2021-10-09
        Macché brindare, questa non è normalità
    
 
        (Emanuele Perrone/Getty Images)
    
Le piccole concessioni sulla cultura e sugli spettacoli non ci restituiscono la nostra vita di prima. Restano quote, mascherine e pass, anche per lavorare. Accade solo in Italia. Eppure c'è chi festeggia, perché quello che stiamo perdendo è proprio il concetto di libertà.Ma a voi questa sembra normalità? Davvero? Vi sembra normale festeggiare perché ci è concesso di andare al cinema? Vi sembra normale festeggiare perché ci è concesso di frequentare i teatri (evviva al 100 per cento), gli stadi (evviva al 75 per cento) e le discoteche (evviva al 50 per cento)? Vi sembra normale che la libertà non sia più un diritto naturale, ma una gentile concessione dall'alto, maturata dopo estenuanti discussioni e pareri del Cts, e comunque sempre a rischio di revoca? Vi sembra normale che comunque restino le zone colorate? E che bisogna stare attenti a non passare dal bianco al giallo se no l'entusiasmo si deve ridurre in percentuale (per non dire se torni all'arancione)? Questa è la normalità? Siamo sicuri? Andare comunque in giro con la mascherina, esibire un permesso speciale per potere mangiare una pizza o prendere un treno, e dal 15 ottobre anche per lavorare? È la normalità? Questa? Lasciare fuori dall'ufficio o dalla fabbrica chi non ha il green pass? Dopo l'annuncio della riapertura di cinema, stadi e discoteche siamo sommersi dalle grida di giubilo che a reti unificate inneggiano al ritorno alla normalità. Possibile? Se ce ne fosse ancora bisogno, questa è la dimostrazione più clamorosa che ormai il nostro sangue è stato avvelenato: dopo 20 mesi di trattamenti forzati a suon di lockdown e altre limitazioni, infatti, ormai troviamo entusiasmante anche la libertà octroyée, la libertà caduta dall'alto, pezzo a pezzo, al 75 o al 50 per cento, con mascherina incorporata e ovviamente dopo esibizione di tessera speciale. Non dico che tutto ciò sia stato inutile o non necessario: dico semplicemente che quello che stiamo vivendo non può essere chiamato «normalità». Perché la normalità, per quanto possa oggi sembrare strano, è vivere all'incirca come vivevamo prima. Quando si poteva prendere un aperitivo e perfino andare a lavorare senza museruola Ffp2 e senza green pass. Lo so che ormai, inebriati come siamo dall'etilismo sanitario, si fa fatica a ricordarlo. Ma è esistito un tempo in cui per salire sul Frecciarossa bastava comprare il biglietto e per entrare in ufficio bastava essere assunti e gli stadi erano pieni al 100 per cento e le discoteche pure e non esistevano zone bianche né rosse e neppure lillà. Quella era la normalità. Si era liberi sempre e non solo nei limiti concessi da Franco Locatelli o dalla circolare del ministro Roberto Speranza. Quella era la normalità. E lo so che a ricordarlo si passa per folli: quando tutti sono talmente ubriachi da andare gambe all'aria gli unici sobri che stanno in piedi sembrano dei bastian contrari. Ma è così: l'altro giorno il professor Alberto Zangrillo ha fatto un tweet: nell'ultima settimana i ricoverati per Covid al San Raffaele sono lo 0,4 per cento del totale dei ricoverati, perché si pensa solo al coronavirus? In effetti: perché si parla solo di coronavirus? Nel frattempo gli altri malati sono stati dimenticati: 400.000 interventi rinviati (fonte: società italiana di chirurgia), visite ritardate e infarti triplicati (fonte: Cts). È questa la normalità? Pensare che la vera normalità non è mica difficile da trovare. Esiste. Oggi. Ci si può immergere dentro fino al collo. La si può respirare fino in fondo. Peccato solo che sia necessario uscire dall'Italia. In Norvegia, per esempio, dal 25 settembre sono caduti tutti i divieti (che già erano molto meno severi di quelli italiani). Caduti. Non al 75 per cento. Non al 50 per cento. Via tutto. E la Norvegia, in percentuale alla popolazione, ha il doppio dei contagi dell'Italia. E all'incirca la stessa percentuale di vaccinati. Perché loro tolgono tutte le restrizioni mentre noi invece andiamo verso una stretta ancora più severa? Perché loro sono senza mascherine e con le discoteche piene al 100 per cento mentre noi festeggiamo come gran successo la prosecuzione dell'obbligo delle mascherine e il ballo al 50 per cento? Perché ci continuano a ripetere che il «green pass è libertà» se poi vediamo che dove il green pass non c'è sono più liberi di noi? Nelle ultime settimane Gran Bretagna, Spagna, e Olanda hanno allentato la restrizioni. La Danimarca le ha eliminate del tutto il 10 settembre. Il Portogallo il primo ottobre. Della Norvegia si è detto. Noi, invece, dal 15 ottobre avremo misure più rigide. Vale lo stesso per lo stato d'emergenza: Germania e Belgio non l'hanno mai dichiarato, il Portogallo l'ha tolto il 30 aprile, la Spagna il 9 maggio. Da noi è prorogato fino al 31 dicembre. La Francia che aveva inventato il green pass sta tornando sui suoi passi, noi invece non solo lo stiamo conservando come se fosse il Sacro Graal ma lo stiamo pure inasprendo. Dal 15 ottobre butteremo fuori dalle fabbriche gli operai e fuori dalle case le colf e le badanti che non ce l'hanno. E tutta questa la chiamiamo normalità? Se qualcuno due anni fa mi avesse detto che ci saremmo trovati a considerare normale tutto ciò avrei chiamato l'ambulanza per farlo portare via. Ora invece c'è il rischio che portino via me con l'ambulanza. Infatti è diventato normale considerare normale questa abnorme anormalità. Come se ci fossimo assuefatti al peggio. Ed è questa purtroppo l'unica verità tragicamente normale.
        Beatrice Venezi (Imagoeconomica)