governo progressista è quella di bloccare i visti di ingresso per i cittadini di nazioni che rifiutano i rimpatri di migranti. La Mahmood fa sapere che Paesi come Angola, Namibia e Repubblica Democratica del Congo saranno soggetti a sanzioni se non inizieranno a riprendersi i loro cittadini entrati illegalmente in Inghilterra. Il ministro, che pure viene da un retroterra multiculturale, nei giorni scorsi ha usato parole piuttosto dure, spiegando che il diritto alla sicurezza dei cittadini britannici viene prima dei diritti degli stranieri, soprattutto se irregolari. Ha spiegato che la lotta all’immigrazione è una «missione morale». «So che questo Paese è un luogo aperto, tollerante e generoso», ha detto Mahmood. «Ma l’opinione pubblica si aspetta giustamente che possiamo controllare i nostri confini. Se non agiamo, rischiamo di perdere il consenso popolare per l’esistenza di un sistema di asilo. Mentre le misure odierne ripristineranno il controllo dei nostri confini, aprirò nuove vie, limitate, sicure e legali per i veri rifugiati. Vogliamo offrire rifugio a chi è in pericolo. Vogliamo essere una Grande Gran Bretagna, non un’Inghilterra più piccola. Per farlo, dobbiamo ripristinare l’ordine e il controllo». Tutte parole condivisibili, senza dubbio. Il problema è che i ministri laburisti di certo non hanno il controllo delle frontiere e degli stranieri presenti sul suolo patrio e nel frattempo hanno perso pure il controllo del partito. Numerosi parlamentari di sinistra si sono rivoltati contro Mahmood e Starmer, definendo «feroce» e disumana la loro svolta. A suscitare particolare sdegno fra i progressisti è stata la proposta di seguire il modello danese. Cioè l’idea di confiscare ai migranti gioielli o altri oggetti di valore per coprire i costi tecnici del procedimento di richiesta di asilo. «Al momento, il pubblico britannico paga miliardi di sterline all’anno affinché coloro che chiedono asilo, o coloro che hanno già visto respinta la loro domanda, possano essere supportati nell’alloggio e nel sostentamento», ha detto Alex Norris a nome del ministero degli Interni. «È giusto che queste persone abbiano soldi in banca, beni come auto, bici elettriche, e che contribuiscano. No, non toglieremo loro i cimeli di famiglia al confine. Ma... le persone hanno auto. Le persone hanno bici elettriche. Questi sono beni che dovrebbero contribuire al costo dei sussidi». Contro questa proposta si sono scagliati numerosi esponenti laburisti, e si può dire che questo punto della riforma migratoria sia di fatto nato morto: con questo livello di opposizione interna sarà piuttosto difficile per il governo realizzare qualcosa di concreto. Che è poi ciò che dicono conservatori e destrorsi a vario livello: fanno presente che dal fronte laburista arrivano dichiarazioni di facciata, promesse impossibili da mantenere o slogan che saranno poi disattesi. A parere di molti osservatori di destra l’unica cosa giusta da fare sarebbe abbandonare la Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) così da poter applicare politiche antimigratorie senza temere il giudizio sovranazionale. Ma Starmer e soci hanno fatto sapere di non avere intenzione di lasciare la Cedu, ma daranno indicazioni ai tribunali su come gestire il rapporto con la Corte: «Queste riforme bloccheranno i ricorsi senza fine, fermeranno le richieste dell’ultimo minuto e aumenteranno le espulsioni di coloro che non hanno diritto di stare qui», ha commentato il ministro Mahmood. Intendiamoci: gran parte di questa nuova linea dura è condivisibile, anche se alcuni provvedimenti sembrano di difficile attuazione. Il modello danese ha dimostrato che cambiare atteggiamento porta risultati, anche per questo i laburisti hanno deciso di copiarlo. Salta tuttavia all’occhio la clamorosa ipocrisia del nuovo corso, prontamente ribadita dalla ribellione interna al partito. Dopo avere sostenuto per anni le bellezze del multiculturalismo, dopo avere censurato e arrestato cittadini per post sui social giudicati razzisti, dopo avere cercato di silenziare lo scandalo delle gang dello stupro pakistane (proprio per non turbare la narrazione multiculturalista), ecco che i sinistrati inglesi si destano dal torpore e propongono soluzioni drastiche. Provvedimenti che, se venissero da destra, sarebbero giudicati incivili e razzisti proprio dalla gran parte della sinistra britannica e europea. Mahmood sostiene che un inasprimento delle regole serva a contrastare le «forze oscure» che altrimenti potrebbero dominare la Gran Bretagna. Il riferimento è ovviamente al movimenti di destra e a Reform di Nigel Farage. Il fatto, però, è che se questi partiti guadagnano consenso un motivo c’è. In Gran Bretagna ci sono rumorose proteste contro l’immigrazione di massa per lo meno dall’agosto del 2024. L’ultima manifestazione, freschissima, è stata organizzata per contestare il trasferimento di 600 richiedenti asilo nel campo militare di Crowborough, una sorta di caserma con alcune baracche che le istituzioni vorrebbero utilizzare come campo profughi. Altre manifestazioni erano state organizzate di fronte ai cosiddetti hotel per migranti, alberghi in cui vengono piazzati i richiedenti asilo che non si sa dove collocare altrimenti (accadde così anche in Italia anni fa) e che ora il governo ha promesso di chiudere, anche se servirà tempo per farlo. Fino ad ora il governo inglese ha sempre respinto con forza le contestazioni, scegliendo la via della repressione. Mentre però si mostrava inflessibile con i manifestanti, contemporaneamente cercava di mostrare attenzione e severità sugli ingressi di stranieri, un curioso caso di sdoppiamento politico della personalità. Lo stesso che l’esecutivo Starmer esibisce ora: sventola il pugno di ferro mentre fa la morale ai cattivoni di destra. In tutta questa farsa rimane solo un elemento di realtà: quando va al governo, la sinistra - a ogni latitudine - deve rinunciare alle belle parole sul multiculturalismo ed è costretta a fare i conti con la realtà, cioè a tentare di fermare l’immigrazione (per lo più senza riuscirci). I progressisti italiani prendano nota.
Matteo Bassetti e Sergio Abrignani (Imagoeconomica)
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