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2022-07-03
La terza dose è un fallimento. Il governo spinge per la quarta
Mentre l’Iss certifica quel che gli italiani sapevano già, ovvero che anche chi ha fatto il booster si può contagiare facilmente senza però (grazie anche al vaccino) sviluppare una forma grave della malattia, è ufficialmente partita la narrazione mediatica per preparare la campagna vaccinale di ottobre, sempre che si riescano ad avere già i farmaci aggiornati per le ultime varianti. Ma per i narratori non c’è problema, se il Covid cambia basta puntare i riflettori sul long Covid (che, peraltro, ha colpito anche i vaccinati), ovvero l’insieme dei disturbi che persistono o che possono presentarsi settimane dopo l’eliminazione del virus dall’organismo. Seguendo uno schema ben preciso. Primo: se hai fatto la terza dose, non rischi il long Covid (basta vedere il risalto dato in questi giorni allo studio pubblicato sulla rivista Journal of the american medical association secondo cui con tre dosi di vaccino a mRna si è più protetti indipendentemente dalla variante da cui veniamo colpiti). Secondo: Omicron 5 crea un long Covid ancora più long (non si spiega però su quali dati si basi questo assunto, considerando che l’ultima variante è comparsa non più di due mesi fa). Il terzo step della narrazione è consequenziale ai primi: fatevi tutti la terza dose e pure la quarta, anche con i vaccini vecchi, che hanno dimostrato di non arginare i contagi delle ultime varianti, ma fatevela. E intanto continuate a indossare la mascherina, che non si sa mai.
Ieri, ad esempio, l’immunologo ed ex membro del Comitato tecnico scientifico, Sergio Abrignani, in un’intervista a Repubblica ha ammesso che «Omicron è troppo contagiosa per i vaccini attuali», ma poi ha detto che «la quarta dose fa aumentare gli anticorpi in modo rapido», quindi va somministrata subito agli anziani, anche se con i vecchi vaccini e anche se «due mesi è la protezione offerta» dal quarto shot. Quanto al vaccino aggiornato non ancora approvato dall’Ema, e per altro preparato con Omicron 1, «non è l’ideale, ma è meglio dell’attuale» e secondo Abrignani dovremmo farlo tutti. Anche se non sappiamo di quanto dovrebbe aumentare la protezione dei contagi. Si è subito allineato il direttore sanitario dell’Irccs Galeazzi di Milano, Fabrizio Pregliasco, che all’agenzia Adnkronos ha condannato chi dice che è meglio aspettare il vaccino nuovo. Un ragionamento che secondo Pregliasco arriverebbe anche come «suggerimento» da «alcuni medici di famiglia», fautori di questo tipo di «narrazione sbagliata» che finisce per «tirare il freno a mano alle quarte dosi fortemente raccomandate a over 80 e fragili». Il vaccino oggi disponibile «serve eccome», assicura Pregliasco.
