
Gli studenti in manette fatti inginocchiare dalla polizia sono lo specchio di un governo allo sbando. Ma per quelle immagini nessuno si scandalizza. In Italia, per fatti meno gravi, in molti avrebbero gridato al fascismo e sarebbero esplose le proteste. A Parigi la vigilia della nuova manifestazione dei gilet gialli, prevista per oggi, sembra un trailer del film La notte del giudizio, in attesa dei blindati che il governo ha deciso di schierare nella capitale, come confermato da Edouard Philippe al tg di Tf 1 dell'altra sera. Durante tutta la giornata di ieri si sono susseguite le allerte dei rappresentanti istituzionali e della società civile. Solo Emmanuel Macron è rimasto ancora in silenzio «per evitare di gettare benzina sul fuoco», come ha spiegato il presidente dell'Assemblea nazionale, Richard Ferrand, che ha anche precisato all'agenzia France presse che l'inquilino dell'Eliseo «non parlerà prima della manifestazione di sabato». Cioè oggi.Nel frattempo altre violenze e manifestazioni finite nel caos hanno caratterizzato la giornata di ieri e scaldato gli animi. In particolare, hanno fatto discutere le immagini dei fermi degli studenti che manifestavano giovedì a Mantes La Jolie, nella periferia Nord di Parigi. Come anticipato dalla Verità ieri, circa 150 giovani sono stati fermati dalle forze dell'ordine. Il procuratore di Versailles, Vincent Lesclous, ha motivato il provvedimento con l'esigenza di interrompere un «processo incontrollato», di «partecipazione a un raggruppamento armato». Sta di fatto che 153 studenti sono stati ammanettati o fatti inginocchiare dai poliziotti, con le mani sulla testa, rivolti al muro. Le immagini di questa azione delle forze dell'ordine, che hanno fatto il giro del mondo, non corrispondono certo all'immagine che il governo francese vuole dare di sé stesso. Un governo i cui membri, nei mesi scorsi, non hanno esitato a definire «vomitevole» o «disumano» il governo italiano e il ministro dell'interno Matteo Salvini in particolare. Come dimenticare le parole di Macron sui nazionalisti? Nel giugno scorso, aveva detto: «L'Europa è di fronte a un rischio. Quello di dividersi a causa della lebbra nazionalista».È interessante notare che le critiche a quanto accaduto a Mantes-la-Jolie sono arrivate prevalentemente dalla sinistra francese. La destra è rimasta più discreta. Chissà se nel partito Les Républicain di Nicolas Sarkozy si ricordano i sorrisini ironici che l'ex presidente francese aveva scambiato con Angela Merkel, riferendosi al governo di Silvio Berlusconi? Era il 2011. A giudicare da come viene trattata l'Italia quando decide di cambiare le proprie leggi sull'ingresso e l'asilo, chissà cosa avrebbe detto l'equipe Macron se la polizia di Roma avesse fatto subire a degli studenti anche solo un terzo di quello che hanno vissuto i loro compagni francesi? E se Giuseppe Conte avesse annunciato l'arrivo di blindati su Roma? Avremmo visto riunirsi dei gruppi di protesta davanti alle nostre sedi diplomatiche? Possiamo solo immaginarlo.Quel che è certo è che l'establishment politico-editoriale transalpino non apprezza i segni di sostegno inviati da alcuni gilet gialli al governo italiano. Secondo un articolo indispettito del quotidiano Le Parisien del 5 dicembre - in cui è stato ripreso un servizio della corrispondente Rai, dove dei gilet jaunes scandiscono il nome di Matteo Salvini - quest'ultimo starebbe approfittando del Macron-Bashing, l'antimacronismo, per guadagnare consensi elettorali.È chiaro che la tensione gioca brutti scherzi alle élite francesi. Anche i deputati macronisti sono stati contagiati. Nella notte di mercoledì alcuni di loro hanno iniziato a rilanciare un tweet che gridava al complotto. Il cinguettio sosteneva che il sito giletsjaunes.com fosse stato creato all'indomani della vittoria di Emmanuel Macron da alcuni supporter di Steve Bannon, ex consigliere di Donald Trump. Alcuni media hanno verificato l'informazione e si è scoperto che, in realtà, il sito esiste dal 2015. Era stato creato da un comitato di protesta contro un provvedimento del ministro dell'educazione di allora. Insomma la Casa Bianca, Trump, i «poteri forti» internazionali non hanno niente a che fare con il movimento spontaneo dei gilet gialli.Ma la paura di perdere il potere tra i ranghi del «nuovo mondo» macronista è fortissima. Il problema reale è che la giornata di oggi potrebbe passare alla storia come la fine della quinta République francese, centralista, bonapartista e sorda alle richieste di maggiore democrazia diretta e rappresentatività. L'attuale governo francese non lo ha ancora capito. Lo ha confermato il ministro dell'interno Christophe Castaner che ieri, in una conferenza stampa sulla manifestazione di oggi, ha detto che «queste tre ultime settimane hanno fatto nascere un mostro che è sfuggito al controllo dei suoi genitori». Le finestre del «palazzo» a Parigi restano chiuse. I suoi inquilini non vogliono guardare a ciò che succede nelle strade.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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