2019-03-27
Il presidente ha chiesto un quadro multilaterale degli accordi, in contrasto con l'Italia che sta cercando di rompere lo schema. L'obiettivo: negoziare in Africa, dove la Cina sta aumentando la presenza.Il presidente francese Emmanuel Macron ha esortato il collega cinese XI Jinping a rispettare l'unità dell'Unione europea. Dicendosi «determinato al dialogo e alla cooperazione», il capo dello Stato francese ha sottolineato che «dai nostri partner ci aspettiamo che rispettino a loro volta l'unità dell'Unione europea».Un evidente monito, lanciato dal capo dello Stato francese durante le dichiarazioni congiunte all'Eliseo seguite all'incontro con XI Jinping, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Macron ha detto di volere «un quadro multilaterale rinnovato, più giusto, più equilibrato». Un quadro che sia la prova che «la cooperazione frutta più del contrasto». Il capo dell'Eliseo non ha cercato nemmeno di nascondere l'ipocrisia che sta dietro le sue dichiarazioni. La volontà di applicare uno schema multilaterale degli accordi è al tempo stesso l'esigenza di imporre una unica strada di trattativa tra Cina ed Europa garantendo la sopravvivenza dell'asse francotedesco anche in caso di pace commerciale tra Washington e Pechino. Motivo per cui c'è stata una levata di scudi contro l'Italia, che sta tentando di spaccare lo schema. Il memorandum firmato da Luigi Di Maio si basa infatti su un approccio bilaterale al tema dell'export e pone in competizione gli investimenti cinesi destinati al territorio europeo.«A differenza dell'Italia, che ha aderito al progetto globale della Cina per il movimento delle merci, il presidente della Francia ha chiarito che una risposta europea unita è fondamentale per affrontare l'egemonia cinese». A sostenerlo è il New York Times il quale ha tenuto a precisare il messaggio subliminale lanciato da Macron: parlare alla Francia significa parlare all'Europa. E l'osservazione del Nyt è tanto vera quanto pericolosa per l'Italia, dove i filo francesi non desistono mai dal tentativo di favorire Parigi dal Sud delle Alpi. Inutile dire che Pechino ha voluto smorzare i toni e il presidente cinese dal canto suo ha tenuto un discorso incentrato sulla possibilità di portare avanti sfide comuni a livello internazionale, dal commercio al clima. E ha detto che «l'Ue e la Cina vanno avanti assieme», malgrado «i sospetti». Secondo Xi, «certo, ci sono punti di disaccordo, c'è competizione, ma è competizione positiva».Merkel da parte sua ha parlato della necessità di «un'agenda della fiducia», sottolineando che «non necessariamente la competizione va a detrimento di una parte o dell'altra», ma serve un approccio multilaterale e rispettoso di tutte le posizioni.Intervenuto per ultimo, Juncker ha sostenuto che «la Cina e l'Europa possono fare grandi cose assieme e possono farlo con uno spirito di cooperazione e non di competizione. Vorrei che si instaurasse tra Cina e Ue una reciprocità articolata», ha affermato il capo della Commissione Ue, sottolineando che «il prima possibile serve un accordo sugli investimenti». Quanto all'iniziativa cinese One Belt One Road, la cosiddetta Via della seta, «credo che gli europei, noi, dobbiamo spiegare ai cittadini che non si tratta di un progetto contro i loro interessi», ha affermato Juncker, concludendo: «Vorrei che gli investimenti non siano esclusivamente cinesi, che possano partecipare imprese europee e dei Paesi di transito».La presenza di Juncker è servita solo a mettere un sigillo di ufficialità a una strategia di isolamento del Mediterraneo. Va infatti sottolineato il vero messaggio diabolico da parte dell'Eliseo e riguarda l'Africa. Al termine del vertice a quattro Macron ha insistito, affinché la Cina sia «partner» della Francia in Africa, continente dove il gigante asiatico ha aumentato enormemente la presenza e l'influenza negli ultimi anni. «Noi non siamo in Africa dei rivali strategici», ha detto Macron, ma «possiamo essere di più dei partner duraturi sul piano della sicurezza, dell'educazione, delle infrastrutture e dello sviluppo». Macron ha poi reso omaggio all'importante contributo di Pechino «ai Paesi della forza congiunta G5 Sahel». In realtà, Cina e Francia sono avversari nella fascia sub sahariana dell'Africa. Anche se i due Paesi collaborano dal punto di vista militare (la Cina è ormai il primo fornitore di caschi blu nel continente nero) si contendono le materie prime. In Niger, ad esempio, Pechino da ormai due anni cerca di chiudere accordi su miniere di uranio e si scontra con i vecchi accordi che vedono l'ex Areva come unica concessionaria. Pechino ha però una necessità: trovare un Paese partner che conosca le tribù e sappiano come muoversi in caso di situazione bellica. Un conto è essere caschi blu, un altro intervenire in un conflitto. Quando fu annunciata la missione italiana in Niger, ci furono diversi abboccamenti tra Pechino e Roma. Non a caso Parigi è intervenuta sul governo locale per bloccare tutto. Ecco, la Francia adesso ci riprova e per noi sarebbe la fine di ogni velleità in territorio africano.