Al netto dei messaggi rivolti ai no vax, delle narrazioni mediatiche e degli interventi delle varie virostar, pronte a tornare finalmente in tv o sui giornali dopo qualche mese di astinenza provocata dal dibattito sulla guerra in Ucraina, al momento abbiamo poche certezze. Sappiamo che almeno i tre quarti degli anticorpi che vengono prodotti dagli attuali booster sono inutili, nel senso che vanno ad «attaccarsi» a dei pezzi di virus che con Omicron sono cambiati. Con Omicron 5 pare che la percentuale scenda a uno su dieci. Ecco perché i contagi non si fermano. Sappiamo anche che la non gravità del Covid da Omicron deriva dalla risposta dei linfociti T, che agiscono in modo diverso dagli anticorpi. Però attenzione, perché esiste un fenomeno di «esaurimento» dell’immunità a causa della continua esposizione agli antigeni prodotti da ripetute dosi di vaccini uguali. Per ora non sembra una questione centrale per il Covid ma bisogna tenerne conto. Sappiamo che, sul fronte dei nuovi vaccini, il 17 giugno, l’Agenzia europea del farmaco, Ema, ha iniziato la revisione a rotazione per una versione dello Spikevax di Moderna adattata per fornire protezione contro il ceppo originale e contro Omicron. Qualche settimana prima, il responsabile della strategia vaccini dell’Agenzia, Marco Cavaleri, aveva detto che l’obiettivo è dare il via libera ai primi nuovi vaccini in settembre. Sappiamo soprattutto che a oltre due anni dall’inizio della pandemia, l’approccio e le strategie si stanno evolvendo. Il ministero della Salute non può aggrapparsi ai vaccini di oggi, arrivati a fine corsa e il cui «software» va inevitabilmente aggiornato, invece di guardare al futuro prossimo. Si sta finalmente cominciando anche a investire sui trattamenti da integrare con il vaccino (e dunque non sono alternativi ad esso). Le autorità di vigilanza si chiedono se inseguire il virus invece di anticiparlo sia la strategia giusta nell’interesse della salute pubblica.
Si tratta di impostare «una discussione più strategica su quali tipi di vaccini potrebbero essere necessari sul lungo termine per gestire adeguatamente il Covid», ha detto a gennaio Emer Cooke, direttore esecutivo dell’Ema. Ciò può significare una spinta verso i vaccini «universali», quelli che colpiscono parti di virus che non mutano rapidamente come la proteina Spike. Spiegare cosa, e come, stia cambiando nella gestione della pandemia dovrebbe essere compito dei singoli Stati. Spiegare, ad esempio, che anche il vaccino antinfluenzale messo in commercio due o tre anni fa è diverso da quello attuale perché i ceppi virali cambiano, ma ciò non significa che allora sia stato inutile, spiegare anche come viene decisa la programmazione degli acquisti dei prossimi vaccini aggiornati, se le forniture dipendono anche dalla quantità delle attuali scorte da smaltire. Altrimenti, sarà solo narrazione.
Stessi contagi nei no vax e nei «tridosati». I dati certificano la caporetto del booster
La terza dose di vaccino non protegge dall’infezione della variante Omicron del virus Sars-Cov-2. Addirittura, in alcune fasce di popolazione (40-59 anni), il booster ha un tasso di infezione superiore ai non vaccinati, secondo i dati dell’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità (Iss), aggiornato al 28 giugno. Eppure si continua a rilanciare sulla quarta dose per tutti, dopo l’estate. Ieri, su Repubblica, Sergio Abrignani, immunologo dell’università di Milano e membro del Xomitato tecnico scientifico (Cts) durante l’emergenza Covid, in un’intervista, ha spiegato che, in autunno, dovremmo rifare tutti il richiamo con il vaccino per Omicron (anche se c’è da smaltire il precedente e difficilmente sarà disponibile l’aggiornato, che è poco specifico per la variante 5).
Non è chiaro su quali basi scientifiche si arrivi a queste conclusioni, dato che nei vaccinati, sempre secondo l’Iss, dalla seconda dose, crollano le forme gravi del Covid che continuano a interessare praticamente solo la popolazione più anziana.
