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2018-04-22
Coalizione ormai finita: Cav e Salvini non si sono mai piaciuti
Il centrodestra come l'abbiamo conosciuto in questi anni non esiste più. Se fino all'altro ieri Silvio Berlusconi e Matteo Salvini hanno finto di andare d'accordo, presentandosi l'uno accanto all'altro e simulando un'intesa che non c'era, oggi è chiaro che Forza Italia e la Lega vanno in direzioni diverse e perseguono obiettivi contrastanti. Il Cavaliere non sopporta il leghista e viceversa, e forse è il caso di cominciare a prenderne atto perché in futuro li vedremo sempre più divisi. La retromarcia giunta ieri dopo le parole di venerdì, infatti, non è sufficiente a nascondere la realtà. Il primo ritiene che il secondo sia un ragazzotto senza arte né parte, un populista che se arrivasse al governo non porterebbe nulla di buono al Paese e non sopporta l'idea di vederlo parlare al posto suo. Il secondo pensa che il primo sia un vecchio arnese superato dagli eventi e nei voti, una specie di parente che si è costretti a portare alle cerimonie ufficiali, ma che si vorrebbe mostrare in pubblico il meno possibile. Con queste premesse, dunque, non era pensabile che potesse nascere un'alleanza di governo. E infatti fra Silvio e Matteo l'alleanza è morta ancor prima di nascere. Salvini, da quando ha preso in mano la Lega, ereditando un partito ridotto al lumicino dopo gli scandali del cerchio magico del Senatùr, ha accuratamente evitato di accettare il legato berlusconiano. Da segretario del Carroccio, ha rinunciato al rito del caminetto di Arcore, preferendo marcare le distanze. Alle cene del lunedì con Berlusconi, che a lungo furono la camera di compensazione fra Forza Italia e Lega, ha preferito le sagre di paese e le visite ai campi rom. Per Salvini, il Cavaliere non era il leader della coalizione già prima che il 4 marzo il Carroccio scavalcasse gli azzurri per numero di voti, e girando al largo da Villa San Martino intendeva rimarcarlo. Anche sul programma, appena ne ha avuto l'occasione, l'erede di Umberto Bossi ha sottolineato la distanza.Lo stesso ha fatto il Cavaliere, correggendo più volte le dichiarazioni del «rivale» leghista. Berlusconi, forte di un'esperienza maturata in 20 anni, si proponeva come il leader della coalizione e come garante dell'affidabilità di governo. A Bruxelles come a Berlino, diceva di rassicurare gli scettici che guardavano a Salvini con preoccupazione. E ogni volta che si è ripreso la scena, il suo intervento ha testimoniato la divisione profonda fra i due leader e i due partiti, segnando una diversa visione. Quando il 12 aprile, all'uscita dal colloquio con Sergio Mattarella, si è messo a mimare il discorso di Salvini, se ci fossero stati ancora dubbi sul fastidio quasi fisico di aver lasciato al leader leghista il ruolo di rappresentanza del centrodestra, quei dubbi sono stati fugati. Berlusconi non poteva accettare il ruolo di comparsa al fianco di Salvini e infatti, appena ha potuto, ha agguantato il microfono attaccando i 5 stelle. Quando poi, l'altro ieri, ha detto che gli italiani hanno votato male, siamo sicuri che pensasse ai voti ottenuti da Di Maio e non a quelli che la Lega ha drenato a Forza Italia? La verità è che più del «nemico» a 5 stelle, il Cavaliere teme la Lega. È l'alleato il suo cruccio, perché non riesce a comprendere come Salvini abbia fatto a scavalcarlo.Con queste premesse, ma soprattutto con una bilancia che sempre di più pende a favore di Salvini e con la fuga di dirigenti di Forza Italia verso il Carroccio, il rapporto non poteva che essere teso. Anzi, talmente tirato da essere vicino alla rottura.Non sappiamo se dopo l'uscita sui 5 stelle, «buoni solo per pulire i cessi», Salvini abbia pensato a un sabotaggio della difficile trattativa da lui condotta con Di Maio. Probabilmente sì, ma è certo che venerdì il leader della Lega fosse pronto a rompere l'alleanza e ad andare diritto per la propria strada, formando un governo con i grillini e, nel caso ci stesse, con Giorgia Meloni. Al punto in cui siamo giunti, non sappiamo se questo esecutivo vedrà mai la luce o se trionferà l'operazione trasformista che mira a riportare in maggioranza il Pd, cioè il partito degli sconfitti, tuttavia siamo sicuri che il centrodestra che abbiamo conosciuto negli ultimi 20 anni non c'è più. La coalizione potrà continuare a esistere, come quelle coppie che restano insieme per convenienza e per non essere costretti a pagare due affitti. Ma proprio come nel caso delle coppie scoppiate, nessuno dei due protagonisti di questa alleanza si fida più dell'altro. Può darsi che il Cavaliere ci sorprenda con uno dei suoi colpi di teatro e di genio, riuscendo in un momento a lui sfavorevole a rimontare la corrente, tuttavia rimettere insieme i cocci di un'unione al capolinea sarà complicato anche per lui.