Andy Mann for Stefano Ricci
Così la famiglia Ricci difende le proprie creazioni della linea Sr Explorer, presentata al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, concepita in Patagonia. «Più preserveremo le nostre radici, meglio costruiremo un futuro luminoso».
Il viaggio come identità, la natura come maestra, Firenze come luogo d’origine e di ritorno. È attorno a queste coordinate che si sviluppa il nuovo capitolo di Sr Explorer, il progetto firmato da Stefano Ricci. Questa volta, l’ottava, è stato presentato al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, nata tra la Patagonia e la Terra del Fuoco, terre estreme che hanno guidato una riflessione sull’uomo, sulla natura e sul suo fragile equilibrio. «Guardo al futuro e vedo nuovi orizzonti da esplorare, nuovi territori e un grande desiderio di vivere circondato dalla bellezza», afferma Ricci, introducendo il progetto. «Oggi non vi parlo nel mio ruolo di designer, ma con lo spirito di un esploratore. Come un grande viaggiatore che ha raggiunto luoghi remoti del Pianeta, semplicemente perché i miei obiettivi iniziavano dove altri vedevano dei limiti».
Aimo Moroni e Massimiliano Alajmo
Ultima puntata sulla vita del grande chef, toscano di nascita ma milanese d’adozione. Frequentando i mercati generali impara a distinguere a occhio e tatto gli ingredienti di qualità. E trova l’amore con una partita a carte.
Riprendiamo con la seconda e conclusiva puntata sulla vita di Aimo Moroni. Cesare era un cuoco di origine napoletana che aveva vissuto per alcuni anni all’estero. Si era presentato alla cucina del Carminati con una valigia che, all’interno, aveva ben allineati i ferri del mestiere, coltelli e lame.
Davanti agli occhi curiosi dei due ragazzini l’esordio senza discussioni: «Guai a voi se me li toccate». In realtà una ruvidezza solo di apparenza, in breve capì che Aimo e Gialindo avevano solo il desiderio di apprendere da lui la professione con cui volevano realizzare i propri sogni. Casa sua divenne il laboratorio dove insegnò loro i piccoli segreti di una vita, mettendoli poi alla prova nel realizzare i piatti con la promozione o bocciatura conseguente.
Alessandra Coppola ripercorre la scia di sangue della banda neonazi Ludwig: fanatismo, esoterismo, violenza e una rete oscura che il suo libro Il fuoco nero porta finalmente alla luce.
La premier nipponica vara una manovra da 135 miliardi di dollari Rendimenti sui bond al top da 20 anni: rischio calo della liquidità.
Big in Japan, cantavano gli Alphaville nel 1984. Anni ruggenti per l’ex impero del Sol Levante. Il boom economico nipponico aveva conquistato il mondo con le sue esportazioni e la sua tecnologia. I giapponesi, sconfitti dall’atomica americana, si erano presi la rivincita ed erano arrivati a comprare i grattacieli di Manhattan. Nel 1990 ci fu il top dell’indice Nikkei: da lì in poi è iniziata la «Tokyo decadence». La globalizzazione stava favorendo la Cina, per cui la nuova arma giapponese non era più l’industria ma la finanza. Basso costo del denaro e tanto debito, con una banca centrale sovranista e amica dei governi, hanno spinto i samurai e non solo a comprarsi il mondo.