Basta leggere la tabella 5 del report appena diffuso dall’Iss sull’andamento della pandemia nell’ultimo mese. Nella popolazione generale, dai 12 anni in su, ci si infetta in modo uguale: il tasso di infezione nei non vaccinati è pari a 1,69% mentre in chi ha avuto anche il booster è 1,66%. Nella fascia 40-59, il tasso di diagnosi è perfino più elevato in chi ha avuto la terza dose: 1,8% contro 1,4% dei non vaccinati. Omicron, come è noto, ha una capacità di infettare che è 10-15 volte superiore a quella del ceppo di Wuhan: non a caso, anche le reinfezioni - un nuovo contagio in chi è guarito dal Covid - sono intorno al 9,5%. A cosa potrebbe servire un richiamo per tutti in autunno resta un mistero, soprattutto se si considera che, sui ricoveri e le forme gravi, i vaccini stanno continuando a fare la differenza. Il tasso di ospedalizzazione sulla popolazione over 12 - si legge nel report Iss - per i non vaccinati risulta 3,5 volte più alto rispetto ai vaccinati con booster (57 contro 15 ricoveri per 100.000 abitanti). Anche il tasso di chi finisce in terapia intensiva è quattro volte più elevato rispetto a chi ha avuto il booster (2,4 rispetto a 0,6 ogni 100.000 abitanti). Sul tasso di mortalità, la differenza tra non vaccinati e booster è ancora più evidente: circa sette volte maggiore per chi non ha fatto le tre dosi. Ma anche in questo caso, le forme più gravi sono di poche unità fino ai 59 anni: i numeri iniziano a crescere dopo i 60 anni, con un massimo negli over 80.
I dati relativi all’ospedalizzazione, questione centrale per la pressione sul servizio sanitario, devono inoltre essere contestualizzati a questo momento pandemico. Gli infettivologi che sono in corsia da mesi non registrano le polmoniti delle varianti precedenti. Inoltre, su dieci positivi, si stima che otto scoprano di esserlo solo una volta ricoverati per altre problematiche (pazienti con Covid). In Gran Bretagna, dove le istituzioni fanno questa differenza, già a marzo registravano che solo il 33% dei positivi ricoverati erano per Covid. Oggi la percentuale è simile a quella riportata dagli specialisti italiani che sono nei reparti, a contatto con i pazienti.
Un’altra precisazione importante riguarda il numero dei positivi su cui si calcola l’ospedalizzazione. Gli stessi esperti dell’Iss, nel report, sottolineano che i dati degli infetti sono sottostimati non solo per l’alta percentuale degli asintomatici (70% degli positivi) ma anche per il numero di test che vengono eseguiti a casa e non vengono registrati per evitare le quarantene. Gli epidemiologi stimano che, attualmente, il numero delle persone con Covid sia almeno il triplo di quello ufficiale. Triplicando i positivi, i numeri dei casi gravi reali diventano ulteriormente più bassi mentre, paradossalmente, potrebbero diventare maggiori i positivi con booster e, tra loro, proprio i 40-59enni, tra i quali ci sono anche gli over 50, che sono stati obbligati alla terza dose. Il tutto avverrebbe senza particolari impatti negli ospedali, anche se si potrebbero trovare comunque in affanno, ma non tanto per il Covid, quanto per il fatto che il poco personale che è sempre più sfinito, dopo due anni e mezzo di pandemia, continua a infettarsi e a dare le dimissioni.
Tutte queste osservazioni sembrano non interessare al ministero della Salute, che non esclude la quarta dose per tutti nonostante l’evidenza della bassa efficacia del vaccino aggiornato in arrivo e fatto su Omicron 1. «Il vaccino aggiornato non è l’ideale», ammette Abrignani, «ma è meglio dell’attuale», perché sarebbe efficace al 30-40% contro Omicron 5, rispetto al 10% assicurato dall’attuale. Il numero però è riferito alla quantità di anticorpi che vengono generati e questo, come ammettono le stesse aziende produttrici, non è garanzia della protezione dall’infezione. Si vorrebbe allora capire in base a quali principi scientifici si imporrebbe il vaccino a tutti se, comunque, non si riduce la diffusione del Covid e, in ospedale, si ricoverano anziani, immunodepressi e fragili: la vera popolazione da proteggere.