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Nuove accuse tra Cambogia e Thailandia lungo il confine conteso. Phnom Penh denuncia bombardamenti con caccia F-16, Bangkok parla di attacchi notturni cambogiani. Oltre mezzo milione di sfollati mentre proseguono i negoziati.
La crisi tra Cambogia e Thailandia torna ad aggravarsi lungo il confine conteso. Phnom Penh accusa Bangkok di aver intensificato i bombardamenti con caccia F-16, mentre le autorità thailandesi parlano di attacchi cambogiani durante la notte. Le accuse incrociate arrivano mentre sono in corso negoziati per un cessate il fuoco e il numero degli sfollati supera il mezzo milione.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, l’aeronautica thailandese avrebbe impiegato caccia F-16, sganciando almeno quaranta bombe nell’area del villaggio di Chok Chey. L’episodio viene descritto come un’ulteriore escalation militare in una zona già colpita da ripetuti raid. La versione di Bangkok è opposta. I media thailandesi riferiscono che, durante la notte, le forze cambogiane avrebbero condotto attacchi massicci lungo il confine nella provincia sud-orientale di Sa Kaeo, provocando danni a diverse abitazioni civili.
Nel frattempo, le due parti hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui, iniziato mercoledì e destinato a durare quattro giorni, con l’obiettivo dichiarato di porre fine ai combattimenti. L’incontro si svolge in territorio thailandese, presso un valico di frontiera nella provincia di Chanthaburi, secondo quanto riferito da funzionari di Phnom Penh. Sul piano diplomatico si registra anche un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Marco Rubio, durante il quale si è discusso di «come garantire un cessate il fuoco lungo il confine tra Cambogia e Thailandia».
Alla base delle tensioni c’è una disputa storica sulla delimitazione di circa 800 chilometri di confine, che affonda le radici nell’epoca coloniale. Il confronto armato si è riacceso con forza nel corso dell’anno. A luglio, cinque giorni di scontri avevano provocato circa 40 morti e costretto 300.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, prima di una tregua che successivamente è fallita.
L’impatto umanitario resta pesante. Secondo le autorità cambogiane, oltre mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare case e scuole nelle ultime due settimane di combattimenti. In una nota, il ministero dell’Interno di Phnom Penh ha parlato di 518.611 sfollati, denunciando che «oltre mezzo milione di cambogiani, tra cui donne e bambini, stanno soffrendo gravi difficoltà a causa dello sfollamento forzato dalle loro case e scuole per sfuggire al fuoco di artiglieria, ai razzi e agli attacchi aerei dei caccia F-16 thailandesi». In precedenza, Bangkok aveva indicato in circa 400.000 il numero degli sfollati sul proprio territorio. Il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri, ha affermato che il numero di persone accolte nei rifugi è in diminuzione, pur restando superiore alle 200.000 unità. Kongsiri ha inoltre invitato gli abitanti dei villaggi a rientrare con cautela, avvertendo che «potrebbero esserci ancora mine o bombe pericolose». Dal punto di vista militare, Phnom Penh ha sottolineato come le forze thailandesi abbiano continuato le operazioni dall’alba del 21 dicembre, segnalando combattimenti anche nei pressi del tempio khmer di Preah Vihear, risalente a 900 anni fa. La Cambogia ha inoltre ricordato il divario di risorse tra i due eserciti, a vantaggio di Bangkok. Secondo i dati ufficiali, il bilancio complessivo degli scontri è salito ad almeno 41 morti, di cui 22 thailandesi e 19 cambogiani. Le ostilità più recenti sono riprese il 12 dicembre, mentre una precedente ondata di violenze, a luglio, aveva causato 43 vittime in pochi giorni.
