2018-03-30
Svelata la manovra Ue per allontanare il M5s dal centrodestra
Il gruppo europeo di En marche dice no ai grillini, poi ritira il comunicato. Tanti tifano per l'intesa con i macroniani: separerebbe Luigi Di Maio da Matteo Salvini. Intanto, si apre la corsa al ministero dell'Economia: i leghisti vedrebbero bene Giancarlo Giorgetti, i pentastellati spingono per il volto nuovo Andrea Roventini. Bruxelles pronta al fuoco di sbarramento: chance per i cattedratici tipo Carlo Cottarelli.Lo speciale contiene due articoliCi sarà o no, il matrimonio tra il M5s ed Europe en marche, lo spin off europeo del partito del presidente francese Emmanuel Macron? Da due giorni, dopo un articolo del Foglio, se ne parla diffusamente, al punto che una possibile convergenza tra grillini e macroniani pare condizionare (o forse punta proprio a condizionare) le imminenti consultazioni per la formazione del nuovo esecutivo. Un durissimo comunicato diffuso ieri pomeriggio pareva stroncare ogni velleità: «Non è stato intrapreso alcun negoziato con il M5s per la formazione di un'alleanza a livello europeo», spiegava la presidente di Eem, Marianne Escurat. «I valori di apertura e umanesimo» sui quali si fonda Europe en marche, prosegue la nota, «sono incompatibili con le posizioni demagogiche, populiste e apertamente euroscettiche del M5s».Ma in tarda serata il comunicato sarebbe stato ritirato, a dimostrazione che qualcosa bolle in pentola, eccome. Il corteggiamento era iniziato già qualche mese fa, con una lettera a firma Luigi Di Maio che rassicurava il capo dell'Eliseo sulle future intenzioni dei pentastellati in caso di vittoria alle elezioni politiche. «Presidente Macron», così Di Maio nella missiva, «il Movimento 5 stelle non ha nulla a che fare con certe formazioni xenofobe e antagoniste che crescono un po' ovunque in Europa. Sono sicuro», concludeva sibillino il leader pentastellato, «che quando ci conosceremo meglio coglierà che il nostro Movimento, oltre a non essere una minaccia, piuttosto coltiva le soluzioni migliori per molti dei problemi d'Europa». Salvatore Merlo sul Foglio di mercoledì parlava di «manovre iniziate», mentre ieri sullo stesso quotidiano l'ex premier Mario Monti, conversando con il direttore Claudio Cerasa, auspicava che il M5s si esercitasse a diventare «Macron-compatibile». Ancora più esplicito sul Corriere Shahin Vallée, fedelissimo di Macron nonché uomo di George Soros, che - intervistato da Federico Fubini - parlava apertamente di assenza di pregiudizi nei confronti del M5s, a patto però che quest'ultimo evitasse di formare alleanze di governo con Matteo Salvini. Un tentativo di affrancare i grillini dalla Lega e contemporaneamente spingerli verso il Pd? Nel caso, pare essere a rischio proprio per l'eccesso di zelo degli stessi partecipanti al dibattito. Lo stop dei macroniani pare chiude inoltre un canale utile al M5s per alzare la posta nei negoziati per Palazzo Chigi: fino al comunicato, poi ritirato, da parte dei grillini non erano arrivate smentite alla cosa. Fonti vicine alla pratica raccontano di un dissidio tra i macroniani all'Europarlamento, ostili all'intesa, e uomini della cerchia stretta dell'inquilino dell'Eliseo che sarebbero invece favorevoli, anche su diretta sollecitazione italiana in chiave anti dialogo con il centrodestra.Lo scorso 26 settembre, nel suo discorso «per un'Europa sovrana, unita e democratica» tenuto alla Sorbona di Parigi, Macron aveva sottolineato la necessità di mettersi al lavoro per «costruire la sovranità europea». Definire i contorni del progetto politico di Macron potrebbe sembrare prematuro, ma in realtà il contenuto della narrazione è già stabilito. Il nuovo soggetto nasce con il dichiarato scopo di replicare nel 2019, alle