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I nuovi dati Iss mostrano che la percentuale dei contagi tra i non vaccinati è praticamente identica a quella tra chi ha il booster. Eppure la filastrocca di Roberto Speranza e dei suoi «esperti» non cambia: servono più punture. Per chi lamenta effetti avversi avere i risarcimenti è un’odissea: le storie.Lo speciale comprende due articoli.Mentre l’Iss certifica quel che gli italiani sapevano già, ovvero che anche chi ha fatto il booster si può contagiare facilmente senza però (grazie anche al vaccino) sviluppare una forma grave della malattia, è ufficialmente partita la narrazione mediatica per preparare la campagna vaccinale di ottobre, sempre che si riescano ad avere già i farmaci aggiornati per le ultime varianti. Ma per i narratori non c’è problema, se il Covid cambia basta puntare i riflettori sul long Covid (che, peraltro, ha colpito anche i vaccinati), ovvero l’insieme dei disturbi che persistono o che possono presentarsi settimane dopo l’eliminazione del virus dall’organismo. Seguendo uno schema ben preciso. Primo: se hai fatto la terza dose, non rischi il long Covid (basta vedere il risalto dato in questi giorni allo studio pubblicato sulla rivista Journal of the american medical association secondo cui con tre dosi di vaccino a mRna si è più protetti indipendentemente dalla variante da cui veniamo colpiti). Secondo: Omicron 5 crea un long Covid ancora più long (non si spiega però su quali dati si basi questo assunto, considerando che l’ultima variante è comparsa non più di due mesi fa). Il terzo step della narrazione è consequenziale ai primi: fatevi tutti la terza dose e pure la quarta, anche con i vaccini vecchi, che hanno dimostrato di non arginare i contagi delle ultime varianti, ma fatevela. E intanto continuate a indossare la mascherina, che non si sa mai. Ieri, ad esempio, l’immunologo ed ex membro del Comitato tecnico scientifico, Sergio Abrignani, in un’intervista a Repubblica ha ammesso che «Omicron è troppo contagiosa per i vaccini attuali», ma poi ha detto che «la quarta dose fa aumentare gli anticorpi in modo rapido», quindi va somministrata subito agli anziani, anche se con i vecchi vaccini e anche se «due mesi è la protezione offerta» dal quarto shot. Quanto al vaccino aggiornato non ancora approvato dall’Ema, e per altro preparato con Omicron 1, «non è l’ideale, ma è meglio dell’attuale» e secondo Abrignani dovremmo farlo tutti. Anche se non sappiamo di quanto dovrebbe aumentare la protezione dei contagi. Si è subito allineato il direttore sanitario dell’Irccs Galeazzi di Milano, Fabrizio Pregliasco, che all’agenzia Adnkronos ha condannato chi dice che è meglio aspettare il vaccino nuovo. Un ragionamento che secondo Pregliasco arriverebbe anche come «suggerimento» da «alcuni medici di famiglia», fautori di questo tipo di «narrazione sbagliata» che finisce per «tirare il freno a mano alle quarte dosi fortemente raccomandate a over 80 e fragili». Il vaccino oggi disponibile «serve eccome», assicura Pregliasco.Al netto dei messaggi rivolti ai no vax, delle narrazioni mediatiche e degli interventi delle varie virostar, pronte a tornare finalmente in tv o sui giornali dopo qualche mese di astinenza provocata dal dibattito sulla guerra in Ucraina, al momento abbiamo poche certezze. Sappiamo che almeno i tre quarti degli anticorpi che vengono prodotti dagli attuali booster sono inutili, nel senso che vanno ad «attaccarsi» a dei pezzi di virus che con Omicron sono cambiati. Con Omicron 5 pare che la percentuale scenda a uno su dieci. Ecco perché i contagi non si fermano. Sappiamo anche che la non gravità del Covid da Omicron deriva dalla risposta dei linfociti T, che agiscono in modo diverso dagli anticorpi. Però attenzione, perché esiste un fenomeno di «esaurimento» dell’immunità a causa della continua esposizione agli antigeni prodotti da ripetute dosi di vaccini uguali. Per ora non sembra una questione centrale per il Covid