Per Elon Musk sono tempi duri in Francia, perché il governo è pronto a restringere l’accesso a X. Qualche giorno fa, ospite della trasmissione mainstream Quotidien, il ministro con delega all’Intelligenza artificiale e al digitale, Clara Chappaz, ha annunciato che l’ex Twitter avrebbe presto ricevuto «gli stessi simpatici documenti come Youporn». In seguito ha spiegato al sito Politico l’intenzione di classificare X come un sito pornografico, in modo da applicare a esso le nuove regole sul controllo dell’età degli utenti delle piattaforme a luci rosse. Per il ministro, «dal 2024, X ha indicato di accettare la diffusione di contenuti pornografici», che quindi «devono essere trattati come tali». Per capire la portata delle dichiarazioni di Chappaz bisogna tornare al gennaio scorso, quando è entrata in vigore una legge che impone agli editori dei siti pornografici di adottare un sistema di identificazione capace di impedire l’accesso ai minori. A marzo, poi, il contenuto della norma è stato completato da un decreto interministeriale volto a estendere l’obbligo della verifica dell’età anche ai siti situati negli altri Paesi dell’Unione europea. Il decreto ha previsto che l’applicazione della misura diventasse effettiva tre mesi dopo, esattamente il 7 giugno scorso. Il 4 giugno Aylo, la casa madre delle piattaforme Youporn, Pornhub e Redtube, ha annunciato che queste non sarebbero state più accessibili in Francia in segno di protesta contro le decisioni del governo di Parigi. in una conferenza stampa online, Alex Kekesi, vicepresidente di Aylo, ha dichiarato di aver «preso la difficile decisione di sospendere l’accesso ai nostri siti in Francia [...] e di utilizzare le nostre piattaforme per parlare direttamente al pubblico francese». Concretamente, se vogliono continuare a funzionare anche in Francia, i siti porno devono chiedere ai loro frequentatori l’invio di una foto o di un documento d’identità. Pena delle multe o il blocco del sito. La verifica dell’età dell’internauta deve però rispettare il principio del doppio anonimato.
La lodevole iniziativa del governo francese, volta a impedire ai minori di consultare siti pornografici, non dovrebbe però diventare una forma di censura. Cosa che sarebbe possibile se venisse estesa in toto anche a X. Soprattutto se si considera la cattiva qualità delle relazioni tra Musk e il presidente francese, Emmanuel Macron, nonché con la Commissione Ue, della quale il leader transalpino è un sostenitore sfegatato. E poi come dimenticare i «precedenti» di Macron che, da quando è arrivato sette anni fa all’Eliseo, non ha mosso un dito per evitare la chiusura di canali televisivi che lo contestavano? È accaduto prima con Rt France, il canale russo considerato come un agente della propaganda del Cremlino e poi con C8, la rete francese al 100% di proprietà di Vincent Bolloré, che ospitava Cyril Hanouna, presentatore sempre molto critico nei confronti del macronismo.
Chissà cosa accadrebbe in Italia se Giorgia Meloni non impedisse la chiusura di una rete televisiva. Probabilmente personalità del calibro di Giuseppe Conte, Maurizio Landini, Elly Schlein o magari qualche membro del nutrito battaglione di titolari italiani della Légion d’honneur chiamerebbero il popolo alla rivolta. Invece, quando il loro idolo transalpino, ormai a fine carriera, decide quali media siano degni di esistere, a sinistra non trovano niente da ridire.
Questo doppiopesismo vale anche per altri leader europei. Basti ricordare che quando, lo scorso marzo, in nome della difesa dei bambini, il governo di Viktor Orbán ha vietato l’esposizione di bandiere del movimento Lgbtq e altro sui palazzi pubblici, i media di Stato o mainstream francesi hanno versato fiumi di inchiostro in articoli lacrimevoli sugli attacchi dei soliti nazionalisti al loro mondo ideale arcobaleno. Il canale d’informazione pubblico France Info ha ad esempio pubblicato un reportage nel quale un ungherese dichiarava tragicamente: «Non immagino il mio avvenire qui». La Tribune du dimanche ha invece parlato di «crociata omofoba di Orbán». Invece quando è stato presentato il manifesto del gay pride parigino 2025, molti media si sono lanciati in lodi sperticate. E pazienza se sul manifesto c’era un cartello con scritto «Contro l’internazionale reazionaria», retto da una donna con capo coperto dal velo islamico, nonché un uomo bianco con croce celtica tatuata sul collo, messo ko da manifestanti «tolleranti» del pride.