Europee, il successo conseguito in patria. La ripresa è in effetti in atto per molti, ma la paura del ritorno dell'austerità è benzina sul fuoco per i movimenti euroscettici. Macron sa benissimo che se l'Ue e l'euro non cambieranno, il declino già in atto potrà solo accelerare. Ma in gioco c'è soprattutto la supremazia in ambito continentale.La strada per Macron è comunque tutt'altro che in discesa. Il primo bivio riguarda la possibilità di creare già da oggi un gruppo al Parlamento europeo. Sulla carta reperire i deputati non sarebbe un problema, ma l'orientamento sembra essere quello di concentrare gli sforzi nella campagna elettorale del prossimo anno. Le resistenze a cui va incontro il presidente sono fortissime. Il primo ostacolo è rappresentato delle velleità egemoniche della Germania di Angela Merkel. Fino a oggi Parigi e Berlino hanno dato prova di voler garantire la tenuta dell'asse, arrivando a formulare una proposta comune di riforma sulla moneta unica. Tuttavia, i momenti di tensione non sono mancati. Qualche settimana fa il ministro dell'Economia d'Oltralpe, Bruno Le Maire, aveva definito inaccettabile l'insistenza dei tedeschi sulla ristrutturazione automatica del debito. L'intransigenza sui temi di finanza pubblica rischia di diventare un boomerang per Berlino, tanto da mettere a rischio la nomina del «falco» Jens Weidmann alla presidenza della Bce. C'è poi la fronda degli altri partiti europei, con liberali e socialdemocratici che temono che la formazione macroniana possa erodere il loro consenso. I tavoli sono in corso da settimane. «Noi non mangeremo Macron e Macron non mangerà noi», ha rassicurato il presidente dell'Alde, Hans Van Baleen, annunciando un accordo alla pari per le elezioni del 2019. Non mancano però divergenze e scetticismi su più di un punto del programma, tanto da far apparire già oggi piuttosto traballante un eventuale accordo. A rendere ancora più complicato il cammino, le schermaglie con il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, che ha rimproverato Macron di non aver ancora dichiarato chiaramente le alleanze politiche a livello europeo. Dal canto suo, il presidente francese ha invece criticato il meccanismo caldeggiato dallo stesso Juncker che prevede la nomina a presidente della Commissione per il leader del partito più votato (Spitzenkandidaten), giudicato poco trasparente e distante dalla volontà popolare. Antonio Grizzuti<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/macron-grillini-salvini-cottarelli-enmarche-2554543446.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sfida-per-il-ministero-delleconomia-fra-i-tecnici-e-chi-ha-vinto-le-elezioni" data-post-id="2554543446" data-published-at="1757550040" data-use-pagination="False"> Sfida per il ministero dell’Economia fra i tecnici e chi ha vinto le elezioni Non c'è un governo, figuriamoci se c'è il ministro dell'Economia. L'incertezza non deve però trarre in inganno. Sotto i tavoli, le trattative sono già avviate e, sebbene il puzzle sia molto complicato, si stanno formando i primi timidi schieramenti. Tutti i partiti sanno che la poltrona di via XX Settembre sarà quasi più importante di quella di Palazzo Chigi. L'Italia è in apnea, e chi siederà al ministero dell'Economia sa bene che, instaurato il nuovo esecutivo, si apriranno le cataratte del bilancio pubblico. Il Def sarà presentato entro il 10 aprile: un semplice schema senza numeri precisi allestito dal governo uscente. Tutto andrà in deroga per il prossimo settembre. Il che significa che il tempo per evitare che scattino le clausole di salvaguardia e soprattutto impostare un minimo di programma economico. Che, per di più, potrebbe essere una via di mezzo tra il reddito di cittadinanza, la flat tax, l'abolizione