ma bisogna tenerne conto. Sappiamo che, sul fronte dei nuovi vaccini, il 17 giugno, l’Agenzia europea del farmaco, Ema, ha iniziato la revisione a rotazione per una versione dello Spikevax di Moderna adattata per fornire protezione contro il ceppo originale e contro Omicron. Qualche settimana prima, il responsabile della strategia vaccini dell’Agenzia, Marco Cavaleri, aveva detto che l’obiettivo è dare il via libera ai primi nuovi vaccini in settembre. Sappiamo soprattutto che a oltre due anni dall’inizio della pandemia, l’approccio e le strategie si stanno evolvendo. Il ministero della Salute non può aggrapparsi ai vaccini di oggi, arrivati a fine corsa e il cui «software» va inevitabilmente aggiornato, invece di guardare al futuro prossimo. Si sta finalmente cominciando anche a investire sui trattamenti da integrare con il vaccino (e dunque non sono alternativi ad esso). Le autorità di vigilanza si chiedono se inseguire il virus invece di anticiparlo sia la strategia giusta nell’interesse della salute pubblica. Si tratta di impostare «una discussione più strategica su quali tipi di vaccini potrebbero essere necessari sul lungo termine per gestire adeguatamente il Covid», ha detto a gennaio Emer Cooke, direttore esecutivo dell’Ema. Ciò può significare una spinta verso i vaccini «universali», quelli che colpiscono parti di virus che non mutano rapidamente come la proteina Spike. Spiegare cosa, e come, stia cambiando nella gestione della pandemia dovrebbe essere compito dei singoli Stati. Spiegare, ad esempio, che anche il vaccino antinfluenzale messo in commercio due o tre anni fa è diverso da quello attuale perché i ceppi virali cambiano, ma ciò non significa che allora sia stato inutile, spiegare anche come viene decisa la programmazione degli acquisti dei prossimi vaccini aggiornati, se le forniture dipendono anche dalla quantità delle attuali scorte da smaltire. Altrimenti, sarà solo narrazione.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ma-speranza-e-le-virostar-non-cambiano-idea-e-invocano-il-quarto-shot-2657601522.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="stessi-contagi-nei-no-vax-e-nei-tridosati-i-dati-certificano-la-caporetto-del-booster" data-post-id="2657601522" data-published-at="1656805372" data-use-pagination="False"> Stessi contagi nei no vax e nei «tridosati». 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Ieri, su Repubblica, Sergio Abrignani, immunologo dell’università di Milano e membro del Xomitato tecnico scientifico (Cts) durante l’emergenza Covid, in un’intervista, ha spiegato che, in autunno, dovremmo rifare tutti il richiamo con il vaccino per Omicron (anche se c’è da smaltire il precedente e difficilmente sarà disponibile l’aggiornato, che è poco specifico per la variante 5). Non è chiaro su quali basi scientifiche si arrivi a queste conclusioni, dato che nei vaccinati, sempre secondo l’Iss, dalla seconda dose, crollano le forme gravi del Covid che continuano a interessare praticamente solo la popolazione più anziana. Basta leggere la tabella 5 del report appena diffuso dall’Iss sull’andamento della pandemia nell’ultimo mese. Nella popolazione generale, dai 12 anni in su, ci si infetta in modo uguale: il tasso di infezione nei non vaccinati è pari a 1,69% mentre in chi ha avuto anche il booster è 1,66%. Nella fascia 40-59, il tasso di diagnosi è perfino più elevato in chi ha avuto la terza dose: 1,8% contro 1,4% dei non vaccinati. Omicron, come è noto, ha una capacità di infettare che è 10-15 volte superiore a quella del ceppo di Wuhan: non a caso, anche le reinfezioni - un nuovo contagio in chi è guarito dal Covid - sono intorno al 9,5%. A cosa potrebbe servire un richiamo per tutti in autunno resta un mistero, soprattutto se si considera che, sui ricoveri e le forme gravi, i vaccini stanno continuando a fare la differenza. Il tasso di ospedalizzazione sulla popolazione over 12 - si legge nel report Iss - per i non vaccinati risulta 3,5 volte