In Francia il woke ha dato un’ulteriore prova del fatto che non sopporta di essere messo in discussione. La casa editrice Puf-Publications Universitaire de France ha deciso di sospendere la pubblicazione di un volume intitolato Face à l’obscurantisme woke, coredatto da Pierre Vermeren, storico, e dai docenti di lettere Emmanuelle Hénin e Xavier-Laurent Salvador. Il volume sarebbe dovuto arrivare nelle librerie il 9 aprile prossimo.
Il primo a dare la notizia è stato lo storico quotidiano della sinistra francese, Libération, che l’altro ieri ha scritto che «Puf sospende la pubblicazione di un libro anti woke dalle ossessioni trumpiste». La testata di sinistra ha anche ripreso le idee del movimento Stand up for science, che contesta i tagli agli atenei Usa voluti da Donald Trump e ha denunciato «un’offensiva oscurantista contro la scienza americana».
Come ha appreso Le Figaro, in un messaggio email spedito ai tre coautori, l’editore di Puf, Paul Garapon, ha scritto che il «contesto è molto sfavorevole alla pubblicazione del volume».
Dopo questa frase di circostanza, l’editore ha gettato la maschera rivelando le ragioni eminentemente ideologiche che hanno portato alla sospensione del libro sull’oscurantismo woke. Garapon ha contestato «il sostegno del progetto Périclès di Pierre-Édouard Stérin all’Observatoire de l’éthique universitaire» a cui partecipano gli autori. Va detto che Stérin è un imprenditore francese di successo, dato che è uno dei cofondatori di Smartbox e The Fork. Stérin è etichettato dalle sinistre come «cattolico tradizionalista» nonché come un sostenitore di idee di estrema destra. Invece l’Observatoire de l’éthique universitaire è una struttura indipendente degli atenei transalpini che si autotedifinisce come una realtà che si muove contro le «derive ideologiche che minano l’università».
La notizia della prossima uscita del volume sul wokismo è arrivata nel mondo accademico parigino attraverso Patrick Boucheron, docente al Collège de France, che parlando ad alcuni giornalisti lo scorso 7 marzo ha detto che secondo lui «uno spazio importante dello spazio mediatico è saturato da imprenditori dell’approssimazione e dell’inesattezza che dicono che ciò le minacce attuali siano l’islamo-gauchismo o il wokismo» e che basta accendere la tv per trovare anche «degli idioti utili nelle università» che fanno il gioco delle destre e che «continuano a uscire libri», come quello di Puf.
Poco meno di un mese fa, Le Figaro aveva pubblicato un’inchiesta proprio su Boucheron nella quale si presentava il docente come qualcuno «che gioca a fare il potente» e che «ha creato attorno a sé un sistema di potere e alleanze che strumentalizza».
Che il woke continui a scaldare i cuori della sinistra francese non è un mistero. Tanto è vero che il candidato alle primarie dei Verdi e assessore del Comune di Parigi, David Belliard, ha dichiarato con fierezza che «Parigi è una città woke». La capitale aveva messo in scena una rappresentazione blasfema dell’Ultima cena in apertura delle olimpiadi.
Dopo anni passati a sperperare soldi pubblici, le casse dello Stato francese sono in sofferenza. Così la prossima legge finanziaria rischia di essere fatta di lacrime e sangue per i contribuenti transalpini. Come si è visto ieri all’Assemblea nazionale, in apertura dell’iter parlamentare della finanziaria, è molto probabile che il premier Michel Barnier debba fare salti mortali per riuscire a trovare 60 miliardi di euro.
