
Ma che vuole da noi Macron? Da quando Giorgia Meloni è al governo la Francia non perde occasione per creare incidenti con il nostro Paese.Questa volta a dar fuoco alle polveri sono state la parole di Matteo Salvini, al quale è sfuggito un commento in milanese stretto, rivolto alle ultime pensate del presidente della vicina Republique: si attacchi al tram se vuole mandare i nostri soldati in Ucraina. Cioè si arrangi. Faccia da solo. Non conti su di noi. Non credo che dire a Monsieur le president «attaccati», ovvero scordati che l’Italia invii le proprie truppe, sia un insulto. A Milano la frase è usata per far capire che non si è disposti a fare nulla, ma anche per mandare al diavolo qualcuno senza usare parole volgari. Dunque, dove sta l’offesa che tanto è dispiaciuta al consorte della première dame? Il marito di Brigitte è forse addolorato per l’assenza del linguaggio diplomatico e per l’uso di un gergo popolare, che nel capoluogo lombardo è compreso anche dalle portinaie? Ovviamente siamo dispiaciuti, ma non è che la Francia negli ultimi anni sia stata poi così carina da richiedere un’attenzione particolare quando le si deve parlare.Ancora il nuovo esecutivo guidato da Giorgia Meloni non si era insediato che già le critiche dei nostri cugini di Parigi fioccavano. A esprimere le perplessità sul futuro assetto istituzionale del nostro Paese fu la ministra degli Affari europei, la socialista Laurence Boone, la quale a urne appena chiuse disse di voler lavorare con Roma, ma di essere «pronta a vigilare sul rispetto dei diritti e delle libertà». Un concetto più o meno simile fu espresso pure dall’allora premier transalpino Elisabeth Borne, la quale aggiunse che avrebbe prestato attenzione al rispetto dei diritti umani - manco l’Italia fosse il Cile di Pinochet - e, in particolare, all’accesso all’interruzione di gravidanza. Insomma, gli italiani esercitavano il loro diritto di scegliere da chi farsi governare e le ministre con il birignao alzavano il ditino. Non è andata meglio con Gérald Darmanin, quando questi era ministro dell’Interno. Siccome il capo dei gendarmi coltivava ambizioni presidenziali, quando si trattò di parlare - male - degli italiani, non si fece sfuggire l’occasione. Prima alzò la cresta perché Meloni si rifiutò di ospitare l’ennesima nave carica di migranti nei nostri porti, poi addirittura attaccò la premier per dire che mentiva alla popolazione per nascondere il fatto di essere «incapace di risolvere le questioni migratorie per cui era stata eletta». Insomma, un vero gentiluomo. Soprattutto un signore attento al garbo con cui si deve trattare un partner europeo.La verità è che i francesi, intesi come istituzioni, si sono sempre fatti gli affari loro, spesso a scapito degli affari nostri, come quando gli uomini della gendarmeria scaricavano nei boschi i migranti. Oppure, quando hanno avuto a che fare con operazioni imprenditoriali e non hanno esitato a dare l’altolà agli italiani, escogitando ogni modo per mettere i bastoni fra le ruote.Naturalmente ci è chiaro che la popolarità di Macron in patria è ai minimi storici e dunque, non riuscendo a riguadagnare qualche punto in casa, Monsieur le president prova a ottenerlo in Europa, facendo il galletto e promettendo l’invio di truppe in Ucraina contro i russi. Ma siccome la vita dei nostri soldati non è argomento da campagna elettorale, per di più francese, Salvini ha fatto bene a mandare a stendere il piccolo Napoleone parigino. Non lo ha insultato. Non lo ha chiamato Micron. Nemmeno lo ha definito il portaborsette di Brigitte, come con un’espressione felice lo chiama Roberto D’Agostino. Lo ha solo invitato ad attaccarsi al tram. A rendersi conto che l’opzione di inviare i nostri militari a combattere non è sul tavolo. Un richiamo alla realtà che ha infranto i sogni di grandeur dell’ambizioso Emmanuel? Pazienza. I giochi di guerra del nostro vicino non ci riguardano. Se vuole farsi bello, lo faccia a spese dei suoi soldati e non dei nostri. Insomma, prenda l’autobus e vada lui a morire per Kiev.
Christine Lagarde (Ansa)
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Ansa
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Beatrice Venezi (Imagoeconomica)
Un deputato attribuisce alla vicinanza a Fdi la nomina al Teatro Colon di Buenos Aires. Il sovrintendente reagisce: «Qui la vogliono gli artisti». Rischio incidente diplomatico.