più alto rispetto ai vaccinati con booster (57 contro 15 ricoveri per 100.000 abitanti). Anche il tasso di chi finisce in terapia intensiva è quattro volte più elevato rispetto a chi ha avuto il booster (2,4 rispetto a 0,6 ogni 100.000 abitanti). Sul tasso di mortalità, la differenza tra non vaccinati e booster è ancora più evidente: circa sette volte maggiore per chi non ha fatto le tre dosi. Ma anche in questo caso, le forme più gravi sono di poche unità fino ai 59 anni: i numeri iniziano a crescere dopo i 60 anni, con un massimo negli over 80. I dati relativi all’ospedalizzazione, questione centrale per la pressione sul servizio sanitario, devono inoltre essere contestualizzati a questo momento pandemico. Gli infettivologi che sono in corsia da mesi non registrano le polmoniti delle varianti precedenti. Inoltre, su dieci positivi, si stima che otto scoprano di esserlo solo una volta ricoverati per altre problematiche (pazienti con Covid). In Gran Bretagna, dove le istituzioni fanno questa differenza, già a marzo registravano che solo il 33% dei positivi ricoverati erano per Covid. Oggi la percentuale è simile a quella riportata dagli specialisti italiani che sono nei reparti, a contatto con i pazienti. Un’altra precisazione importante riguarda il numero dei positivi su cui si calcola l’ospedalizzazione. Gli stessi esperti dell’Iss, nel report, sottolineano che i dati degli infetti sono sottostimati non solo per l’alta percentuale degli asintomatici (70% degli positivi) ma anche per il numero di test che vengono eseguiti a casa e non vengono registrati per evitare le quarantene. Gli epidemiologi stimano che, attualmente, il numero delle persone con Covid sia almeno il triplo di quello ufficiale. Triplicando i positivi, i numeri dei casi gravi reali diventano ulteriormente più bassi mentre, paradossalmente, potrebbero diventare maggiori i positivi con booster e, tra loro, proprio i 40-59enni, tra i quali ci sono anche gli over 50, che sono stati obbligati alla terza dose. Il tutto avverrebbe senza particolari impatti negli ospedali, anche se si potrebbero trovare comunque in affanno, ma non tanto per il Covid, quanto per il fatto che il poco personale che è sempre più sfinito, dopo due anni e mezzo di pandemia, continua a infettarsi e a dare le dimissioni. Tutte queste osservazioni sembrano non interessare al ministero della Salute, che non esclude la quarta dose per tutti nonostante l’evidenza della bassa efficacia del vaccino aggiornato in arrivo e fatto su Omicron 1. «Il vaccino aggiornato non è l’ideale», ammette Abrignani, «ma è meglio dell’attuale», perché sarebbe efficace al 30-40% contro Omicron 5, rispetto al 10% assicurato dall’attuale. Il numero però è riferito alla quantità di anticorpi che vengono generati e questo, come ammettono le stesse aziende produttrici, non è garanzia della protezione dall’infezione. Si vorrebbe allora capire in base a quali principi scientifici si imporrebbe il vaccino a tutti se, comunque, non si riduce la diffusione del Covid e, in ospedale, si ricoverano anziani, immunodepressi e fragili: la vera popolazione da proteggere.
Elon Musk (Ansa)
La controffensiva del magnate galvanizza X. Viktor Orbán scrive che «l’attacco della Commissione dice tutto. Quando i padroni di Bruxelles non riescono a spuntarla nel dibattito, arrivano alle multe. L’Europa ha bisogno della libertà d’espressione, non di burocrati non eletti che decidono cosa possiamo leggere o dire. Giù il cappello per Elon Mask perché ha tenuto il punto». Geert Wilders, leader sovranista olandese, se la prende con l’esecutivo di Ursula von der Leyen: «Nessuno vi ha eletto», twitta. «Non rappresentate nessuno. Siete un’istituzione totalitaria e non riuscite nemmeno a dividere in sillabe le parole “libertà d’espressione”. Non dovremmo accettare la multa a X, semmai abolire la Commissione Ue». Musk applaude: «Assolutamente! La Commissione Ue venera il dio della burocrazia, che soffoca il popolo d’Europa».
