Il macellaio di soldati è diventato un eroe giocando con la pelle dei suoi militari

Da «comandante maledetto» a «eroe prediletto» il passo è breve: basta un articolo di giornale. Ad alimentare l’infatuazione della cosiddetta stampa progressista e indipendente nei confronti del generale Oleksandr Syrskyi è la controffensiva ucraina nella provincia russa di Kursk. Due brigate di soldati, mandati alla ventura a invadere con qualche centinaio di mezzi il territorio di confine, sono riuscite a riabilitare sulle pagine della stampa di casa nostra l’immagine del nuovo numero uno dell’armata di Volodymyr Zelensky.
Quando venne nominato comandante supremo al posto del popolarissimo Valerij Zaluznyj, a precederlo fu la fama di «macellaio». Nella difesa di Bakhmut, cittadina di 70.000 abitanti nella regione di Donetsk, Syrskyi non si sarebbe fatto scrupolo di mandare al massacro migliaia di suoi uomini, suonando la carica e respingendo tutte le sollecitazioni che invitavano a una ritirata.
Nessuno è in grado di dire quanti militari siano morti e quanti siano stati feriti in una delle battaglie più sanguinose della guerra in Ucraina, tuttavia a oltre un anno dalla caduta in mano russa del capoluogo dell’oblast di Donetsk, si può dire che la resistenza a oltranza non aveva alcun senso, perché la perdita di Bakhmut non ha cambiato le sorti del conflitto.
A differenza di ciò che veniva lasciato intendere, le truppe di Vladimir Putin, dopo aver conquistato la città, non hanno avuto la strada spianata. E quelle di Zelensky, nonostante le troppe parole spese per prefigurare una sconfitta pericolosa, alla fine non hanno perso molto terreno. In pratica, mandare al macello centinaia se non migliaia di giovani non è servito a nulla, perché le forze ucraine continuano a essere in affanno e quelle russe seguitano a non riuscire a sfondare.
Tornando a Syrskyi, dopo aver costretto i suoi soldati a una difesa senza senso, si è guadagnato la fama di comandante cinico e disinteressato ai costi umani delle sue imprese. Prova ne sia che quando Zelensky lo scelse al posto di Zaluznyi (cacciato e mandato a Londra a fare l’ambasciatore perché il presidente ucraino lo considerava un potenziale concorrente alle prossime elezioni), sui giornali trapelò il malumore dei sottoposti, i quali sembravano temere più la spregiudicatezza del generale che l’aggressività del nemico. Tanta cattiva fama, però, è stata spazzata via in un baleno, per lo meno sulla stampa nazionale. Infatti, è bastato che Syrskyi desse il via alla controffensiva d’agosto, con pochi mezzi e pochissime prospettive di tenuta dei territori russi conquistati, che il comandante ha potuto godere di una rapida riabilitazione.
In pochi giorni, il «macellaio» è stato trasformato in un abile stratega, capace di organizzare una mossa del cavallo nel più completo silenzio. Per lui sono stati scomodati illustri esempi di tecnica militare. Dall’invasione tedesca della Russia, che colse di sorpresa un addormentatissimo Stalin, alla manovra a tenaglia con cui Ariel Sharon aggirò le truppe egiziane nel deserto del Sinai, chiudendole in una morsa. Quella che appare comunque una missione suicida, che potrebbe costare cara ai militari entrati in territorio russo, improvvisamente si è trasformata in un’operazione geniale, condotta con maestria e pure in grado di ribaltare le sorti del conflitto, costringendo Putin, se non alla resa, quantomeno a trattare la tregua.
Purtroppo, gran parte degli analisti di cose militari dubita che l’incursione possa ottenere grandi risultati. Tuttavia, almeno un effetto lo ha ottenuto. Syrskyi non è più un macellaio, ma un virtuoso condottiero che, nel silenzio assoluto, è riuscito a beffare lo zar di tutta la Russia. Sarebbe bello da credere ma, al momento, l’unica cosa che appare certa è l’estrema volubilità dei giornaloni, che scambiano i loro umori e le loro passioni per la realtà.