della legge Fornero, la ridiscussione delle ultime normative sugli anticipi pensionistici e la rinegoziazione della soglia di deficit pubblico. Il tutto con un occhio ai mercati, perché nessuno può permettersi che lo spread tra il bund tedesco e i nostri Btp schizzi di nuovo a valori difficilmente sostenibili. Per questo motivo la figura indicata per via XX Settembre è la chiave di volta del successo o della deflagrazione del prossimo esecutivo. Non è un caso se da più parti filtrano due nomi da pescare dal contenitore dei ministri tecnici. Il primo è quello di Dario Scannapieco, attuale vicepresidente della Bei, la Banca europea per gli investimenti. Una figura di garanzia che certamente piacerebbe al Colle, ma proprio per questo non è detto che venga digerita da grillini o leghisti. Questi ultimi, ad esempio, hanno già fatto sapere che nelle vesti del ministro dell'Economia vedrebbero molto bene Giancarlo Giorgetti. Il bocconiano ha lasciato un buon segno dalle parti del Quirinale quando ricevette (nel 2013) la nomina nel gruppo di lavoro per le proposte programmatiche in materia economica e sociale. Potrebbe anche ricevere la benedizione di Luigi Di Maio, nel caso in cui il M5s non riuscisse a imporre il proprio candidato ministro (magari in cambio della presidenza del Consiglio...). Al momento, papabile pentastellato per l'Economia è invece Andrea Roventini, professore associato alla Scuola superiore Sant'Anna di Pisa. La stessa da cui provengono Enrico Letta e tutto il giro dell'intellighenzia toscana ante Renzi. Roventini l'altro ieri ha ricevuto pure una sorta di incarico ufficioso. Il post dedicato alla gestione di Cdp è parso quasi un comunicato stampa. Quindi appare chiaro che le righe con cui Roventini ha «licenziato» i vertici della Cassa sono un messaggio di Di Maio. Resta da capire se Giorgetti e Roventini siano attrezzati per affrontare il fuoco di sbarramento pronto in Europa. Nei prossimi sei mesi gli appuntamenti in sede di Commissione europea - e più in generale di Ecofin - sono numerosi e molto delicati. Il futuro governo dovrà affrontare il teorico completamento dell'unione bancaria, e definire l'intero perimetro legislativo della garanzia dei depositi. La vigilanza unica si appresta a fare un passo in avanti. L'Italia come si porrà? Come ha fatto subendo il bail in, oppure si presenterà critica e proattiva? Inutile dire che il profilo del prossimo ministro farebbe la differenza per l'intero comparto bancario italiano. Da anni i vertici dell'Europa spiegano che il settore deve consolidarsi e ridurre drasticamente il peso delle sofferenze al fine di pulire i bilanci. La storia degli istituti americani dimostra in realtà che il consolidamento è positivo fino a un certo punto. Il tessuto italiano è fatto da Pmi ed è molto diverso, ad esempio, da quello francese. Tessuto economico diverso impone banche differenti, magari più vicine al territorio. Stesso discorso possiamo fare in relazione al Fondo monetario europeo. Quale è la vera posizione del nostro Paese? Interrogativi che restano ancora aperti e danno adito a nuove candidature, in taluni casi autocandidature. In queste settimane s'è fatto avanti Carlo Cottarelli, uomo dei numeri e della spending review interrotta da Matteo Renzi. A sostenerlo sono soprattutto i media, che ne enfatizzano il ruolo di «stabilizzatore» dei conti. Sulla medesima onda, ma con una pronta uniforme grillina, è spuntato anche Luigi Zingales. Professore a Chicago e famoso per essersi sfilato in tempo dall'esperienza di «Fare per fermare il declino», condivide con i pentastellati alcune conoscenze in Eni (è stato membro del cda). Forse troppo poco, per fare il ministro. Claudio Antonelli
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