All’Assemblea nazionale non c’è una vera maggioranza ma, nonostante le distanze fra i tre blocchi politici quasi equivalenti che la compongono, non mancano i deputati possibilisti. In tema di immigrazione, ad esempio, tiene banco la proposta fatta qualche giorno fa il ministro dell’Interno Bruno Retailleau, esponente della destra moderata de Les Républicains, secondo cui la Francia dovrebbe ridurre la copertura sanitaria per i clandestini. Si tratta di un dispositivo, istituito nel 2000 dal governo del premier socialista Lionel Jospin, chiamato Ame (Aide médical d’Etat, ossia aiuto sanitario di Stato). Tale provvedimento, che nel 2024 è costato alla sanità d’Oltralpe 1,2 miliardi di euro, riconosce a tutti gli stranieri irregolari arrivati in Francia da almeno un trimestre di ottenere una copertura del 100% delle spese sanitarie e dei ricoveri ospedalieri. In pratica qualunque migrante clandestino può ricevere gratuitamente cure non solo in casi di urgenza ma anche per maternità, posa di protesi, problemi dentali o ottici (apparecchi, occhiali, ecc.). Tutto questo mentre tra i francesi, in particolare nelle categorie meno abbienti, c’è chi rinuncia a ricevere determinate cure mediche perché non se lo può permettere.
La proposta di Retailleau è sostenuta dal Rassemblement national di Marine Le Pen, ma ha provocato una levata di scudi a sinistra e tra i macronisti. Ad esempio, otto ex ministri della Sanità hanno firmato una «tribuna» su Le Monde per dire che la soppressione dell’Ame non contribuirebbe a ridurre l’immigrazione, producendo invece «conseguenze sanitarie, umane, sociali inaccettabili». Tra i firmatari della «tribuna» figurano Agnès Buzyn e Olivier Véran, i titolari della Sanità francese ai tempi di Covid. Contraria alla soppressione o al ridimensionamento dell’Ame anche l’attuale ministro della Salute, Geneviève Darrieussecq, per la quale la copertura sanitaria dei clandestini «è anche una protezione per la salute dei francesi» capace di «evitare certi tipi di contagio».
Tuttavia lo stesso Barnier ha dichiarato, in un’intervista su France 2 del 22 settembre scorso, che sull’Ame «non ci sono tabù, né totem» ma «solamente l’intenzione di trattare la questione con fermezza e umanità». Anche certi onorevoli dell’ala destra del partito macronista non bocciano a priori la proposta del ministro dell’interno francese. Tra questi figura il deputato Mathieu Lefèvre, che non vuole fare un processo alle intenzioni di Retailleau perché, ha detto a Franceinfo, «tutte le questioni migratorie devono essere studiate con pragmatismo».
Nel frattempo ieri, dal Lussemburgo, dove si trovava per il Consiglio europeo degli affari interni, Retailleau è tornato a parlare di migranti. «Pensiamo che si debba lavorare su un quadro europeo», ha detto il titolare del Viminale parigino, precisando che «la Francia non richiederà un opt-tout sulle migrazioni» ma che, invece, ha «sostenuto molto il patto sulle migrazioni» e vorrebbe «anticiparne l’entrata in vigore». Il ministro dell’Interno francese ritiene che le norme Ue attuali siano datate e che «si debba rivedere la direttiva sui rimpatri, per invertire l’onere della prova, cambiare la regola sul periodo di “partenza volontaria”». Retailleau ha anche auspicato che «si possa rendere di nuovo reato il soggiorno irregolare». Ma l’omologo francese di Matteo Piantedosi ha commentato anche certe pratiche che l’Italia ha già realizzato, come la creazione di centri di accoglienza per migranti al di fuori dei confini Ue. Secondo lui non bisogna escludere «nessuna soluzione a priori» perché «tutte le soluzioni innovative devono essere utili». Tuttavia Retailleau ha riconosciuto che tale procedura non sarebbe applicabile ai richiedenti asilo in Francia nel rispetto «dell’ordine costituzionale».
Le parole del ministro dell’interno francese fanno eco alle dichiarazioni fatte l’altro ieri al parlamento europeo da Viktor Orbán. Per il premier ungherese «le frontiere europee vanno difese» perché «senza creazione di hotspot esterni non potremo tutelare l’Ue dall’immigrazione clandestina» che ha «alimentato la violenza contro le donne, l’antisemitismo e l’omofobia». Verrebbe da pensare che Retailleau sia pronto a collaborare con Giorgia Meloni. In questo modo girerebbe definitivamente la pagina delle crisi isteriche sull’immigrazione di Emmanuel Macron e dei suoi ministri, dovuto al rifiuto italiano di accettare le navi delle Ong pro migranti nei propri porti. Si ricorderà ad esempio che, nel 2018, l’ex premier Gabriel Attal aveva definito «vomitevole» la politica di Roma sui migranti.