Oltreoceano, intanto, parte la rappresaglia. Reuters riferisce che il Dipartimento di Stato studia una stretta sui visti per chi si è reso «responsabile o complice della censura o del tentativo di censura di espressioni protette negli Stati Uniti». A cominciare dai fact checker dei social. Il vice di Marco Rubio, Christopher Landau, reduce dalle accuse di filocastrismo a Federica Mogherini, lancia poi una sorta di ultimatum: «O le grandi nazioni d’Europa sono nostri partner nella protezione della civiltà occidentale che abbiamo ereditato da loro, oppure non lo sono. Ma non possiamo fingere di essere partner mentre quelle nazioni permettono alla burocrazia non eletta, antidemocratica e non rappresentativa dell’Ue a Bruxelles di perseguire politiche di suicidio di civiltà». Il diplomatico lamenta: i medesimi Paesi, «quando indossano il cappello della Nato, insistono sulla cooperazione transatlantica come elemento centrale della sicurezza. Ma quando hanno il cappello dell’Ue portano avanti ogni sorta di agenda che spesso è totalmente contraria agli interessi e alla sicurezza degli Stati Uniti».
La lite scoppia, appunto, a 24 ore dalla pubblicazione del testo con cui la Casa Bianca ha ridefinito le proprie priorità. I media italiani lo hanno recepito con sgomento. Il Corriere, ieri, parlava di «attacco choc all’Europa». Secondo Repubblica, «Trump scarica l’Europa». La Stampa era listata a lutto: «Addio Europa, strappo americano». «Con la National security strategy di Trump l’America è ufficialmente un avversario», recitava l’editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio.
La Commissione Ue ha rivendicato la sua autonomia: decidiamo noi per noi, anche su libertà d’espressione e «ordine internazionale fondato sulle regole». Nel documento di Washington, ha ammesso Kaja Kallas, «ci sono molte critiche, ma credo che alcune siano anche vere. Se si guarda all’Europa, si nota che ha sottovalutato il proprio potere nei confronti della Russia. Dovremmo avere più fiducia in noi stessi. Gli Stati Uniti sono ancora il nostro più grande alleato». Piccato il premier polacco, Donald Tusk: l’Europa, ha spiegato agli «amici americani», è « il vostro più stretto alleato». E «abbiamo nemici comuni. A meno che non sia cambiato qualcosa». Lucida l’analisi di Guido Crosetto. Il ministro della Difesa ha sottolineato che lo spostamento del fulcro degli interessi strategici Usa, dal Vecchio continente all’Indo-Pacifico, era una «traiettoria evidente già prima dell’avvento di Trump, che ha soltanto accelerato un percorso irreversibile». Quando il processo è cominciato, non tutti erano attenti: nel 2000, George W. Bush fece rientrare diverse unità di stanza in Germania; Barack Obama richiamò un paio di brigate, per un totale di 8.000 soldati. E fu lui a stabilire che il futuro «perno» (pivot) della politica statunitense sarebbe stato l’Asia. The Donald, peraltro, ci ha tenuto a precisare che «l’Europa rimane strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti». Crosetto ha insistito sulla necessità di mobilitare, insieme al resto dell’Unione, gli «investimenti pubblici e privati» necessari a «recuperare il tempo perso su tecnologie fondamentali» per diventare militarmente autosufficienti.
Ma se qualcuno ha invocato la collaborazione tra Stati membri per mettere in pratica un caposaldo del piano Trump (l’Europa deve imparare a «reggersi in piedi da sola», recita il manifesto), qualcun altro ha approfittato dello «choc» di cui sul Corsera per rilanciare il vecchio pallino: l’alleanza con Pechino. Da più Europa a più Cina è un attimo.