La crisi è ora all’attenzione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. I ministri degli Esteri dell’Asean, compresi quelli di Thailandia e Cambogia, si riuniscono il 22 dicembre a Kuala Lumpur per discutere del conflitto. Entrambi i governi hanno espresso l’auspicio che l’incontro contribuisca a ridurre le tensioni. La portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Maratee Nalita Andamo, ha definito il vertice «un’importante opportunità per entrambe le parti». Bangkok ha tuttavia ribadito alcune condizioni preliminari, chiedendo a Phnom Penh di annunciare per prima un cessate il fuoco e di cooperare nelle operazioni di sminamento lungo il confine. In un comunicato, il governo thailandese ha precisato che un accordo potrà essere raggiunto «solo se basato principalmente su una valutazione della situazione sul campo da parte dell’esercito thailandese».
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L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
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Donald Trump con il Segretario alla Guerra degli Stati Uniti Pete Hegseth (Getty Images)
«Stasera, su mia indicazione in qualità di Comandante in Capo, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco potente e letale contro la feccia terroristica dell’Isis nel nord-ovest della Nigeria, che ha preso di mira e ucciso brutalmente, principalmente cristiani innocenti, a livelli che non si vedevano da molti anni, persino da secoli», ha scritto il presidente.
L’intervento militare arriva dopo settimane di tensioni tra Washington e Abuja. Trump aveva più volte accusato il governo nigeriano di non riuscire a fermare le violenze contro le comunità cristiane, annunciando già il mese scorso di aver ordinato al Pentagono di predisporre una possibile azione armata. In parallelo, il Dipartimento di Stato aveva comunicato restrizioni sui visti per cittadini nigeriani e familiari coinvolti in uccisioni di massa e persecuzioni religiose. Gli Stati Uniti hanno inoltre inserito la Nigeria tra i «Paesi di particolare preoccupazione» ai sensi dell’International Religious Freedom Act.
Nel suo messaggio, Trump ha rivendicato la continuità tra gli avvertimenti lanciati in precedenza e l’azione militare appena condotta: «Avevo già avvertito questi terroristi che se non avessero smesso di massacrare i cristiani, avrebbero pagato un prezzo altissimo, e stasera è successo». Il presidente ha quindi elogiato l’operato delle forze armate: «Il Dipartimento della Guerra ha eseguito numerosi attacchi perfetti, come solo gli Stati Uniti sono in grado di fare. Sotto la mia guida, il nostro Paese non permetterà al terrorismo islamico radicale di prosperare. Che Dio benedica le nostre forze armate e Buon Natale a tutti, compresi i terroristi morti, che saranno molti di più se continueranno a massacrare i cristiani».
La conferma dell’operazione è arrivata anche dal Comando militare statunitense per l’Africa (Africom), che ha spiegato come l’attacco sia stato condotto su richiesta delle autorità nigeriane e abbia portato all’uccisione di diversi terroristi dell’Isis. «Gli attacchi letali contro l’Isis dimostrano la forza del nostro esercito e il nostro impegno nell’eliminare le minacce terroristiche contro gli americani, in patria e all’estero», ha comunicato Africom. Sulla stessa linea il capo del Pentagono, Pete Hegseth, che ha ricordato come la posizione del presidente fosse stata chiarita già nelle settimane precedenti: «Il presidente era stato chiaro il mese scorso: l’uccisione di cristiani innocenti in Nigeria (e altrove) deve finire. Il Dipartimento della Guerra è sempre pronto, come ha scoperto l’Isis stasera, a Natale. Seguiranno altre notizie», aggiungendo di essere «grato per il sostegno e la cooperazione del governo nigeriano».
Da Abuja è arrivata una conferma ufficiale dei raid. In una nota, il ministero degli Affari Esteri della Repubblica Federale della Nigeria ha dichiarato che «le autorità nigeriane continuano a collaborare in modo strutturato con i partner internazionali, compresi gli Stati Uniti, nella lotta contro la minaccia persistente del terrorismo e dell’estremismo violento». La cooperazione, prosegue il comunicato, ha portato «a attacchi mirati contro obiettivi terroristici in Nigeria mediante raid aerei nel nord-ovest del Paese». Il ministero ha inoltre precisato che, «in linea con la prassi internazionale consolidata e gli accordi bilaterali, tale cooperazione comprende lo scambio di informazioni, il coordinamento strategico e altre forme di sostegno conformi al diritto internazionale, il reciproco rispetto della sovranità e gli impegni condivisi in materia di sicurezza regionale e globale».
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