Ne ha discusso sul quotidiano di Torino, col pretesto di contestare il protezionismo del golden power, l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Dimenticando che la penetrazione dei capitali del Dragone equivale a un commissariamento dei nostri asset.
L’intervento di Romano Prodi sul Messaggero, invece, più che malevolo è apparso surreale. In sintesi: siccome quel puzzone del tycoon si mette d’accordo con le autocrazie, noi dobbiamo... metterci d’accordo con un’autocrazia. «Finora», ha notato l’ex premier, «soltanto la Cina sta preparando una strategia alternativa, non solo usando le terre rare come arma di guerra ma, soprattutto, sostituendo il mercato americano con un’accresciuta presenza in tutto il resto del mondo». È in questo spazio che, a suo avviso, dovrebbero incunearsi gli europei. Per evitare «il collasso finale di quello che resta della globalizzazione», sostiene Prodi. In funzione di utili idioti, temiamo noi. Peccato che, ha sospirato il fondatore dell’Ulivo, né l’Ue né i dirigenti di Pechino sembrino «in grado di preparare la strada per arrivare al necessario compromesso». Alla faccia degli infausti vaticini di Trump: se è così, possiamo ancora salvarci.
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E’ una ricetta omnibus che nelle giornate di freddo predispone a piatto conviviale e succulento. Certo il primato spetta ai milanesi che servono l’ossobuco con il loro magnificente risotto giallo ma di fatto, essendo questo un taglio di carne, a torto definito povero, è una preparazione che si trova in tutte le zone urbane d’Italia. Condizione necessaria era che ci fosse un macello ed è errata convinzione che in campagna si mangiasse tanta carne; ci pensate al contadino che si ciba del suo “trattore”?
Dunque potremmo dire che questa è una ricetta piccolo-borghese, ma enorme nel sapore. Noi ve la proponiamo alla toscana, ancorché semplificata. Invece dei pelati ci siamo limitati al concentrato di pomodoro, ma il risultato è ottimo!
Ingredienti – 4 ossibuchi di generose dimensioni, tre cipolle, tre coste di sedano, tre carote, una patata, un paio di pomodorini, 6 cucchiai di farina 0, 60 gr di burro e 80 gr di olio extravergine di oliva, 3 cucchiai di concentrato di pomodoro, 3 foglie di alloro e 3 di salvia, un mazzetto di prezzemolo, un bicchiere di vino bianco secco, sale e pepe qb.
Procedimento – Con una carota, una cipolla, una costa di sedano, la patata e i pomodorini preparate un brodo vegetale mettendo le verdure a bollire in almeno un paio litri di acqua. In un tegame capiente fate fondere il burro nell’olio extravergine di oliva e sistemateci le foglie di salvia e alloro. Infarinate gli ossibuchi e passateli in tegame a fiamma vivace in modo che si sigillino. Nel frattempo con le altre verdure fate un battuto grossolano. Sfumate gli ossibuchi col vino bianco e quando la parte alcolica è evaporata toglieteli dal tegame e teneteli da parte. Fate stufare il battuto nel tegame e appena le cipolle diventano trasparenti rimettete in cottura gli ossibuchi. Coprite con il brodo vegetale, aggiungete il concentrato di pomodoro, fate sciogliere e lasciate andare per almeno un ora e mezza. Aggiustate di sale e di pepe, aggiungete il prezzemolo tritato e servite.
Come fa divertire i bambini – Fate infarinare a loro gli ossibuchi vedrete che ne saranno entusiasti
Abbinamento – Abbiamo scelto un Chianti Classico Gran selezione, va benissimo un Nobile di Montepulciano; in alternativa il rosso dei milanesi il San Colombano o una Barbera monferrina, astigiana o dell’Oltrepò
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